Date le peculiarità del ruolo del dirigente sanitario, medico in particolare, che lo differenziano notevolmente dalle altre figure dirigenziali del settore pubblico, si intende verificare se la tipologia di responsabilità esaminata finora (in particolare quella dirigenziale) possa essere applicata sic et simpliciter alla sanità pubblica, settore con un elevato grado di tecnicità e orientato, in quanto pubblico, anche al rispetto di principi quali la trasparenza e l'imparzialità, e se la sua previsione in capo al Direttore generale di un’azienda sanitaria sia una soluzione efficace per migliorare il servizio sanitario pubblico e risolvere, almeno in parte, i problemi che lo rendono spesso non adeguato, inefficiente e troppo dispendioso.
Se il Direttore generale è il responsabile ultimo della gestione dell’azienda sanitaria e dei risultati che essa consegue, e se la sua figura, almeno nelle più recenti riforme, è stata costruita attorno al modello manageriale, in quanto ritenuto più adeguato sia a livello qualitativo sia economico, la responsabilità dirigenziale, configurandosi come una fattispecie autonoma che si delinea quando i risultati non sono centrati, dovrebbe costituire il banco di prova al fine di saggiare la tenuta del modello prescelto e correggere le disfunzioni del sistema.
Inoltre, il fatto di rendere tale incarico amovibile, favorendo una reale rotazione ai vertici strategici delle amministrazioni, valorizzando le capacità professionali e tecniche nella selezione dei dirigenti, come previsto anche dall'ultima modifica normativa in materia (l. 124/2015), senza che essa sia esclusivamente frutto di scelte politiche, potrebbe costituire la chiave di volta per risolvere, almeno in parte, alcuni dei problemi che causano la c.d. ‘mala sanità’ e che sempre più, in questi anni, appesantiscono il nostro Paese279.
Nel sistema generale delineato in materia di responsabilità del pubblico dirigente, si inseriscono le problematiche relative al dirigente medico, al quale si applica la disciplina dettata dall’appellato, ma di responsabilità disciplinare per “inadempimento die doveri di diligenza e buona fede nell’esecuzione del contratto”.
278 Cass., sez. lav. 8 aprile 2010, cit.
140 dal d.lgs. n. 165 del 2001 per la dirigenza statale sopra analizzata, con gli adattamenti imposti dalle peculiarità del contesto organizzativo ed istituzionale del Servizio sanitario nazionale.
In particolare, il d.lgs. n. 502 del 1992280 estende espressamente al dirigente medico le regole dettate in generale per il dirigente pubblico, facendo salve le norme speciali che tengono conto delle spiccate prerogative tecniche e professionali della dirigenza medica, nonché della delicatezza degli interessi coinvolti nell’attività della stessa, primo fra tutti l’interesse alla salute. L’anello di collegamento fra il sistema generale e quello speciale della dirigenza medica è costituito dall’art. 15 del d.lgs. n. 502, ove si prevede che la “dirigenza medica è disciplinata dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, salvo quanto previsto dal presente decreto”.
