Come visto finora, qualora nel corso dell’esecuzione dell’incarico, il dirigente si riveli inadeguato e un procedimento di valutazione abbia evidenziato tale inidoneità, l’amministrazione si ritrova ad essere impossibilitata a rinnovare lo stesso. Tuttavia, a seconda della gravità dei casi, essa può decidere di revocare l’incarico e, contestualmente alla revoca,
299 V. MAINARDI S., La responsabilità dirigenziale e il ruolo del Comitato dei Garanti, in ZOPPOLI A., La dirigenza pubblica
rivisitata, Jovene, 2004, p. 156 ss., ma anche ESPOSITO M., La responsabilità dirigenziale, cit., p. 247 ss.
300 È questa la lettura prevalente in giurisprudenza: v. Cass. 6 aprile 2015, n. 7131 in Unico Lavoro, ed. Il Sole 24Ore; in qualche caso si è tuttavia registrato qualche orientamento di opposto tenore. V. Trib. Teramo, ordinanza 9 maggio 2001, LPA, 2001p. 685; Trib. Cosenza se. II civile, ordinanza 25 febbraio 2002, in www.lexitalia.it. In dottrina v. BOSCATI A., Il dirigente dello Stato, cit., pp. 325-326. che accoglie l’orientamento prevalente.
151 può collocare il dirigente a disposizione dei ruoli di cui all’art. 23, ovvero recedere dal rapporto301.
La revoca rappresenta il provvedimento correttivo con cui l’amministrazione interviene per evitare le conseguenze della condotta negligente ovvero inefficiente del proprio dirigente, oppure dal persistere di risultati gestionali insufficienti: a differenza del mancato rinnovo, che attiene ad un momento successivo alla scadenza dello stesso, egli viene rimosso prima della scadenza naturale del termine fissato.
È pacifico che il provvedimento di revoca abbia, al pari dell’atto di conferimento dell’incarico, natura privatistica: l’intervento dell’amministrazione si pone sul piano del vincolo obbligatorio intercorrente tra amministrazione e dirigente. Sebbene a ciò si aggiunge la competenza del giudice ordinario, il dibattito risulta ancora aperto in dottrina302 e in giurisprudenza303, anche se si assiste ad una certa scarsità di pronunce giurisprudenziali sulla questione, mentre molto folta è la giurisprudenza in tema di procedimento di affidamento dell’incarico. La discrasia può essere spiegata con il ritardo nell’attivazione dei sistemi di valutazione ed in alcuni casi addirittura la mancata istituzione del Comitato dei Garanti il che comporta che ancora oggi diverse amministrazioni si trovano nella paradossale impossibilità di operare revoche di incarichi.
Anche sul profilo della revoca si ritiene che il contenuto sanzionatorio sia essenzialmente conservativo, considerando che principalmente le ricadute si hanno sul trattamento economico del dirigente e sul suo curriculum. Inoltre, collocato a disposizione dei ruoli dell’amministrazione a seguito della revoca, non è detto che il dirigente soffra eventuali conseguenze negative ulteriori a quelle descritte, sul piano professionale ed economico: la disposizione normativa limita l’effetto del provvedimento alla conclusione anticipata
301 Con l’atto di revoca anticipata dell’incarico – da non confondere con la revoca quale provvedimento amministrativo di secondo grado emanato per sopravvenute ragioni di opportunità - si è in presenza di un atto negoziale interruttivo di un rapporto contrattuale accessivo al rapporto (principale e presupposto) contrattuale di impiego che nasce con la sottoscrizione del contratto individuale di lavoro a seguito di una procedura di reclutamento. Orbene, tale revoca anticipata dell’incarico potrà avvenire solo per motivate ragioni organizzative e produttive o per effetto dell’applicazione del procedimento di valutazione della prestazione dirigenziale. V. artt. 22 del CCNL del 22 febbraio 2006 dei dirigenti delle regioni e delle autonomie locali.
