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Abstract Il comportamento altruistico è uno storico problema per diverse discipline, su cui recentemente una rinnovata attenzione sembra promettere migliori e più esaustive spiegazioni Un filone particolarmente fecondo è quello della

modellazione matematica di ispirazione economica. Pur avendo prodotto risultati teorici di grande rilievo, riteniamo che tale approccio cominci a denunciare i suoi limiti naturali, che consistono nell’eludere l’aspetto cognitivo individuale. Di contro le neuroscienze da qualche decennio stanno offrendo una serie sempre più dettagliata di informazioni sui circuiti cerebrali coinvolti nel guidare l’individuo nelle scelte morali e nel suo agire compassionevole. Siamo pertanto del’idea che una svolta radicale nella modellazione dei fenomeni altruistici, con un conseguente salto in avanti nella loro portata esplicativa, possa derivare dal fondare i modelli ad agenti su un nucleo simulativo individuale, incorporante riproduzioni plausibili dei principali circuiti emozionali e decisionali che sottendono comportamenti sociali di questo genere.

I. IL DILEMMA DELL’ALTRUISMO

Il comportamento altruistico è uno storico problema per diverse discipline, dalla biologia alle scienze sociali alla filosofia morale. Parte della sua attrattiva è l’apparente contraddizione, essendo difficile leggervi una funzionalità alla sopravvivenza, così come per altri comportamenti esibiti da organismi viventi. Appare inoltre talmente umano, e talmente nobilitato nella maggior parte delle culture, tanto da essere ingrediente nelle narrazioni letterarie di ogni epoca La posizione paradossale dell’altruismo in una visione naturalistica era stato notato e analizzato già da Darwin (1859), e poi portato alla ribalta nel secolo scorso Hamilton (1963), di cui è rimasta famosa la regola che consente di uscire dal paradosso, nel caso in cui esista una relazione di parentale tra chi si comporta altruisticamente e il beneficiario.

Prescindendo dai limiti di quella regola, è indubbio che i pioneristici studi di Hamilton hanno innescato un’espansione di successive ricerche in biologia sociale, i cui progressi nell’ultimo mezzo secolo hanno prodotto una crescente fiducia nelle possibilità di un assetto esplicativo scientifico dell’altruismo, oltre ad aver moltiplicato l’interesse per l’argomento. In particolare questo lavoro riguarda i modelli matematici, strada alternativa rispetto a forme di indagine più tradizionali, come l’osservazione comparata in biologia, o la teorizzazione speculativa in sociologia e filosofia. Uno dei vantaggi della modellazione è di poter fornire spiegazioni sintetizzate in un numero limitato di parametri, che governano gli equilibri dei comportamenti studiati in popolazioni astratte.

La proposta qui avanzata è che un salto di grande portata nella comprensione di questo fenomeno consisterebbe nel ricondurre, negli impianti formali, elementi propri dell’approccio computazionale cognitivo, elusi nei modelli di estrazione economistica che hanno dominato finora le ricerche. In particolare l’attuale modellistica biosociale sull’altruismo sembra ignorare l’importante filone della cognizione affettiva e morale, a cui il fenomeno è invece strettamente legato.

Nel seguito di questo lavoro si sintetizzerà brevemente l’impostazione modellistica corrente, si elencheranno certi fatti ed evidenze che mostrano quanto comportamenti umani definibili altruistici siano il risultato di una complessa interazione tra individui e i loro ambiti culturali, infine verranno passate in rassegna determinate acquisizioni delle neuroscienze che aprono la porta ad una modellistica che contempli un’adeguata simulazione dei processi cerebrali coinvolti nei comportamenti sociali compassionevoli.

II. L’IMPOSTAZIONE MODELLISTICA PREVALENTE

La ricerca sull’altruismo con metodi matematici, come detto sopra, è stata finora soprattutto di tipo economico. Il lavoro cardine è stato quello di Axelrod and Hamilton (1981), che inaugura il trattamento dei comportamenti animali sociali all’interno della modellistica economica legata alla teoria dei giochi. In particolare il gioco per eccellenza è il ben noto dilemma del prigioniero dove il cooperatore diventa l’altruista e il traditore l’individuo egoista. Inoltre il gioco è iterato, e i prigionieri continuano a fronteggiare il dilemma, tenendo conto di cosa è successo precedentemente. La strategià che risulta vincente, è la cosiddetta tit for tat, dove il partecipante coopera nella prima mossa, e nelle successive non fa che imitare come si era comportato il suo compagno di prigionia al turno precedente.

