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Risonanza emotiva e risonanza motoria: le radici ‘embodied’ dell’empatia

Gloria Galloni, Mattia Della Rocca, Carmela Morabito

Gloria Galloni, Università di Roma ‘Tor Vergata’, Roma, RM 00133, Italia (lab phone: (+39)0672595063; e-mail: [email protected]). Mattia Della Rocca, Università di Roma ‘Tor Vergata’, Roma, RM 00133, Italia (lab phone: (+39)0672595063; e-mail:

[email protected]).

Carmela Morabito, Università di Roma ‘Tor Vergata’, Roma, RM 00133, Italia (lab phone: (+39)0672595063; e-mail: [email protected]).

Abstract— Il nostro intervento mira a mettere in luce uno degli aspetti che, in maniera fortemente interdisciplinare, sta

recentemente attirando l’attenzione degli studiosi nell’ambito delle scienze cognitive, ovvero i meccanismi di rispecchiamento sé/altro, e dunque l’empatia. La nostra analisi verterà soprattutto sugli sviluppi delle teorie concernenti l’empatia dal punto di vista dell’embodied cognition, con particolare riguardo per le ricerche sperimentali più recenti sulle basi neurobiologiche del fenomeno in questione, per il modo in cui tali studi stanno retroagendo su un modello più generale di mente e di interazione intersoggettiva, e per le ricadute teoriche ed epistemologiche che da tali riflessioni traggono origine.

Index Terms— empatia, risonanza emotiva, risonanza motoria, simulazione, neuroni mirror, embodied cognition. I. INTRODUZIONE

Perché un paziente con sindrome di Moebius, oltre a non riuscire a muovere i muscoli del proprio volto, non riesce neppure a riconoscere l’espressione delle emozioni altrui (Cole, 2001)? Perché più si è capaci e propensi ad imitare gli altri, più si riesce ad entrare in relazione empatica (Chartrand e Bargh, 1999)? Perché tanto più un soggetto entra in empatia con un altro che sta provando dolore per un ago conficcato in una mano, tanto più simula internamente un atto di ritrazione dall’ago (Avenanti et al., 2005)? Perché due bambini già in grado di riconoscersi allo specchio si imitano molto di più di un’altra coppia che ancora non ha tale capacità (Asendorpf e Baudonniere, 1993)? Perché una mamma apre istintivamente la bocca nel momento in cui lo fa il proprio bambino mentre lei gli offre il suo cucchiaino di pappa? A partire dal Diciannovesimo secolo, e poi lungo il Ventesimo fino ad arrivare ai nostri giorni, le riflessioni sul modo in cui ci relazioniamo con gli altri, comprendiamo le emozioni altrui, entriamo in empatia con l’altro, hanno destato via via sempre più interesse, dapprima nell’ambito della filosofia (soprattutto della fenomenologia, si pensi ad Husserl, Stein, e allo stesso citatissimo Merleau-Ponty) e poi prepotentemente nelle scienze cognitive, soprattutto inizialmente nella psicologia dell’età evolutiva e poi nella psicologia cognitiva, per integrarsi – infine - con la psicobiologia e la neurofisiologia negli ultimi decenni, all’interno del quadro più generale delle neuroscienze cognitive. Insomma, si tratta di un ambito d’interesse fortemente interdisciplinare, e sempre più integrato.

II. UN CAMBIAMENTO PARADIGMATICO

In particolare, i meccanismi di rispecchiamento e la comunicazione intersoggettiva sono diventati un interessante ambito di ricerca sperimentale a partire dalle scoperte neurofisiologiche concernenti la risonanza motoria (Rizzolatti et al., ultimi vent’anni) e in relazione allo sviluppo del modello percezione-azione (Prinz, 1997; Preston e de Waal, 2002). Ed è proprio di questo passaggio nel modo di intendere l’empatia e sulle conseguenze che tali ricerche portano con sé per un nuovo modello di mente, embodied ed embrained (Van Gelder, 2003), che ci interesserà qui discutere.

