La responsabilità disciplinare presenta per la dirigenza pubblica rilevanti profili di specificità rispetto alla sua disciplina nel settore privato.
Il dirigente, in ragione della doppia configurazione di prestatore di lavoro e di datore, è attore sia sul versante attivo - in quanto soggetto promotore e prosecutore del procedimento disciplinare per le infrazioni di minore gravità per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per più di dieci giorni (con esplicitata responsabilità nel caso di mancata attivazione o prosecuzione dell'azione disciplinare259) - sia sul versante passivo, quale soggetto destinatario di sanzioni disciplinari anche conservative, nell’ambito di un sistema normativo che impone un recesso dell’amministrazione necessariamente causale.
Proprio l’esclusione di un regime legale di libera recedibilità costituisce un significativo elemento di differenziazione rispetto alla dirigenza privata. In stretta connessione si pone il
257 Per violazione dei tipici obblighi di diligenza e di fedeltà.
258 Nell’art. 21, comma 1-bis una tipica ipotesi di responsabilità disciplinare segue, infatti, il percorso di addebito della responsabilità dirigenziale/manageriale con audizione del Comitato dei garanti. Il fatto che i due tipi di responsabilità tendessero ad assomigliarsi anche sotto il profilo delle procedure era verificabile anche prima della riforma del 2009. In effetti i contratti collettivi per la dirigenza del settore sanitario prevedevano già durante la tornata contrattuale 1998/2001 la prospettiva di sottoporre al Comitato dei garanti pure la sanzione disciplinare. L’art. 23 del CCNL 8 giugno 2000 relativo all’area medico e veterinaria si ponevano in questa direzione. Del resto la giurisprudenza, in più di un’occasione ha ratificato la necessità, prevista per contratto, di avallare la sanzione disciplinare con il parere di un organismo (il Comitato dei garanti) nato invece per l’addebito dirigenziale in senso stretto. V. SPINELLI C., Licenziamento per giusta causa del dirigente medico e parere del Comitato dei Garanti, (Nota a Trib.
Firenze, sentenza 15 gennaio 2004), in LPA, 2004, p. 199; anche se i giudici di II grado riformano la sentenza nel
senso che il parere del Comitato dei garanti è da richiedersi solo rispetto alla fattispecie di responsabilità dirigenziale.
259 Peraltro, la possibilità di giustificare la decadenza dall'azione disciplinare pare avere da un punto di vista logico poco senso. Infatti tale situazione coincide o con il non avere elementi per procedere o ritenerli comunque irrilevanti. Dunque, ragioni che dovrebbero portare in positivo all'adozione di un provvedimento di archiviazione.
130 tema dell’individuazione delle tutele applicabili al dirigente illegittimamente licenziato, derivante dalla coesistenza di non coordinate disposizioni di fonte contrattuale e legislativa.
Un legislatore che per tutti i pubblici dipendenti, con altro considerevole profilo di specialità rispetto al lavoro privato, individua una serie di comportamenti inadempienti tali da comportare l'irrogazione del licenziamento: con riguardo a tale previsione occorre valutare l’integrale applicabilità alla categoria dirigenziale delle ipotesi ivi previste, nonché, con considerazione di più ampio respiro, l’esistenza o meno di un vincolo a procedere all’applicazione della sanzione espulsiva. Nondimeno con specifico riferimento al licenziamento sarà interessante anche considerare come si atteggia l’elemento fiduciario nel rapporto di lavoro del dirigente pubblico. Il tema è stato in prevalenza affrontato con riguardo alla fase di conferimento dell’incarico260, con limitata attenzione al venir meno della fiducia quale ragione giustificatrice del recesso dell'amministrazione. L’indagine, come si vedrà più avanti, sarà svolta avendo riguardo al particolare rapporto esistente tra il potere disciplinare e gli altri poteri datoriali (direttivo e di controllo) nel lavoro pubblico. Un settore in cui, peraltro, come già evidenziato i generali obblighi del prestatore di lavoro sono integrati e specificati da quanto previsto dal Codice di comportamento.
Ancora l’assoggettamento del dirigente pubblico a sanzioni conservative segna un altro netto elemento di divaricazione rispetto al settore privato ove la connotazione di vertice dell'attività dirigenziale e la ritenuta conseguente attenuazione della subordinazione comportano che non siano concepite sanzioni differenti da quella espulsiva in cui si concentra il potere disciplinare261.
