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Comparazione con il modello dirigenziale spagnolo: cenni e rinvio

Come ampiamente evidenziato, il problema principale di un sistema amministrativo che nella sua vera funzione stenta a decollare, sta nelle relazioni esistenti tra politica e amministrazione, laddove centrale è il ruolo del dirigente pubblico.

49 Accanto all’approfondimento circa le peculiarità italiane di tale rapporto, nelle analisi successive si presterà particolare attenzione all’articolazione di suddette relazioni nel modello di funzione pubblica adottato in Spagna, e ciò per diversi ordini di motivi. La prima motivazione, ed anche la principale, risiede nel fatto che il tema del rapporto tra politica e pubblica amministrazione, dalla prospettiva della dirigenza, è stata oggetto di un susseguirsi di riforme recenti, sia in Spagna che in Italia.

Nel caso spagnolo, è stata approvata una norma dopo più di 30 anni dall’entrata in vigore della Costituzione del 1978, cioè la legge 7/2007, dello Statuto Basico dell’Impiegato Pubblico.

Questa normativa si riferisce per la prima volta al dirigente pubblico “professionale”, definendolo, nell’articolo 13, come “colui che svolge funzioni dirigenziali professionali nelle pubbliche amministrazioni”. Sino all’approvazione nel 2007 dell’Estatuto Básico del Empleado

Público (Ebep), la legislazione spagnola non prevedeva né regolava specificamente un gruppo

professionale directivo, titolare di alti incarichi di direzione amministrativa e sottoposto all’indirizzo politico del governo.

La comparazione tra i due ordinamenti può rivelarsi proficua perché, sebbene lo Stato spagnolo si trovi ancora in una fase iniziale della questione, si tratta comunque della prima norma che riconosce una dirigenza pubblica professionale; in Italia, invece, la regolamentazione del rapporto fra politica e amministrazione si è configurato come uno degli obiettivi primari della privatizzazione del pubblico impiego, iniziata negli anni ’90.

In tal senso, oggetto di approfondimento saranno le relazioni esistenti tra la politica e l’amministrazione previste dal sistema costituzionale spagnolo, delimitando i confini fra entrambe le sfere di azione, tenendo in considerazione le previsioni stabilite nella Costituzione spagnola del 1978.

A partire dagli anni ’90, in Spagna, si è avviato una graduale processo di “professionalizzazione” degli alti funzionari spagnoli, volto a migliorare l’efficienza e la qualità della funzione pubblica, e fondarla più sui principi del management che su quelli dell’appartenenza politica. Il primo atto in questa direzione può considerarsi l’accordo dell’amministrazione dello Stato con i sindacati per il periodo 1995-1997, che prevedeva di strutturare un settore di personale direttivo e una carriera direttiva all’interno della funzione pubblica.

La Ley de Organizacion y Fun cionamiento de la Administracion General del Estado n. 6 del 1997 costituisce il primo disegno organico di riforma dell’amministrazione generale dello Stato, e, in quest’ambito, muove i primi passi verso la creazione di un ceto direttivo professionale.

50 In tal senso, facendo riferimento al quadro normativo instaurato dalla suddetta Legge del 1997, sull’Organizzazione e il Funzionamento dell'Amministrazione Generale dello Stato (LOFAGE), verrà posta l’attenzione sulla distinzione tra il cosiddetto livello politico (Governo ed Alta Amministrazione), il livello politico amministrativo (altos cargos; personal eventuale rapporto di lavoro speciale) e il livello burocratico-amministrativo (in particolare, l’utilizzazione del sistema di libre designación per la nomina del personale che assume incarichi dirigenziali).

Il processo di professionalizzazione delle funzioni direttive avviato dalla “Lofage”, fu proseguito successivamente con la ley 57/2003 del 16 novembre, con la ley 28/2006 del 18 luglio, e, soprattutto, con il citato Ebep approvato con ley 7/2007.

