Nonostante ci sia nel concreto una forte resistenza ad implementare un efficace impianto di valutazione, ci sono delle norme, ad esempio quelle relative al settore sanitario spagnolo che sembrano andare verso un’attuazione concreta del sistema valutativo. In tale prospettiva, va letta la previsione di un regime retributivo diretto ad incentivare il singolo professionista collegando il trattamento accessorio di produttività (art. 41 e 43 EM - della Legge 55/2003 sul personale statutario del sistema sanitario) alla performance complessivamente resa (in termini di capacità di iniziativa, partecipazione a programmi, conseguimento di obiettivi programmati, ecc.) sottoposta a procedimenti di valutazione fondati, secondo le recenti modifiche apportate dall’ art. 10.2 del Real Decreto ley n. 15 del 20 aprile 2012, sui principi di uguaglianza, obiettività e trasparenza194, intervenuto ad integrare i criteri generali posti in materia di retribuzione del personale statutario dall’art. 41 EM, ha ribadendo anche che la valutazione della performance inciderà sulla determinazione della retribuzione complementare vincolata alla produttività.
Sezione II
PROFILI FISCALI DEI SISTEMI INCENTIVANTI
12. La retribuzione di risultato tra politiche incentivanti e politiche fiscali
La riforma Madia, seppur non ancora realmente concretizzata, ha avuto il merito di porre le basi per la creazione di un modello normativo basato sui risultati, in cui la figura del dirigente pubblico può essere assimilata a quella del manager dell'azienda privata, e può rappresentare il volano per elevare il grado di economicità ed efficienza delle pubbliche amministrazioni.
Con la creazione del mercato unico degli incarichi, con la fissazione della durata di ciascun mandato, e attraverso la previsione di uno stretto collegamento tra obiettivi e retribuzione si rende evidente la volontà di realizzare un nuovo modello di dirigenza che insiste sul premio di risultato anziché sulla posizione.
L'enfasi viene posta sulla retribuzione di risultato, e questo, come si vedrà più avanti, lo si evince anche dalle previsioni sugli incarichi: in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati si dà luogo alla revoca dell'incarico, con decurtazione della parte variabile della retribuzione; e se entro un anno non si assume un nuovo incarico si decade con possibilità di
194 Il Real Decreto ley n. 15 del 20 aprile 2012 (art. 10.2), intervenuto ad integrare i criteri generali posti in materia di retribuzione del personale statutario dall’art. 41 E.M., ha ribadito anche che la valutazione della performance inciderà sulla determinazione della retribuzione complementare vincolata alla produttività.
95 troncare il rapporto di lavoro alla base della qualifica dirigenziale. Una performance mediocre e insufficiente, dunque, non solo determina il mancato percepimento della retribuzione di risultato ma, se retta dall’inosservanza delle direttive o dal fallito raggiungimento dell’obiettivo, impone l’irrogazione della sanzione ex art. 21 d.lgs. 165/2001 per incapacità manageriale.
Nello stesso senso va il tentativo di ancorare la performance alla corresponsione della retribuzione accessoria: si prevede che almeno il 50% della retribuzione sia dedicata al trattamento accessorio e che in caso di mancata adozione di un sistema di valutazione si ha la decurtazione della retribuzione di risultato.
In effetti già il sistema premiante delineato dalla Riforma Brunetta tentava di superare le contraddizioni tipiche esistenti nelle pubbliche amministrazioni, con l’obiettivo di porre fine alla diffusa pratica dell’elargizione di trattamenti economici indifferenziati a prescindere da qualsiasi logica legata al merito.
Con il sistema di valutazione della performance delle strutture e dei dipendenti, dirigenti compresi, si è cercato di porre enfasi al concetto - mutuato dal settore privato - della valorizzazione della produttività, selezionando le risorse più meritevoli destinatarie di trattamenti economici accessori. In quest’ottica la corresponsione dei premi passa attraverso molteplici strumenti, che spaziano dagli incentivi di tipo economico, a quelli di tipo non economico, volti principalmente alla crescita in termini di carriera e di competenze.
Nei prossimi paragrafi, dopo aver affrontato il tema dell’onnicomprensività della retribuzione, considerato il vizio tipico della contrattazione collettiva nel settore privato - stante l’assenza di riferimenti chiari ed espliciti sulla nozione di retribuzione, utile ai fini della determinazione di altri elementi retributivi - risolto invece a livello normativo e contrattuale nel settore pubblico, si darà luogo ad un collegamento tra due concetti apparentemente estranei l’uno all’altro perché situati in prospettive diverse. Un conto è, infatti, la retribuzione come concetto essenziale del diritto del rapporto individuale di lavoro, che riassume l'ineliminabile conflitto tra chi lavora e chi detiene i mezzi di produzione, altro conto è invece la retribuzione assoggettabile ad esazione fiscale e contributiva: si vedrà come l'onnicomprensività sia un carattere comune ad entrambe le fattispecie.