Questo approccio è stato estremamente incluente, centinaia di studi successivi hanno elaborato varianti e alternative, mantenendosi sempre all’interno della teoria dei giochi applicata all’economia. Per ancorare concretamente il ragionamento si inzierà esponendo alcuni elementi tipici di queste categorie di modelli. Essi tipicamente descrivono una funzione globale che misura quanto l’individuo nella sua vita sia stato ben adatto al suo ambiente, relativamente al suo modo più o meno altruistico di comportarsi con gli altri, la cosiddetta fitness relativa. La fitness di un individuo, relativamente ai suoi intercorsi con altri soggetti dalla popolazione, è data dalla sommatoria seguente (Lehmann & Keller, 2006):

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Dove t sono gli eventi in cui è possibile mettere in pratica un comportamento altruistico, ω è la probabilità che

l’individuo in questione i abbia ripetutamente a che fare nuovamente con un individuo j, g è l’impegno nell’operate altruisticamente, che richiederà una costo γg, producendo un beneficio βg, il quale può essere ulteriormente ripartito,

con il parametro ζ, tra beneficio diretto a j e un ritorno a i stesso. Tutte le funzioni e i parametri variano convenzionalmente tra 0 e 1. Da notare che fi misura strettamente solo la variazione in termini di numerosità della prole,

rispetto alla fecondità media della popolazione.

L’equazione (1) e le diverse sue varianti proposte nell’ambito delle spiegazioni di comportamenti cooperativi e altruistici, è una diretta derivazione del quadro della teoria dei giochi in ambito economico, dove il gioco in questione è tipicamente il dilemma del prigioniero.

Questo quadro modellistico ha prodotto importanti risultati sulle possibilità teoriche di forme cooperative, purtuttavia in una fase più matura della ricerca occorre prendere le distanze dalle drastiche semplificazioni ed astrazioni rispetto ad ogni situazione naturale. In particolare è trascurato che i comportamenti sociali, altruistici e non, sono messi in atto da cervelli complessi, in cui la pianificazione è realizzata da una moltitudine di processi, determinati dalla storia pregressa dell’individuo.

Recentemente si assiste ad un forte interesse verso l’inclusione di forme di apprendimento nei modelli dell’altruismo. Una prima parvenza è stata introdotta considerando l’impegno g modificabile, come in (Killingback & Doebeli, 2002):

Dove η è una sorta di fattore di apprendimento. In Lehmann and Feldman ( 2008) l’interazione tra genetica e apprendimento è risolta contemplando due genotipi, uno controllante la disposizione ad aiutare, l’altro controllante la propensione a modificarla a seguito di apprendimento. È palese il divario tra le parametrizzazioni operabili all’intero di questo quadro matematico, ed ogni forma, per quanto elementare, di simulazione dei processi di plasticità cerebrale alla base di ogni apprendimento.

III. ELEMENTI CULTURALI E INDIVIDUALI

Questo quadro modellistico ha prodotto importanti risultati sulle possibilità teoriche di forme cooperative, purtuttavia in una fase più matura della ricerca occorre prendere le distanze dalle drastiche semplificazioni ed astrazioni rispetto ad ogni situazione naturale. In particolare è trascurato che i comportamenti sociali, altruistici e non, sono messi in atto da cervelli complessi, in cui la pianificazione è realizzata da una moltitudine di processi, determinati dalla storia pregressa dell’individuo. I circuiti cerebrali coinvolti in tali processi sono naturalmente ben lungi da mostrare segregazioni in moduli corrispondenti alla tassonomia sociale dei comportamenti, ma sono ampiamente condivisi da attività cognitive comportanti complesse strategie d’azione in risposta a stati percettivi. Nella sezione successiva si entrerà nel merito delle attuali conoscenze riguardo tali correlati neurali e la loro possibile modellazione, qui si intende invece elencare i generi di interrelazioni comportamentali.

Uno dei meccanismi di gratificazione mentale più potenti nell’indurre l’altruismo è la sua associazione ad una normatività morale. Gran parte del comportamento morale può dividersi in una sfera prescrittiva (il non devi fare) e un’altra prescrittiva (devi fare) (Sheikh & Janoff-Bulman, n.d.), in molte culture è qui che ricade anche l’altruismo. Spesso la forma culturalmente più pervasiva e interiorizzata di norma morale è quella di tipo religioso, entro cui si possono trovare forme codificate di prescrizioni, che danno luogo ad un altruismo imposto, o metodico.

Nell’islamismo la zakat, è un’imposta sul risparmio (non sul reddito) che ridistribuisce le ricchezze nella misura del 2.5% per chi supera 4372€ annuali, affiancata dalla sadaqa, che è invece una forma di elemosina non obbligatoria, assimilabile alla carità cristiana, religione che non disdegna prescrizioni altruistiche più precise, anche se meno rigide della zakat islamica, per esempio l’8 per mille del reddito nello stato italiano. Analogamente l’induismo impone la carità nella 94esima legge di Manu, e regole simili si trovano nel buddismo (brahmsta) e nell’ebraismo (tzedaka). Da notare che il rapporto non è lineare, vi sono per esempio studi che dimostrano una scarsa correlazione tra altruismo e devozione ostentata (Batson et al., 1981).