L’analisi procederà, tenendo in considerazione, da una parte, l’antecedente normativo all’ EBEP, cioè la Legge 28/2006, 18 luglio, delle Agenzie Statali per migliorare i Servizi Pubblici; e, dall’altra, le proposte presentate, in materia di dirigenza pubblica, dal Comitato di Esperti per lo studio e la preparazione dello Statuto Basico dell’Impiegato Pubblico, sul primo passo verso l’auspicata professionalizzazione del dirigente pubblico. Si approfondirà infine la figura del nuovo “dirigente pubblico”, così come appare delineato nell’art. 13 dello Statuto Basico dell’Impiegato Pubblico, il quale non definisce con esattezza da chi sia composto il personal

directivo profesional, ma si limita ad affermare, in modo evidentemente tautologico, che “è

personale direttivo quello che svolge funzioni direttive professionali nelle amministrazioni pubbliche, definite come tali nelle norme specifiche di ciascuna amministrazione”. Si procederà evidenziando soprattutto i diversi aspetti del regime giuridico della figura in questione: concetto, funzioni, sistemi di valutazione, responsabilità dirigenziale, ecc., nonché evidenziando, di volta in volta, le differenze ed i punti di contatto con la disciplina della dirigenza pubblica italiana.

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CAPITOLO II

“Retribuzione del dirigente pubblico e metodi di incentivazione della produttività”

1. Le esigenze di riduzione della spesa e di aumento della produttività: pareggio di bilancio versus retribuzioni statali

2. Il ruolo della negoziazione collettiva nella determinazione del trattamento economico del dirigente pubblico

3. La sentenza della Corte cost. n.178/2015. Blocco della contrattazione collettiva e pareggio di bilancio nel bilanciamento di interessi

4. La struttura retributiva: il trattamento economico fondamentale e quello accessorio

5. Il trattamento accessorio e gli altri incentivi: la retribuzione di posizione 6. Segue… e la retribuzione di risultato

Sezione I

MERITO E PREMIALITA’

7. La valorizzazione delle performance

8. L’implementazione del sistema di valutazione della performance individuale 9. Il dirigente quale soggetto attivo e passivo del processo di valutazione 10. Il medico-dirigente e la valutazione dei risultati

11. Un esempio di comparazione: la retribuzione collegata alle performance nel modello spagnolo

Sezione II

PROFILI FISCALI DEI SISTEMI INCENTIVANTI

12. La retribuzione di risultato tra politiche incentivanti e politiche fiscali 13. Il principio di onnicomprensività: la lente del giuslavorista

14. Segue… e quella del tributarista

15. Imponibilità del reddito da lavoro dipendente nella P.A. 16. Profili fiscali della retribuzione di risultato

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1. Le esigenze di riduzione della spesa e di aumento della

produttività: pareggio di bilancio versus retribuzioni statali

Il tema del trattamento economico dei dipendenti pubblici in generale, e dei dirigenti in particolare, è uno di quegli aspetti maggiormente articolati - quando si parla di pubblico impiego - per via della stretta correlazione con molteplici altri profili, che spaziano dalla necessità di correlare le esigenze di miglioramento dell’attività amministrativa con quelle di contenimento della spesa pubblica, dal suo legame con la definizione dei sistemi di valutazione, alla sua correlazione con i meccanismi di responsabilità.

Dal 2009 si è tentato di implementare anche nel settore pubblico gli strumenti tipici del lavoro privato, e tra essi, la valutazione delle prestazioni lavorative con la prospettiva di misurare e valutare l’efficienza e la qualità dei servizi resi dalle amministrazioni: la “contrattualizzazione” avrebbe dovuto trovare il proprio apice nella previsione di un trattamento economico legato agli obiettivi posti e ai risultati raggiunti97.

La valutazione delle performance è stata vista, sin dal suo primo ingresso nel settore pubblico98, come un sistema capace di misurare il livello dei servizi e trovare soluzioni per migliorarli ad invarianza di costo. Sebbene i dati empirici abbiano dimostrato che l’insuccesso dei tentativi di miglioramento dei servizi pubblici non è legato alla difficoltà di trovare indicatori di misurazione per la valutazione - in ragione della loro natura molto variegata - quanto alla tolleranza verso forme di scarsa produttività, si è tentato, nella maggior parte dei casi, di giustificare il fallimento dell’apparato valutativo con la carenza delle risorse dedicate allo scopo99.

97 Considerazione che valeva sia con riguardo al personale dei livelli sia al personale dirigenziale, così ZILIO

GRANDI G., Il trattamento economico, in CARINCI F., Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, Commentario, Giuffrè, pp. 377-416.