La nozione di reddito da lavoro e di retribuzione traggono la stessa ragion d'essere in un sistema di produzione capitalistico, come quello regolato dall’art. 41 della Costituzione, dallo scambio che avviene tra la collaborazione lavorativa ed i necessari mezzi di vita.
L’analisi del trattamento fiscale della retribuzione, con particolare attenzione a quella di risultato, nasce dalla consapevolezza che quella caratterizzata dallo scambio con il lavoro non è l’unica prospettiva dalla quale il concetto di retribuzione, nella sua varietà di accezioni, può
96 essere preso in considerazione. Il dato di partenza è quello dell'armonizzazione delle due nozioni di imponibile, ai fini fiscali e contributivi, seppur senza arrivare alla loro unificazione. L’art. 6 del d.lgs. n. 314/1997, novellando l’art. 12 della L. n. 153/1969, ha ampliato al massimo la nozione di retribuzione imponibile tanto da farla coincidere con quella di reddito imponibile ai fini fiscali, a partire dal 1998 inoltre, non solo il concetto di “corrispettività”, ma anche quello di “onerosità” hanno subito una ulteriore attenuazione. Il passaggio dalla nozione causale (“in dipendenza del rapporto di lavoro”) a quella relativistica (“in relazione al rapporto di lavoro”) ha inciso inevitabilmente su tutte quelle erogazioni non qualificabili prima della riforma come causalmente collegate al rapporto di lavoro (ad es. le erogazioni liberali e quelle corrisposte a seguito di transazione).
La nozione relativistica determina l'attrazione nell’imponibilità anche di tali erogazioni che sono compensative non dell'attività lavorativa oggettivamente considerata e che trovano nel rapporto di lavoro non causa ma occasione.
Alla luce di tali considerazioni occorre chiedersi, in tema di retribuzione dei dirigenti - posto che gran parte di essa debba essere costituita da trattamenti volti a premiare il merito e la produttività - quale sia il punto di vista del legislatore tributario, ovvero se lo stesso assume, al riguardo, un atteggiamento neutro o collaborativo piuttosto che oppositivo verso la funzione incentivante del sistema premiante.
Ci si soffermerà, per rispondere al quesito, anche sugli altri strumenti volti a remunerare e a premiare il dirigente che non si sostanziano nella voce accessoria del trattamento economico, evidenziando come risulti piuttosto consolidata in dottrina la convinzione della ‘rarefazione’ nel sistema tributario di un principio di favor per il lavoratore, che peraltro sembra muoversi nello stesso senso rispetto alle recenti riforme del mercato del lavoro.
L’imponibilità della retribuzione premiante spettante ai dirigenti, e in una certa misura ai dipendenti pubblici in generale, mostra come in realtà il principio del favor sia stato abbandonato data l’esclusione dell’applicazione della tassazione separata per tali voci retributive che dunque rientrano nella determinazione del reddito imponibile.
Si pensi anche alla categoria dei fringe benefits la cui disciplina è solo parzialmente derogatoria del principio di onnicomprensività e limitata a non far concorrere alla formazione del reddito di lavoro dipendente i valori relativi alla sola utilizzazione di servizi offerti volontariamente dal datore di lavoro alla generalità o a categorie di dipendenti per determinate finalità.
Il riconoscimento della onnicomprensività del concetto di reddito, in linea con l’indirizzo manifestatosi sul piano lavoristico sul tema, determinando la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve in relazione al rapporto di lavoro, denota un atteggiamento meno
97 benevolo nei confronti del singolo come lavoratore dipendente, e ciò anche alla luce del fatto che risultano quasi del tutto assenti fenomeni di esenzione o almeno mitigazione del carico fiscale, a parte l’area marginale dei fringe benefits laddove la deducibilità dei contributi previdenziali obbligatori rappresenta secondo molti una naturale conseguenza della loro natura tributaria.
Per rispondere al quesito iniziale, si può dunque affermare che il legislatore tributario si pone, volutamente, in maniera neutra rispetto all'obiettivo del legislatore lavoristico di porre l'accento sulla retribuzione di risultato. La politica fiscale va nel senso opposto: stante il principio di onnicomprensività così come inteso in senso tributarista, questo tipo di trattamento economico finisce per essere tassato al pari di quello fondamentale sfuggendo pertanto, almeno in parte, al fine premiante ad esso sotteso.