Francesco Pugliese, Domenico Parisi
Francesco Pugliese Laboratorio per lo studio dei processi cognitivi naturali e artificiali, Università di Napoli “Federico II”; e-mail: [email protected]
Domenico Parisi Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione, Consiglio Nazionale delle Ricerche; e-mail: [email protected]
Abstract— Vivere insieme significa, molto spesso, condividere uno stesso ambiente fisico, in generale risorse fisiche. Ma
cosa accade quando più organismi condividono le medesime risorse ? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi della socialità ? In questo paper si cerca di affrontare le tematiche associate alla socialità, fornendo alcuni risultati prelimari su cosa “il vivere insieme” può comportare. Lo studio connesso al paper è propedeutico ad uno studio più ampio che riguarderà l’analisi dei meccanismi sottostanti alla formazione del “grouping” e all’emergere della “leadership/followership” in organism naturali o artificiali.
Index Terms— Socialità, Vivere insieme, Leadership
V.INTRODUZIONE
Come è noto tutti i membri di una medesima specie animale “vivono insieme”, quasi sempre, in uno stesso ambiente fisico. E’ possibile interpretare il “vivere insieme” nel senso più ristretto del termine, ovvero a seconda di come due o più individui della stessa specie vivano in prossimità spaziale rispetto a ciascun altro, percependo l’altro e compiendo azioni che cambiano l’ambiente circostante. In questa accezione, allora, non tutte le specie animali utilizzano il “vivere insieme” allo stesso modo e con la stessa intensità. In questo paper si intende il “vivere insieme” come “vivere socialmente”. Il vivere sociale è una questione di grado. E’ chiaro che in tutte le specie sessuate, due individui di sesso opposto devono stare in prossimità, al fine di potersi accoppiare, e in molte specie i genitori restano in prossimità della prole per tenerli vivi. Ma è altrettanto ormai chiaro che alcune specie tendono ad essere più sociali di altre al di là delle necessità biologiche di riprodursi e prendersi cura della prole.
La sociologia dei primati si occupa da tempo dello studio di quali potrebbero essere le condizioni che hanno portano alla formazione dei gruppi nelle scimmie. Vari autori hanno suggerito che il raggruppamento fornisce tali benefici che le differenze nelle differenti misure dei gruppi, tra razze diverse o all’interno di una stessa razza, debba essere ricercato essenzialmente negli svantaggi che la dimensione del gruppo determina in un dato contesto ecologico [1]. Gli animali che devono cibarsi su aree più grandi per poter incontrare le proprie esigenze nutritive, necessitano di una espansione del gruppo di appartenenza, con un conseguente aumento dei tempi e dei costi di viaggio e percorrenza dell’intero gruppo [2],[3]. Altri autori suggeriscono che la misura dei gruppi nelle scimmie “ragno” sia condizionata dalle dimensioni, dalla densità e dalla distribuzione delle porzioni di cibo a disposizione, dal momento che queste variabili influenzano i costi di spostamento [4].
Il vivere sociale dunque va aldilà della riproduzione. Pertanto, un’interessante domanda di ricerca è : Quali sono i vantaggi e gli svantaggi adattivi di vivere insieme ? Il seguente lavoro ovviamente non ha la pretesa di spiegare tutto l’universo di dinamiche che conducono gli esseri biologici a vivere insieme in gruppi o società. Tuttavia ci si pone l’obiettivo di identificare quali potrebbero essere alcuni fattori e meccanismi che favoriscono un incremento delle probabilità di sopravvivenza negli organismi naturali o artificiali allorquando essi vivono socialmente. Per fare questo si è fatto ricorso alla metodica delle simulazioni neuro-robotiche che già in passato hanno fornito differenti risposte sullo studio di fenomeni affini a quello qui presentato [5],[6].