98 In effetti già prima del 2009 si parlava quantomeno di valutazione, come nella legge delega 59/97 il cui art. 17 conteneva proprio una delega al Governo in tal senso: “1. Nell'attuazione della delega di cui alla lettera c) del comma 1 dell'articolo 11 il Governo si atterrà a[…]: b) prevedere e istituire sistemi per la valutazione, sulla base di parametri oggettivi, dei risultati dell'attività amministrativa e dei servizi pubblici favorendo ulteriormente l'adozione di carte dei servizi e assicurando in ogni caso sanzioni per la loro violazione, e di altri strumenti per la tutela dei diritti dell'utente e per la sua partecipazione, anche in forme associate, alla definizione delle carte dei servizi ed alla valutazione dei risultati; c) prevedere che ciascuna amministrazione provveda periodicamente e comunque annualmente alla elaborazione di specifici indicatori di efficacia, efficienza ed economicità ed alla valutazione comparativa dei costi, rendimenti e risultati; d) collegare l'esito dell'attività di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati alla allocazione annuale delle risorse; e) costituire presso la Presidenza del Consiglio dei ministri una banca dati sull'attività di valutazione, collegata con tutte le amministrazioni attraverso i sistemi di cui alla lettera a) ed il sistema informatico del Ministero del tesoro - Ragioneria generale dello Stato e accessibile al pubblico, con modalità da definire con regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Tale delega è stata poi attuata dal d.lgs. 286/1999 che tra l’altro all’art. 5 detta le regole di valutazione del personale con incarico dirigenziale, mentre nel testo unico del 2001 vi è solo un riferimento alla valutazione negativa del dirigente a mente dell’art. 21 in tema di responsabilità dirigenziale.

53 In effetti di certo non sono stati d’aiuto i numerosi interventi di spending review e il contesto di crisi economica degli ultimi anni, nonché la sospensione delle procedure negoziali che, a partire dal 2010, evidenziano in maniera dirompente l’annosa questione del rapporto tra dirigenza, politica, risorse disponibili e strumenti possibili di miglioramento del sistema amministrativo partendo dal suo vertice.

I ritardi nei rinnovi contrattuali rivelano il cronico disfunzionamento del sistema di contrattazione collettiva nelle pubbliche amministrazioni100 e, altresì, come questa sorta di rincorsa anche sul piano salariale non possa che svolgere effetti negativi sul piano degli istituti incentivanti già previsti dal d.lgs. 165/2001 (TUPI) e dalla contrattazione collettiva medesima.

In tema di blocco delle retribuzioni statali è bene tenere a mente il suo intreccio con il principio di carattere generale – introdotto dalla l. costituzionale n. 1 del 2012, con cui il legislatore nazionale ha novellato gli articoli 81, 97, 117 e 119 Cost. - secondo il quale tutte le amministrazioni pubbliche devono assicurare l’equilibrio tra entrate e spese del bilancio e la sostenibilità del debito, nell’osservanza delle regole dell'Unione europea in materia economico-finanziaria.

In particolare, con la modifica dell’articolo 81 Cost. lo Stato deve garantire l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle diverse fasi – avverse o favorevoli – del ciclo economico e delle misure una-tantum, in linea con quanto previsto dall’ordinamento europeo. La Corte Costituzionale, come si vedrà, investita della questione di legittimità sul blocco dei rinnovi contrattuali, non poteva prescindere nella sua valutazione dall’impatto economico della contrattazione, ed ha sancito che la sospensione della contrattazione comporta un bilanciamento irrazionale tra libertà sindacale ed esigenze di razionale distribuzione delle risorse e controllo della spesa, all’interno di una coerente programmazione finanziaria (art. 81, 1° comma, Cost.)101.

100 V. ZOPPOLI L., Una riforma che riprende faticosamente il suo cammino, in RGL, I, p. 289 ss., 2007; BELLAVISTA A.,

Lavoro pubblico e contrattazione collettiva, in RGL, I, p. 333 ss., 2007.