È interessante notare infatti come nelle modificazioni della concezione di empatia, nelle differenti definizioni di essa, nella stratificazione semantica stessa del termine, si rispecchi quanto sta accadendo ad un livello più generale all’interno delle scienze cognitive. Il modello computazionale - che ha dominato la scienza cognitiva classica e che prevedeva, per ogni funzione, un ingresso di input e l’elaborazione di un output - unito alla teoria modulare fodoriana, dunque con caratteristiche di incapsulamento modulare a livelli periferici e di olismo nei sistemi centrali, sta cedendo il passo - ormai da tempo - ad un modello di mente dinamico ed integrato, un modello ecologico, un modello motorio, un modello sistemico. Insomma, la mente nel corpo, anzi, la mentecervello, nella sua interazione costante, plasmante e dinamica con l’ambiente che ci circonda, ambiente sociale e intersoggettività incluse: questo è il modello che, seppur delineato in diversi modi e diverse teorizzazioni già da vari psicologi e teorici nei secoli scorsi (si pensi ad Alexander Bain, a Charles Darwin, a William James, a Jean Piaget, alla Scuola Riflessologica, giusto per citare alcuni nomi), per lungo tempo è risultato essere ‘perdente’, ma che oggi sta invece prepotentemente tornando all’attenzione degli studiosi, nei suoi molteplici risvolti interdisciplinari.

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E così, mentre l’empatia è stata a lungo concepita (soprattutto nel secolo scorso) come proiezione intenzionale sullo stato emotivo altrui, e dunque come specifica capacità umana, in lavori recenti si propone di estendere i fenomeni di risonanza empatica agli animali non umani, e si propongono modelli multidimensionali, che affianchino al perspective

taking anche componenti che di tale capacità sarebbero le radici genetiche, i prerequisiti, quali la risonanza motoria e la

risonanza emozionale, profondamente intessute del nostro ‘vocabolario motorio’ e delle emozioni vissute, seppure

offline (ovvero solo simulando internamente azioni ed emozioni dell’altro, come se noi stessi stessimo agendo e

provando tali emozioni).

III. IMECCANISMI DI RISPECCHIAMENTO NELLE SCIENZE COGNITIVE

La letteratura scientifica su questo sta diventando vastissima. Cerchiamo di offrire un rapido sunto di quanto sta emergendo, in primo luogo nel modello teorico, e poi per quanto concerne le basi neurobiologiche dei meccanismi empatici.

Il modello teorico di riferimento per l’empatia intesa in maniera embodied non sarà dunque la teoria della teoria della mente (cfr. Gopnik, 1993; Carruthers e Smith, 1996), secondo la quale viene utilizzata una vera e propria teoria (folk

psychology) per ragionare sulle menti degli altri, una teoria che si sviluppa automaticamente e, secondo alcuni, sarebbe

modulare e di origine innata (Carruthers, 1996). Piuttosto, i fenomeni empatici possono essere a nostro avviso meglio interpretati alla luce della teoria della simulazione (Goldman, 1993; Gordon, 1986), o più radicalmente della simulazione incarnata (Gallese, 2003), ovvero la teoria motoria dell’empatia (Leslie et al., 2004; Carr et al., 2003; Meltzoff e Decety, 2003). L’idea fondamentale di tale approccio, del quale esistono varie versioni più o meno forti, è quella che l’osservazione di un’emozione possa «determinare in chi la osserva l’attivazione della stessa regione corticale che è attiva quando l’osservatore prova quella emozione» (Rizzolatti e Vozza, 2007, pag. 64). In base alla teoria motoria dell’empatia, le espressioni facciali e la mimica veicolano importanti informazioni sullo stato affettivo, e simulando internamente tali azioni il soggetto percipiente può riconoscere e nel contempo rispecchiare quel contenuto emotivo, tramite l’attivazione di neuroni specchio e l’invio di informazioni all’insula.

Ad una attenta lettura della bibliografia sperimentale, però, si rende evidente che la stratificazione semantica che ha interessato il concetto stesso di empatia nel corso del tempo dev’essere fortemente tenuta in considerazione al fine di comprendere il motivo per cui spesso, in ricerche differenti, viene evidenziato il coinvolgimento di aree corticali differenti, che sembrano rimandare a fenomeni di rispecchiamento a loro volta diversi.

Proprio per questo, è risultato utile in lavori precedenti (Galloni, 2009; Morabito e Galloni, 2011) analizzare la storia dei vari modelli di empatia, più o meno multicomponenziali, per arrivare poi a quello oggi considerato ancora come il più completo, ovvero al modello di Preston e de Waal (2002). In tale modello, gli autori offrono una distinzione tra livelli differenti di coinvolgimento sé/altro, dal contagio emozionale al perspective taking, tenendo conto dei quali risulta più facile ‘addentrarsi’ nelle varie scoperte neurobiologiche e neurofisiologiche concernenti i fenomeni empatici.