VI. MATERIALI E METODI
Sono stati sviluppati 3 setup sperimentali che affrontano lo studio della socialità sotto diverse angolazioni. Primo setup (“baseline”). Una popolazione di robot, al fine di sopravvivere e riprodursi, deve raggiungere un’ area (una food zone che potrebbe essere la metafora di un bosco o un cespuglio) contenente delle risorse elevate di cibo. L’ambiente è
159
un quadrato di 275 x 275 cm delimitato da mura. La food zone è idealmente una circonferenza di 55 cm di diametro ed è localizzata in una posizione fissa in prossimità di un angolo dell’ambiente. I robot simulati hanno un corpo circolare di 5,5 cm di diametro e due ruote che gli permettono di muoversi nello spazio. Ciascun robot dispone di un sistema olfattivo che viene attivato/disattivato a seconda delle condizioni in analisi. Il sistema olfattivo permette al robot di percepire, ad una certa distanza, l’angolazione della food zone rispetto al proprio corpo. Inoltre il sistema sensoriale di ogni robot è composto da un altro sensore (ground sensor) in grado di percepire se il robot è all’interno della food zone. In questo primo esperimento sono state confrontate due popolazioni di robot : a) una popolazione di robot che vivono solitariamente nell’ambiente; b) una popolazione di robot che vivono socialmente nell’ambiente, ovvero 100 individui che agiscono contemporaneamente nel medesimo ambiente. In entrambi i casi, sono state confrontate poi la condizione in cui il sistema olfattivo dei robot è perfettamente funzionante ad una distanza di percezione che copre tutto l’ambiente, ed un caso in cui il sistema olfattivo risulta disattivato (tranne il ground sensor), ovvero i robot non sono in grado di percepire l’orientazione della food zone, ma sono in grado soltanto di capire quando vi sono posizionati sopra. In totale sono state ottenute quattro condizioni differenti : (1.a) - Vivere “singolo”, sistema olfattivo disattivato; (1.b) - Vivere “sociale”, sistema olfattivo disattivato; (2.a) - Vivere “singolo”, sistema olfattivo attivato; (2.b) - Vivere “sociale”, sistema olfattivo attivato. Nelle condizioni con sistema olfattivo attivato, i robot sono in grado di “fiutare” la food zone a qualsiasi distanza. Gli individui sono stati fatti evolvere nell’ambiente secondo la tecnica dell’algoritmo genetico.
Secondo setup. Sono state riprodotte le condizioni 2.a. e 2.b. del primo setup sperimentale ovvero dove gli individui possono “fiutare” la food zone a qualsiasi distanza, ma imponendo un limite alla distanza di percezione. In pratica sono stati fatti evolvere sia nella condizione sociale che in quella individuale, robot in grado di percepire la food zone a distanze limitate di 55 cm (a), 110 cm (b), 137.5 cm (c). Nel primo setup i robot potevano percepire a qualsiasi distanza. Tutti gli altri parametri, compresi il robot e l’ambiente, restano invariati rispetto al primo setup. Questo setup ha l’obiettivo di capire in che modo la socialità può portare dei vantaggi laddove la capacità percettiva non è più illimitata.
Terzo setup. Nel terzo setup è stata riprodotta la condizione 2.b, ovvero sociale e con sistema olfattivo attivato, facendo variare però questa volta la numerosità della popolazione nelle seguenti scale : 25,50,100,200. Obiettivo di questo ultimo setup è quello di comprendere in che modo la numerosità della popolazione (e quindi l’aumento dell’intralcio fisico che ne deriva) incide sulla capacità di alimentarsi e quindi sulla capacità di sopravvivere.
VII. RISULTATI
Primo setup (“baseline”). Facendo evolvere i robot nelle quattro condizioni, sono stati prodotti dei risultati che evidenziano come, nel caso in cui i robot abbiano il sistema olfattivo attivato, essi sviluppino due abilità : quella di “sentire” e dunque localizzare la presenza della food zone e quella di riuscire a stazionare sopra di essa. Mentre nel caso in cui i robot presentano il sistema olfattivo disattivato (tranne il ground sensor) sviluppano esclusivamente la capacità di stazionare sulla food zone non avendo altre informazioni utili a localizzarla. Si osserva tuttavia che i robot, evolutisi in assenza del sistema olfattivo, esibiscono delle spiccate tendenze esplorative rispetto ai robot dotati di sistema olfattivo che tendenzialmente esibiscono un comportamento di “migrazione” verso la food zone, potendola percepire a qualsiasi distanza. Inoltre, dato ancor più interessante, è che i robot che vivono da soli nell’ambiente (durante il periodo evolutivo) raggiungono in media delle prestazioni superiori (mangiano di più) rispetto robot che vivono socialmente, e questo è vero sia nella condizione in cui possono percepire e sia in quella in cui non possono percepire la food zone (fig. 1). Inoltre, sono stati effettuati alcuni “test in laboratorio”, tra cui in uno, in particolare, sono stati estratti gli individui evoluti socialmente ed inseriti singolarmente nell’ambiente e testati per calcolarne la fitness media. Sia nel caso di percezione della fz e sia in quello di non percezione, si osserva che la fitness è inferiore a quella delle rispettive condizioni in cui gli individui sono stati fatti evolvere singolarmente. Questo dimostrerebbe che l’intralcio fisico derivante dalla socialità influisce sull’evoluzione degli individui e quindi sul comportamento successivo anche quando questi individui sono inseriti da soli nell’ambiente : comunque non risultano in grado di ottenere prestazioni identiche agli individui evoluti da soli.