A sua volta, l’art. 26 del d.lgs. n. 165 del 2001 (rubricato “norme per la dirigenza del Servizio sanitario nazionale”) ritaglia una sfera di autonomia e specificità alla figura del dirigente del Servizio sanitario nazionale, come appunto definita dal d.lgs. n. 502 del 1992 (espressamente richiamato nel comma 2 del medesimo art. 26) e dalla contrattazione collettiva. L’art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 502 prevede che la dirigenza medica e sanitaria è “collocata in un unico ruolo, distinto per profili professionali, ed in un unico livello, articolato in relazione alle diverse responsabilità professionali e gestionali”. In sede di contrattazione collettiva nazionale sono previste, in conformità ai principi e alle disposizioni del presente decreto, criteri generali per la graduazione delle funzioni dirigenziali nonché per l’assegnazione, valutazione e verifica degli incarichi dirigenziali e per l’attribuzione del relativo trattamento economico accessorio correlato alle funzioni attribuite ed alle connesse responsabilità del risultato. Fin dalla prima formulazione della disposizione citata risulta che la responsabilità per i risultati dell’attività svolta dal dirigente sanitario sia stata considerata dal legislatore di importanza strategica, tanto da essere oggetto di una specifica e articolata disciplina dettata dal d.lgs. n. 502 del 1992 e dalla contrattazione collettiva di comparto. Quest’ultima, in particolare, è stata particolarmente attiva nel disciplinare il procedimento di valutazione e di accertamento della responsabilità dirigenziale, contribuendo a consolidare la natura “aggiuntiva” di tale responsabilità rispetto a quella propriamente disciplinare. Gli ultimi interventi contrattuali, dopo l’approvazione del d.lgs. n. 150 del 2009, hanno innanzitutto precisato l’importanza della “distinzione tra le procedure e i criteri di valutazione dei risultati e quelli relativi alla responsabilità disciplinare, anche per quanto riguarda gli esiti delle stesse”. In
280 Il testo del 1992 è stato oggetto di rilevanti e sostanziali modifiche negli anni successivi, in particolare ad opera del d.lgs. n. 229 del 1999 (cosiddetta Riforma Bindi) volta a completare il processo di privatizzazione del settore sanitario intrapreso sette anni prima.
141 tal senso si è specificato che “la responsabilità disciplinare attiene alla violazione degli obblighi di comportamento, secondo i principio e le modalità di cui al presente CCNL e resta distinta dalla responsabilità dirigenziale, disciplinata dall’art. 15 ter del d.lgs. n. 502 del 1992, che invece riguarda il raggiungimento dei risultati in relazione agli obiettivi assegnati, nonché la capacità professionale, le prestazioni e le competenze organizzative dei dirigenti. Quest’ultima viene accertata secondo le procedure e mediante organismi previsti nell’ambito del sistema di valutazione di cui agli artt. 25 e segg. del CCNL del 3 novembre 2005”281. Stante la distinzione logica e procedurale tra responsabilità disciplinare e dirigenziale riconosciuta dalla stessa contrattazione collettiva, occorre a questo punto decifrare, nel composito quadro normativo vigente, le varie ipotesi di responsabilità dirigenziale dei sanitari, caratterizzate da un diverso grado di responsabilità gestionale/manageriale, a secondo del ruolo e delle mansioni concretamente svolte dai dirigenti medesimi.
Nonostante, infatti, i dirigenti del comparto siano inquadrati in un unico ruolo dirigenziale, la normativa consente di individuare una alta dirigenza, vale a dire i responsabili di struttura, semplice o complessa, e una bassa dirigenza. Malgrado, dunque, il legislatore continui spesso a considerare la dirigenza nel suo insieme, è possibile scindere nello status dirigenziale due distinte “facce”: secondo il noto richiamo mitologico al Giano bifronte282, la dirigenza sarebbe in parte caratterizzata dall’attribuzione di funzioni in cui si evidenziano di più i connotati della “testa manageriale” (appunto i dirigenti responsabili di struttura); altra parte della dirigenza avrebbe, invece, più i connotati della “testa del lavoratore subordinato”, ancorché il dirigente svolga alte funzioni professionali e sia dotato di un certo potere gestionale e organizzativo. Si tratta, peraltro, di un potere fortemente responsabilizzato e controllato dall’alta dirigenza, più ancora che dall’organo di indirizzo politico amministrativo che non esercita funzioni gestionali ma, in qualche modo, vi partecipa attraverso l’alta dirigenza che le condivide entrambe.
Come previsto dall’art. 15, comma 4, del d.lgs. n. 502 del 1992, dopo un primo quinquennio di attività, valutato positivamente, al dirigente sanitario può essere attribuito un incarico di natura professionale (anche di alta specializzazione, di consulenza, studio e ricerca, ispettive, di verifica e di controllo) e/o di direzione di struttura283.