302 Nel senso della lettura privatistica v. D’ALESSIO G., Incarichi dirigenziali, riparto di giurisdizione e poteri del giudice
ordinario (nota a Corte costituzionale, sentenza 23 luglio 2001, n. 275), in LPA, 2001, p. 631 ss. V. tra gli altri ALES E.,
L’incerta qualificazione del provvedimento di conferimento o revoca degli incarichi dirigenziali, in DLM, 2004; BATTINI S., La
disciplina delle mansioni dei dipendenti pubblici fra status e contratto: per una privatizzazione sostenibile, in ESPOSITO M.,
Mansioni e professionalità nel pubblico impiego tra efficienza organizzativa e diligenza del prestatore di lavoro, Jovene, 2007, p.
21 che giunge a definire “finta” la privatizzazione delle funzioni dirigenziali; ZOLI C., La dirigenza pubblica tra
autonomia e responsabilità: l’attribuzione degli incarichi, in LPA, 2005, p. 263 ss.
303 In tema di atto di revoca si è pronunciata la giurisprudenza costituzionale offrendo una lettura anche della natura della complessiva attività gestionale e quindi anche sanzionatoria, che è risultata essere pan privatistica V. Corte cost. 23 luglio 2001, n. 275
152 dell’incarico e al conseguente collocamento a disposizione, senza prevedere nulla sulla fase successiva.
Qui i principali problemi interpretativi riguardano l’aspettativa del dirigente rimosso ad ottenere un nuovo incarico: è possibile infatti che l’amministrazione, dopo aver revocato l’incarico, non si attivi per il conferimento di nuovi incarichi lasciando il dirigente in una posizione di attesa che determina il percepimento solo della retribuzione tabellare e non anche di quella correlata all’incarico, la norma dà per scontato che il dirigente possa sempre, magari contestualmente alla revoca del precedente incarico e nell’immediatezza del collocamento, assumerne di nuovi.
Anche in questo caso, come in quello del mancato rinnovo dell’incarico, non è possibile riconoscere l’esistenza di un diritto all’incarico. Pertanto il dirigente rimarrà in attesa che il proprio datore di lavoro gli accordi nuova fiducia rispetto ad un incarico diverso da quello precedentemente ricoperto e percepirà solo la retribuzione tabellare.
Per l’adozione del provvedimento di revoca dell’incarico l’art. 22 d.lgs. 165/2001 prevedeva l’intervento di un soggetto terzo, il Comitato dei Garanti, che si esprime attraverso il rilascio di un parere (conforme) preventivo, sebbene il suo ruolo appare oggi ridimensionato perché il comitato deve essere solo “sentito”304. Pur non avendo trovato attuazione in molte amministrazioni, molte delle quali hanno dovuto aspettare, dopo il 2002, anche tre anni per vedere costituito il Comitato, alcune questioni si sono poste all’attenzione di dottrina e giurisprudenza sul ruolo di tale soggetto.
Gli snodi essenziali sono stati due: la funzione e gli effetti del parere nell’ambito del procedimento di formazione dei provvedimenti sanzionatori. Si è tentato anzitutto di capire se il parere costituisse presupposto essenziale ai fini dell’efficacia del provvedimento ed in tal senso è stato evidenziato come l’art. 22 contenga una forte contraddizione laddove prescrive un parere conforme ma dispone anche che si può prescindere dal parere qualora esso non venga reso entra 30 giorni dalla richiesta305. Di fatto, l’ambiguità del testo non consente l’approdo a interpretazioni certe ed univoche, tant’è che qualche autore ha formulato delle proposte per dare sistematicità alla fattispecie adottando un approccio interpretativo di tipo correttivo: è il caso di chi ricostruisce la richiesta del parere come mero momento formale il
304 Così il nuovo testo dell’art. 22 del D.lgs. 165/2001 come modificato dal D.lgs. 150/2009.
305 Questa contraddizione è stata rimarcata in dottrina e ritenuta un necessario compromesso. V. DE MARCO C.,
La funzione del Comitato dei Garanti nell’ambito della responsabilità dei dirigenti pubblici, RGL, 2007, pp. 411-412;
MAINARDI S., La responsabilità dirigenziale, cit., p. 161. Si è messo in luce, inoltre, la qualità veramente necessaria ed essenziale del solo parere negativo ovverosia non conforme (ANGIELLO L., La valutazione dei dirigenti pubblici, cit., p. 177).
153 cui esito finale condiziona solo parzialmente il provvedimento dell’amministrazione, ai fini dell’accertamento della legittimità dell’atto306.