Come abbiamo rilevato in lavori precedenti, infatti, una stessa metafora, quella del rispecchiamento (nata sulla scia del gran clamore diffusosi in seguito alle scoperte concernenti il sistema dei neuroni specchio), viene utilizzata per fenomeni diversi, che implicano l’attivazione di differenti reti neurali: l’una un network motorio (teoria motoria dell’empatia; un’empatia verso le azioni e le intenzioni altrui, fondata sul proprio vocabolario motorio), l’altra un

network emozionale (un’empatia verso le emozioni degli altri, fondata sulla propria sensibilità e capacità di provare

emozioni; es. Singer et al., 2004). Dunque, differenti studi incentrano la propria attenzione su un’empatia più ‘emozionale’, più legata alla simulazione ‘motoria’, o legata alla condivisione di vere e proprie sensazioni percepite in un altro individuo, oppure su un’empatia cognitiva tout court, la quale però non può e non deve essere analizzata come slegata dalle altre, come fosse la sola vera nostra capacità di metterci ‘nei panni dell’altro’, come se ci rendesse - unita al linguaggio verbale - ‘speciali’ rispetto agli altri esseri senzienti.

IV. BASI NEUROBIOLOGICHE DEI FENOMENI EMPATICI

Per quanto riguarda più diffusamente le basi neurobiologiche, vari studi di visualizzazione dell’attività cerebrale rivelano l’attivazione di molteplici aree implicate nella risposta empatica, correlate alle diverse dimensioni dell’empatia stessa di cui si è discusso.

È stata infatti registrata, con paradigmi diversi, l’attivazione di aree che vanno dal sistema limbico (la corteccia cingolata anteriore e l’insula anteriore; Singer et al., 2004; de Vignemont e Singer, 2006; Carr et al., 2003; Wicker et al., 2003) alle aree prefrontali (corteccia prefrontale ventromediale; Damasio, 2003), coinvolgendo al tempo stesso le aree parietali (per l’adozione intenzionale del punto di vista altrui - Decety, 2004 - e la distinzione sé/altro - Bachoud- Levi, 2004), quelle motorie (corteccia premotoria e, in generale, circuito dei neuroni specchio; Rizzolatti e colleghi, ultimi vent’anni) e sensoriali (corteccia somatosensoriale; Bufalari et al., 2007; Avenanti et al., 2005), come a sostanziare sul piano neurobiologico proprio la multidimensionalità costitutiva del processo empatico (per i dettagli si confronti Morabito e Galloni, 2011; Galloni, 2011).

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Proprio l’enfasi posta sul ruolo di un’area cerebrale piuttosto che su quello di un’altra, porta gli studiosi a collocarsi dentro modelli diversi: per esempio, Damasio sottolinea l’interconnessione e il feedback tra aree di alto e basso livello, mentre Rizzolatti e colleghi evidenziano di più il valore funzionale dei nuclei interni per ricondurre a meccanismi più semplici il funzionamento cerebrale.

L’empatia si configura dunque come un’esperienza corporea e cosciente del sentimento dell’altro, che può prendere differenti forme. Essa emerge da vari meccanismi di basso livello e implica l’attivazione di una rete dinamica di aree cerebrali.

V. CONCLUSIONI

Solo a partire da un quadro degli studi recenti concernenti i meccanismi del rispecchiamento sé/altro è possibile riflettere sui mutamenti verificatisi nel concetto stesso di empatia, sui cambiamenti di prospettiva e su come essi dipendano da, e dialetticamente retroagiscano su, un più generale modo di studiare la mente ed il comportamento umano (cfr. Galloni, in press), nell’ottica di quella che viene definita embodied cognition.

Tenendo dunque assieme, in maniera fortemente interdisciplinare, i modelli teorici e le scoperte neuroscientifiche, è stato possibile tentare di formulare una funzionale tassonomia neurofilosofica dei differenti livelli di meccanismi di rispecchiamento, composta da costrutti a vari livelli di complessità (contagio emotivo, risonanza sensori-motoria,

perspective-taking, simpatia, comportamento prosociale; cfr. Galloni, 2009), basati sulle solide fondamenta costituite

dalla risonanza emozionale da un lato, e dalla risonanza motoria dall’altro, poiché l’empatia associa emozione (stato affettivo) e pensiero (cambiamento intenzionale di punto di vista), percezione e simulazione sensorimotoria, consapevolezza e conoscenza di sé e dell’altro.

RIFERIMENTI

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Motor attention in procedural learning: behavioral and

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