281 Così art. 5, comma 2, del CCNL del personale della dirigenza medico-veterinaria del SSN del 6 maggio 2010.
282Il richiamo a tale rappresentazione della figura dirigenziale in dottrina è piuttosto frequente, v. tra tutti CARINCI
F.,MAINARDI S., La terza riforma del lavoro pubblico, 2011, p. 193; ma anche TIRABOSCHI M.,VERBARO F., La nuova
riforma del lavoro pubblico: commento alla legge 4 marzo 2009, n. 15, e al decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, Giuffrè,
2010, p. 528.
283 Secondo quanto previsto dall’art. 15 ter, comma 1 e 2, Gli incarichi di cui all’articolo 15, comma 4, sono attribuiti, a tempo determinato, dal Direttore generale, secondo le modalità definite nella contrattazione collettiva nazionale, compatibilmente con le risorse finanziarie a tal fine disponibili e nei limiti del numero degli incarichi e delle strutture stabiliti nell’atto aziendale di cui all’articolo 3, comma 1-bis, tenendo conto delle valutazioni
142 Alla luce del quadro normativo dettato in tema di valutazione, come esaminato nel capitolo precedente della trattazione, appare chiaro che è in relazione all’attività svolta da questa categoria di alta dirigenza si configura il possibile svolgimento di una vera e propria attività gestionale/manageriale oggetto di valutazione, non solo al fine dell’attribuzione della retribuzione di risultato, ma anche – in caso di valutazione negativa – ai fini di un eventuale addebito di responsabilità dirigenziale.
L’esito positivo della valutazione professionale determina la conferma nell’incarico o il conferimento di altro incarico di pari rilievo. Dall’eventuale valutazione negativa può derivare la revoca dell’incarico, secondo una casistica precisamente definita dall’art. 15 ter, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992: inosservanza delle direttive impartite dalla direzione generale o dalla direzione di dipartimento; mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati; responsabilità grave e reiterata; ogni altro caso previsto dalla contrattazione collettiva. Nei casi di maggiore gravità, è ammesso il recesso del datore di lavoro, secondo le disposizioni dettate in merito dal codice civile e dai contratti collettivi. La disposizione di cui all’art. 15 ter, come sopra rilevato, rappresenta l’antecedente di tutta la successiva regolamentazione sulla responsabilità dirigenziale; antecedente che, tuttavia, oggi non può che essere letto alla luce della più completa disciplina di cui agli artt. 21 e 22 del d.lgs. n. 165 del 2001 sopra analizzata. Dal combinato disposto della disciplina generale e delle disposizioni speciali sulla responsabilità dirigenziale dei sanitari è oggi possibile ritenere che il sistema predisponga di un ampio novero di sanzioni applicabili al dirigente valutato negativamente. In particolare, l’art. 21 del d.lgs. n. 165 ha, come si è visto, graduato la responsabilità disciplinare e le relative conseguenze sanzionatorie a seconda della gravità dell’inadempimento, disciplinando per via legale quanto già nel comparto della sanità è stato oggetto di una complessa regolamentazione per via contrattuale della materia.
triennali del collegio tecnico di cui all’articolo 15, comma 5. Gli incarichi hanno durata non inferiore a tre anni e non superiore a sette, con facoltà di rinnovo. Ai predetti incarichi si applica l’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo n. 29 del 1993 e successive modificazioni. Sono definiti contrattualmente, nel rispetto dei parametri indicati dal contratto collettivo nazionale per ciascun incarico, l’oggetto, gli obiettivi da conseguire, la durata dell’incarico, salvo i casi di revoca, nonché il corrispondente trattamento economico. 2. Gli incarichi di struttura complessa hanno durata da cinque a sette anni, con facoltà di rinnovo per lo stesso periodo o per periodo più breve”.
143