101 “Il blocco delle retribuzioni sarebbe legittimo, in quanto circoscritto ad un periodo contenuto, in concomitanza con una situazione eccezionale di emergenza economica e finanziaria, e risponderebbe all’obiettivo di rispettare l’equilibrio di bilancio (art. 81 Cost.) adottando politiche proiettate in un periodo che necessariamente travalica l’anno. […..] Se i periodi di sospensione delle procedure “negoziali e contrattuali” non possono essere ancorati al rigido termine di un anno, individuato dalla giurisprudenza di questa Corte in relazione a misure diverse e a un diverso contesto di emergenza (sentenza n. 245 del 1997, ordinanza n. 299 del 1999), è parimenti innegabile che tali periodi debbano essere comunque definiti e non possano essere protratti ad libitum. Su tale linea converge anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha sottolineato l’esigenza di “un “giusto equilibrio” tra le esigenze di interesse generale della comunità e i requisiti di protezione dei diritti fondamentali dell’individuo” e ha salvaguardato le misure adottate dal legislatore portoghese – in tema di riduzione dei trattamenti pensionistici – sulla scorta dell’elemento chiave del limite temporale che le contraddistingue (Seconda sezione, sentenza 8 ottobre 2013, António Augusto da Conceiçao Mateus e Lino Jesus Santos Januário contro Portogallo, punti 23 e seguenti del Considerato in diritto)”. Corte Cost. n. 178 del 24 giugno 2015.

54 La materia della gestione dei premi e degli incentivi per i dirigenti pubblici - frutto del processo di valutazione della prestazione - è orientata da diversi anni a trovare soluzioni volte a favorire la diffusione di una cultura di tipo aziendalistico, introducendo concetti di efficacia e di efficienza nella gestione delle risorse, con risultati, peraltro, non sempre incoraggianti.

A partire dal d.lgs. 150/2009 viene definito ex lege un apparato di misure apparentemente volte a sottolineare la responsabilità e autonomia della classe dirigenziale che incardina il dirigente in un sistema di regole organizzative e procedurali che, “garantendo l’autonoma determinazione del dirigente e mettendo rigidi paletti alla contrattazione collettiva”102, danno luogo nondimeno ad interpretazioni anche opposte, in quanto nel perseguimento degli obiettivi di efficienza il dirigente non ha più possibilità di nascondersi dietro l’alibi, ad esempio, di una presenza pervasiva del soggetto sindacale103.

Il quadro dirigenziale degli ultimi anni vede competenze ampliate quantitativamente ma decisamente ridimensionate sul piano della discrezionalità104, e, nel controllare l’operato del dirigente, come si vedrà, soprattutto a partire dal 2009, si è fatto più volte ricorso alla leva retributiva che, con riferimento in particolare alla parte accessoria, assume decisamente una duplice finalità, punitiva oltre che incentivante105.

C’è da dire che, in prospettiva, il nuovo apparato normativo delineato dalla legge delega 124/2015, si propone l’obiettivo di creare una dirigenza pubblica fortemente qualificata e competente, con carriere ispirate alla trasparente selezione, valutazione e progressione anziché a legami di solidarietà politica, che dovrebbero rappresentare l’ossatura di amministrazioni pubbliche dove si perseguono interessi di tutti e non di una o poche parti. Ciò a cospetto di un principio di invarianza della spesa pubblica che si teme non possa essere rispettato e sul quale anche il Consiglio di Stato ha espresso scetticismo in ordine alla fattibilità concreta della riforma106.

102 ZOPPOLI L., Il ruolo della legge nella disciplina del lavoro pubblico, in ZOPPOLI L., Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro

pubblico, Esi, 2011, p. 35.

103 Vista l’evidente esaltazione, nella riforma del 2009, dei poteri e delle prerogative unilaterali, VISCOMI A., La

contrattazione collettiva nazionale, in ZOPPOLI L., Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, cit., p. 59.

104 Così LUCIANI V., Il trattamento economico dei dirigenti pubblici, in FIORILLO L., PERULLI A., Il lavoro alle

dipendenze delle amministrazioni pubbliche, Giappichelli, 2013, p. 880.

105 Secondo CARUSO B., Le dirigenze pubbliche tra nuovi poteri e responsabilità. Il ridisegno della governance nelle p.a. italiane, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, 104/2010 “il dirigente è ad un tempo più libero e più vincolato; più astrattamente libero dalle tracimazioni di altri attori, ma più vincolato dalla legge”.

106 Cons. Stato parere n. 2113/2016 del 14 ottobre 2016: “Non è sufficiente prevedere nuove regole di disciplina se poi non si prende in adeguata considerazione la fase di attuazione della riforma stessa e l’impiego di risorse finanziarie e umane che essa può richiedere: si pensi tra l’altro ai costi di gestione della banca dati ovvero della necessità che alcune funzioni previste, quali quelle della Commissione, non possano essere svolte in aggiunta agli attuali impegni di lavoro, ma richiedano una piena dedizione. Senza una riconsiderazione di questo principio di

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2. Il ruolo della negoziazione collettiva nella determinazione del

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