160
Figura 1. Fitness ottenute nelle quattro condizioni.
Secondo setup. I risultati di questo setup denotano come la socialità non è più così penalizzante quando c’è una distanza limitata di percezione della fz, rispetto alla condizione di “onniscienza” ossia di totale percezione. Infatti mentre in condizioni di onniscienza il gap di fitness tra la condizione di evoluzione sociale e singola è di 1785 unità di cibo medie, a distanze limitate si hanno 55 cm : 476 u.c; 110 cm : 349 u.c.; 137.5 cm :249 u.c. Questo dipende dall’accresciuta probabilità di intercettare il cibo che si ha nell’evoluzione sociale rispetto a quella singola.
Figura 2. Gap di fitness tra la condizione di “onniscienza” e qualle di distanza di percezione limitate a) 55 cm, b) 110 cm, d) 137.5 cm
Terzo setup. I dati di questa simulazione, ci mostrano come essenzialmente il vantaggio della socialità negli organismi biologici (o artificiali) derivi da un incremento delle probabilità di successo e quindi di sopravvivenza delle
161
popolazioni, anche se questo vantaggio è controbilanciato dallo svantaggio dell’intralcio fisico derivante dalla socialità stessa. Probabilità e intralcio fisico sarebbero due fattori contrapposti. Infatti, la forma ad “S” della curva delle fitness al variare della numerosità, denota come entro una certa soglia, la probabilità di trovare il cibo elevata per popolazioni numerose permette di mantenere delle prestazioni elevate, ma dopo diventa penalizzante e la fitness decade con popolazioni numerosissime (fig.3).
Figura 3. Valori della fitness in funzione della numerosità della popolazione.
VIII. CONCLUSIONI
Dai risultati di questo studio preliminare, si evince che il vivere “sociale” comporta degli svantaggi notevoli dovuti all’aumento dell’intralcio fisico, che subentra inevitabilmente con l’aumento della numerosità della popolazione a parità di ambiente e di spazi. Tuttavia il divario tra socialità e individualità si assottiglia quando subentrano delle limitazioni fisiche nell’accesso al cibo (scarsa visibilità) o in condizioni di non eccessiva numerosità della popolazione. La socialità infatti accrescerebbe la probabilità di approvvigionamento e quindi di sopravvivenza del gruppo, in linea con i dati empirici provenienti dall’etologia. Studi futuri riguarderanno il ruolo della formazione della leadership nei gruppi, della socialità in presenza di razze e specie differenti e delle variabili che incidono sulla dimensione del gruppo.
REFERENCES
[1] Terborgh J, Janson CH (1986) The socioecology of primate groups. Annu Rev Ecol Syst 17:111-135
[2] Chapman CA (1990b) Ecological constraints on group size in three species of neotropical primates. Folia Primatol 55:1-9
[3] Wrangham RW, Gittleman JL, Chapman CA (1993) Constraints on group size in primates and carnivores: population density and day-range as assays of exploitation competition. Behav Ecol Sociobiol 32:199-210
[4] Colin A. Chapman* Richard W. Wrangham Lauren J. Chapman Ecological constraints on group size: an analysis of spider monkey and chimpanzees subgroups. Behav Ecol Sociobiol (1995) 36:59-70.
[5] Parisi D., Nolfi S. (2006). Sociality in embodied neural agents. In R. Sun (Ed.) Cognition and Multi-Agent Interaction: From Cognitive Modeling to Social Simulation. New York: Cambridge University Press, pp. 328-354.