La previsione di sanzioni conservative ha altresì rilevanti implicazioni di rilievo sistematico262 in ragione della particolare struttura del rapporto di lavoro dirigenziale che, come noto, per la dirigenza di ruolo contempla la coesistenza di un contratto a tempo
260In merito v. ENDRICI G., Il potere di scelta, Bologna, 2000; D'ALESSIO G., La dirigenza: imparzialità amministrativa e
rapporto di fiducia con il datore di lavoro, in LPA, 2007, 349 ss.; BATTINI S., L'autonomia della dirigenza pubblica e la
“riforma Brunetta”: verso un equilibrio fra distinzione e fiducia?, in GDA, 2010, p. 41 ss.
261Così, con riferimento al settore privato, v. espressamente GRAGNOLI E., L'esercizio del potere disciplinare nei
confronti del dirigente privato, in MAINARDI S. (a cura di), Il potere disciplinare del datore di lavoro, Giappichelli, 2012, 387.
262Antecedentemente alla novella del 2009 la dottrina era divisa. Ad esempio, MAINARDI S., L'estinzione del
rapporto, in F. CARINCI- MAINARDI S. (a cura di), La dirigenza nelle pubbliche amministrazioni. Dal modello unico
ministeriale ai modelli caratterizzanti le diverse amministrazioni, Giuffrè, 2005, 271 s., riteneva che la scelta operata dai
contratti collettivi di prevedere l'esercizio del potere disciplinare nei confronti dei dirigenti nella sola forma della più grave delle sanzioni costituita dal licenziamento risultasse ragionevole in relazione ai soggetti destinatari in ragione del particolare rapporto di fiducia che li lega all'amministrazione, traendone la giustificazione dell'omessa predisposizione di un codice disciplinare. Altra parte, v. ad esempio LANOTTE M., Il licenziamento del dirigente
pubblico, Giappichelli, 2003, p. 134, sottolineava come la mancata definizione di un codice disciplinare e la
configurazione del licenziamento come unica sanzione apparisse una scelta discutibile in ragione delle differenze esistenti tra la dirigenza del settore privato e quella del settore pubblico.
131 indeterminato e di un incarico a termine263. Non meno rilevanti sono alcune speciali regole di carattere procedimentale dettate perla sola dirigenza pubblica tra le quali quelle che prevedono in taluni casi una dissociazione tra l’organismo competente per la fase istruttoria ed il titolare del potere di applicazione della sanzione; una divisione che impone di dover definire il ruolo e la competenza del secondo soggetto, cioè di delimitare in quale misura sia vincolato alle risultanze della fase istruttoria e, segnatamente, all’obbligo di applicare la sanzione proposta.
Il d.lgs. 165/2001, come novellato dal d.lgs. 150/2009, prevede espressamente le ipotesi di infrazioni disciplinari con le relative sanzioni:
- il rifiuto ingiustificato a testimoniare o a collaborare in un procedimento disciplinare in corso presso altra pubblica amministrazione per il quale si prevede la privazione della retribuzione fino a 15 giorni (art. 55 bis, comma 7);
- il comportamento inadempiente rispetto al controllo delle condotte assenteistiche che prevede in capo al dirigente l’applicazione delle disposizioni riguardanti la fattispecie di responsabilità disciplinare di cui all’art. 55 sexies, comma 3, d.lgs. 165/2001, nonché dell’art. 21 dello stesso decreto;
- il mancato esercizio o la decadenza dell’azione disciplinare, dovuti all’omissione o al ritardo, degli atti del procedimento disciplinare o a valutazioni sull’insussistenza dell’illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, in relazione a condotte aventi oggettive e palesi rilevanza disciplinare, che comporta per il soggetto responsabile avente qualifica dirigenziale la sospensione del servizio con privazione della retribuzione in proporzioni alla gravità dell’ infrazione non perseguita, fino ad un massimo di tre mesi in relazioni alle infrazioni sanzionabili con il licenziamento, ed altre si la mancata attribuzioni della retribuzione di risultato per un importo pari a quello spettante per il doppio del periodo della durata della sospensione.
Nell’ambito dei principi e criteri direttivi dettati dall’articolo 17, comma 1, della legge n. 124 del 2015, per la riforma del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e dei connessi profili di organizzazione amministrativa, quanto alla responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti, si prevede l’introduzione di norme “finalizzate ad accelerare e rendere
263 Che come rileva D'AURIA G., La tormentata riforma della dirigenza pubblica, in LPA, 2001, p. 20 costituisce l'elemento di specialità del rapporto di lavoro del dirigente pubblico; in merito ZOPPOLI A., Dirigenza, contratto di
lavoro e organizzazione, Jovene, 2000, p. 230 ritiene così di poter configurare un modello di distinzione funzionale e
132 concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare” (lettera s).