Pur se l’elemento religioso ha una sua forte stabilità culturale, la sua incidenza è ampiamente diversificata rispetto al grado di recettività individuale, che a sua volta è funzione dell’esperienza del soggetto. Ancor più diversificate ed instabili sono le contingenze ambientali di altro genere. Diversi casi mostrano come la tendenza all’atruismo possa ridursi drasticamente, fino ad essere praticamente elusa dalla moralità corrente, uno dei più eclatanti è quello degli Ik in Uganda, dove uno studio piuttosto controverso (Turnbull, 1973) riporta la diffusa indifferenza verso sofferenza altrui,

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anche a carico di bambini e anziani, e la mancanza di interventi di aiuto, anche quando poco costosi. Per esempio è riportato un episodio in cui elementi del gruppo vedono un bambino piccolo andare verso un falò acceso ignaro del pericolo, e non fare nulla per fermarlo, e sembrare anzi divertiti nel vederlo ustionarsi. Un’ipotesi è che non si tratti di una vera e proprio anomalia morale stabile, ma della conseguenza di anni di severe carestie.

Recenti esperimenti hanno evidenziato come il contesto percettivo contingente influenzi decisioni in cui pesa il grado di altruismo, in maniera insospettata. E’ il caso dell’influsso di odori ambientali. Gli esperimenti di Baron (1997) hanno mostrato come individui all’interno di una panetteria sono disposti ad effettuare azioni altruistiche nel 57% dei casi rispetto al 19% di chi si trova all’interno di un’edicola, in accordo con quanto successivamente dimostrato con l’impatto olfattivo sulla cognizione affettiva (Herz, 2002) in genere. Recentemente Schnall et al. (2008) hanno trovato che soggetti richiesti di esprimere giudizi morali, sistematicamente aumentavano la loro severità se nell’ambiente veniva introdotto un odore sgradevole. Si è detto sopra della stretta relazione tra altruismo e senso morale.

IV. SIMULARE GLI INDIVIDUI

Le neuroscienze da qualche decennio stanno offrendo una serie sempre più dettagliata di informazioni sui circuiti cerebrali coinvolti nel guidare l’individuo nelle scelte morali e nel suo agire compassionevole (Casebeer & Churchland, 2003; Moll et al., 2005). Riteniamo che l’elemento più saliente che emerge dalle recenti scoperte, sia la conferma dell’intuizione di Hume (1751): i comportamenti morali sono strettamente legati al provare sentimenti, piacevoli nel rafforzare l’inclinazione a certi atteggiamenti, sgradevoli nell’evitarne altri. A differenza dell’empirista inglese, sono oggi disponibili strumenti e metodi per verificare empiricamente il coinvolgimento di circuiti emozionali durante scelte di tipo morale, e consentendo di validare e dettagliare notevolmente la felice ipotesi dell’empirista inglese (Prinz, 2006). Uno primo studio aveva verificato un’associazione tra tre diverse emozioni: disprezzo, rabbia, disgusto, con tre diversi codici morali: nei confronti della comunità, dell’autonomia individuale, o dell’autorità astratta (Rozin, Lowery, Haidt, & Imada, 1999). Successivamente sono stati misurati coinvolgimenti di aree emozionali, quali il giro mediale frontale, il cingolato posteriore, e il solco temporale superiore (Greene et al., 2001), in uno studio mediante videogiochi (King et al., 2006) si è evidenziato il coinvolgimento dell’amigdala e dell’area ventromediale prefrontale sia in comportamenti violenti ma moralmente giustificati che in quelli puramente altruistici.

Tali scoperte stanno iniziando a confluire in modelli computazionali. Il gruppo di Paul Thagard ha messo a punto una serie di modelli che collegano l’esperienza emozionale con la loro memoria e con la presa di decisioni (Litt et al., 2006; Thagard & Aubie, 2008). A nostro avviso potrebbe essere particolarmente vantaggioso l’utilizzo di un affermato quadro modellistico, quello dell’apprendimento per rinforzo (Barto & Sutton, 1982; Kaelbling et al., 1996), che ben si presta a modellare l’apprendimento di schemi comportamentali su cui già l’individuo abbia sperimentato le reazioni dell’ambiente. Vi sono già proposte per una sua adozione proprio nell’apprendimento dell’altruismo (Seymour, Yoshida, & Dolan, 2009). E’ il momento di affrontare anche il comportamento altruistico in questi termini, con una modellistica di più ampio respiro, in cui le pressioni di tipo culturale, ambientale, contingente sull’individuo, che percorrono i suoi circuiti emozionali fino alla presa di decisioni, trovino un’adeguata simulazione.

V. CONCLUSIONE

Si è proposto in questo lavoro che un salto di grande portata nella comprensione dei comportamenti altruistici potrebbe derivare dall’includere negli impianti formali dei modelli, elementi propri dell’approccio computazionale cognitivo, elusi nei modelli di estrazione economistica che hanno dominato finora le ricerche. In particolare si sono mostrati diversi frammenti di modellazione di specifici circuiti cerebrali coinvolti in qualche aspetto dei comportamenti sociali, quali circuiti emozionali e decisionali, che si ritiene possano costituire blocchi computazionali appropriati all’interno di modelli di nuova generazione dei comportamenti sociali, in cui l’aspetto neurocognitivo individuale sia trattato con una sufficiente plausibilità.

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Giustificazioni pubbliche e modelli formali di giustizia

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