Il Comitato dei Garanti è stato coinvolto anche nella riforma di riordino della disciplina della dirigenza pubblica ad opera della legge delega 124/2015, ed è proprio in questa sede che il Comitato ha fatto sentire la propria voce in ordine all’effettivo mancato ricorso allo stesso ex art. 22 d.lgs. 165/2001. In particolare, nell’audizione sul D.L. n. 1577 dell’ottobre 2014, il presidente del Comitato dei garanti per la dirigenza pubblica, coglie l’occasione per osservare come “in tanti anni di operatività, per un certo periodo addirittura vincolante, non si siano presentate al Comitato occasioni per l’esercizio delle proprie funzioni. Le indicazioni acquisite sulla mancata utilizzazione dell’organismo da parte delle amministrazioni obbligate non possono indurre a credere che non si siano verificate situazioni per l’attivazione di procedimenti nei confronti di dirigenti potendosi piuttosto ritenere che i provvedimenti di revoca degli incarichi siano stati elusivamente adottati, avvalendosi anche, con relativa sistematicità, di quelle disposizioni in sé corrette, emanate per consentire processi di riorganizzazione dei servizi con correlata previsione di automatica decadenza dall’incarico dei dirigenti preposti, ovviando così alla necessità/dovere di valutare il loro operato e i risultati da essi raggiunti”. Si prospetta il dubbio che si siano “così mascherate forme abusive di sostanziale spoliazione del ruolo dei dirigenti stessi, compromettendone fortemente l’indipendenza”; ma anche, si può aggiungere, che in tal modo si sia evitato di sanzionare esplicitamente, lasciandone traccia nel curriculum, i risultati negativi della valutazione307.
Inoltre, il decreto attuativo della dirigenza - che si attende venga ‘sanato’ dalle eccezioni di incostituzionalità - così come prevedeva la delega, sottrae il ruolo di garanzia (ex art. 22 d.lgs. 165/2001) al Comitato dei garanti, assegnandolo alla Commissione per la dirigenza statale (istituita presso il Dipartimento della Funzione Pubblica), a cui spetta, altresì, la verifica del rispetto dei criteri di conferimento degli incarichi e del concreto utilizzo dei sistemi di valutazione al fine del conferimento e della revoca degli incarichi.
Non ha contribuito a chiarire il quadro normativo il principio di delega che, in ordine alla durata degli incarichi, disponeva la “definizione di presupposti oggettivi per la revoca in relazione al mancato raggiungimento degli obiettivi, e della relativa procedura”. È altresì significativo il criterio, introdotto alla Camera, dettato per la disciplina del controverso istituto
306 V. ESPOSITO M., cit., p. 252 ss. secondo il quale in caso di parere negativo ciò comporterebbe un aggravio degli oneri motivazionali e poi, nell’eventuale sede processuale, di prova e di allegazione, in merito alla dimostrazione della legittimità dell’atto, così come un parere conforme rafforzerà la posizione dell’amministrazione, anche in sede di accertamento giudiziale.
154 del collocamento in disponibilità per i dirigenti privi di incarico: la decadenza dal ruolo unico è subordinata a un periodo di collocamento in disponibilità successivo a una valutazione negativa (art. 11, lettera i). Si può poi sottolineare l’ulteriore compito attribuito alla Commissione: il parere – obbligatorio e non vincolante – sulla decadenza dagli incarichi in caso di riorganizzazione dell’amministrazione (art. 11, lett. h).
In estrema sintesi, la revoca delle funzioni può essere determinata soltanto per accertata responsabilità dirigenziale in presenza di determinati presupposti – che sono sintetizzati nel comma 1 e nel comma 1-bis dell’art. 21 d.lgs. 165/2001, così come modificato dal decreto attuativo della L. 124/2015 - ed a seguito di un procedimento di garanzia puntualmente disciplinato che assicuri al dirigente la possibilità di far valere il diritto di difesa308, in osservanza dei principi del giusto procedimento, all’esito del quale dovrà essere adottato un atto motivato che consenta un controllo giurisdizionale delle ragioni alla base della determinazione dell’organo politico, nel rispetto della distinzione funzionale tra azione di governo, di parte politica, e azione dell’amministrazione309.