Nonostante il tono generale della norma delegante, nello schema di decreto legislativo approvato per dare attuazione alla delega posta dall’articolo 17, c. 1, lett. s, legge n. 124/2015, il Governo, anche sull’onda di recenti vicende che hanno catalizzato l’attenzione mediatica sugli illeciti disciplinari di alcuni dipendenti pubblici, ha ritenuto di occuparsi solo ed esclusivamente del licenziamento per “falsa attestazione della presenza in servizio”, formulando ben cinque commi aggiuntivi al testo dell’articolo 55-quater del decreto legislativo n. 165/2001. Questa disposizione, al comma 1, lettera a, già prevede, in realtà, la sanzione del licenziamento disciplinare senza preavviso in caso di “falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente”, oltre che per “giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia”.
Lo schema di decreto legislativo provvede, tuttavia, a ridefinire la fattispecie, ampliandola e dettagliandola quanto alle possibili modalità di esecuzione dell’illecito. Si prevede, infatti, che qualunque modalità fraudolenta posta in essere per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione, presso la quale il dipendente presta servizio, circa il rispetto dell’orario di lavoro costituisce falsa attestazione della presenza in servizio. L’illecito disciplinare si configura anche nel caso in cui il dipendente si sia avvalso dell’aiuto di terzi, i quali sono ritenuti a loro volta responsabili della medesima violazione, per aver agevolato – con la propria condotta attiva ma anche solo omissiva – la condotta fraudolenta (c. 1-bis). Con riferimento agli aspetti procedurali, lo schema di decreto interviene, come approfondirà nel prosieguo della trattazione, sul ricorso alle misure cautelari e sui termini del procedimento disciplinare.
Lo schema di decreto è stato trasmesso, per la formulazione di un parere, al Consiglio di Stato il quale - premessa una valutazione di generale condivisione della scelta operata dal Governo, nell’esercizio della delega, di concentrare l’attenzione sul fenomeno dell’assenteismo nei casi di falsa attestazione della presenza in servizio - si è poi pronunciato sulle singole previsioni normative, ravvisando per alcune di esse gli estremi della carenza di un adeguato supporto di delega legislativa. Il Collegio ha censurato per eccesso di delega la disposizione che si occupa della disciplina dell’azione di responsabilità per danno di immagine alla pubblica amministrazione (c. 3-quater, di cui è fatta salva solo la prima parte, che si concretizza in un mero obbligo di denuncia e segnalazione, rispettivamente al Pubblico Ministero e alla competente procura regionale della Corte dei conti, connesso al compimento dei fatti per cui
133 si avvia il procedimento disciplinare) e quella che introduce una nuova fattispecie di reato per omissione di atti di ufficio, diversa rispetto a quella tipizzata dall’art. 328 c.p. (c. 3-quinquies). Con riferimento alle altre previsioni normative, il Collegio, pur ritenendole coerenti con i princìpi direttivi della delega, non ha mancato di formulare alcuni suggerimenti al Governo, sia nel merito che riguardo alla tecnica redazionale dei testi. Così, ad esempio, è stata segnalata l’esigenza di un più adeguato coordinamento tra le nuove disposizioni e quelle previgenti, più precisamente tra quelle relative al procedimento disciplinare accelerato e la disciplina generale del procedimento disciplinare contenuta negli articoli 55 e seguenti del n. 165 del 2001, nonché, in ordine alla qualificazione della fattispecie, tra la nuova previsione del comma 1-bise quella del comma 1, lett. a, dello stesso art. 55-quater.
Altri rilievi hanno riguardato l’adeguatezza e la proporzionalità delle misure adottate, talora ritenute carenti. In tale prospettiva, si è evidenziata l’assenza di ogni riferimento alla corresponsione di un assegno alimentare a fronte della sospensione obbligatoria dal servizio, che risulterebbe invece coerente con la natura cautelare del provvedimento e la salvaguardia delle esigenze di sostentamento del dipendente privato della retribuzione, come del resto già previsto in caso di sospensione cautelare facoltativa dai contratti collettivi. Analoga considerazione viene riservata all’introduzione della sanzione disciplinare del licenziamento per i dirigenti e i responsabili di servizio che omettono di avviare il procedimento disciplinare nel caso di falsa attestazione della presenza in servizio accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze; tale previsione, per un verso, rende più gravosa la responsabilità disciplinare di questi soggetti in tale ipotesi specifica rispetto a quanto dispone l’art. 55-sexies, c. 3, per il mancato esercizio o la decadenza dell’azione disciplinare e, per altro verso, finisce sostanzialmente per equiparare il dirigente, quanto al trattamento sanzionatorio, a un soggetto che ha concorso al compimento dell’illecito.
5. I presupposti della responsabilità per incapacità manageriale: il mancato