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Il comportamento del consumatore

CAPITOLO 2 L’ANALISI DELLA DOMANDA NELLA LETTERATURA ECONOMICA

2.6 Il comportamento del consumatore

2.6.1 L’evoluzione del consumatore

I modelli di domanda che fino a cinquanta anni fa spiegavano i consumi in maniera soddisfacente non sono adeguati alla comprensione del comportamento del consumatore attuale. Come già accennato nell’introduzione, un tempo la domanda era determinata in larga parte da prezzi e reddito. Le preferenze potevano essere previste facilmente sulla base di fattori demografici, come luogo d’origine e età. I cambiamenti che hanno completamente trasformato la società nel corso del ventesimo secolo hanno sconvolto questi schemi, rendendo le preferenze estremamente varie e imprevedibili. Il sovrapporsi di stratificazioni e di differenziazioni ha prodotto numerosi segmenti e nicchie di consumatori diversissime fra loro e in continua evoluzione. Il reddito, le variabili demografiche e perfino gli stili di vita non sono più sufficienti per categorizzare i consumatori (Fabris, 2003).

Questi fenomeni sono particolarmente evidenti nel settore alimentare. Un tempo i modelli dietetici erano ampiamente condivisi. La differenziazione e la sovrabbondanza dell’offerta alimentare, le aumentate disponibilità economiche, i fenomeni migratori, la globalizzazione, i mutamenti degli stili di vita, in particolare lavorativi26, hanno generato trasformazioni e

diversificazioni nei modelli di consumo alimentare. Senauer (2001) sottolinea che l’unità decisionale per il consumo di cibo è sempre più frequentemente l’individuo, anziché la famiglia. Questo è dovuto alla crescita dei consumi fuori casa, ma non solo: si verifica sempre più spesso che anche durante i pasti a casa i membri di una famiglia scelgano menu differenti.

Le scelte e i comportamenti di consumo sono oggi influenzati da svariati elementi: da un lato, gli attributi e la qualità dei beni dei quali si è parlato, dall’altro fattori culturali, sociali, personali e psicologici degli individui. È evidente che solo un approccio multidisciplinare può riuscire a spiegare il comportamento del consumatore moderno. Le teorie e i modelli proposti sono molti e di seguito ne verranno esposti alcuni, frequentemente applicati ai consumi alimentari o giudicati rilevanti per la tesi.

2.6.2 I fattori e le motivazioni che influenzano il consumatore

La teoria della motivazione di Maslow27 può servire per illustrare meglio i cambiamenti

appena descritti. Essa colloca i bisogni umani lungo una scala gerarchica, conosciuta come “piramide di Maslow” (vedi appendice A). Alla base si trovano i bisogni fisiologici (la fame) e, in ordine di complessità crescente, i bisogni di sicurezza, bisogni sociali (senso di appartenenza, amore, amicizia), i bisogni di stima (prestigio, superiorità e status sociale) e in cima i bisogni di autorealizzazione. I bisogni alla base sono quelli che l’individuo appaga per primi. Mano a mano che i bisogni posti su un gradino vengono soddisfatti, si passa a quelli sul gradino successivo.

L’evoluzione dei consumi alimentari può essere vista come uno spostamento verso l’alto in questa gerarchia. Oggi, nelle società più avanzate, i bisogni fisiologici di fame e sete sono ampiamente soddisfatti; i consumatori esigono che il cibo sia sicuro, in molti casi desiderano anche che abbia effetti positivi per la salute. Il comportamento di molti consumatori può essere

26L’ingresso delle donne nel mondo lavorativo, l’aumento del salario orario, la necessità di pranzare fuori casa, la

sedentarietà.

compreso solo considerando i lori bisogni sociali, di stima e di autorealizzazione (Senauer, 2001).

A questo proposito, può essere utile richiamare la distinzione fra consumatori “edonisti” e “utilitaristi” (Hirschman e Holbrook, 1982)28, emersa fra la fine degli anni settanta e l’inizio

degli anni ottanta. Nella visione economica tradizionale, i prodotti sono semplicemente fonte di utilità per il consumatore, utilità che può essere funzione del prodotto in quanto tale o dei suoi attributi tangibili. Questo approccio trascura la dimensione emotiva, multisensoriale e simbolica, risultando inappropriato per la spiegazione del consumo di certi beni quali eventi culturali, sportivi e in una certa misura di vestiti, cibo, sigarette.

L’orientamento edonista si contrappone a quello utilitarista, suggerendo che il comportamento del consumatore, l’utilità e il valore che esso trae dall’atto di acquisto dipendono da una componente edonistica del consumo. Il consumo edonista tratta gli elementi del comportamento del consumatore legati agli aspetti multisensoriali, fantastici e emotivi della sua esperienza con i prodotti (Hirschman e Holbrook, 1982, p.92). L’atteggiamento edonista può scaturire dalla situazione, dal tipo di prodotto o dal grado di propensione personale del consumatore verso l’edonismo.

Il vino si configura come una categoria merceologica adatta per un tipo di consumo edonistico, fermo restando che l’edonismo scaturisce dall’interazione tra prodotto e consumatore e non è un attributo del prodotto (Scarpi, 2005).

Alcuni modelli che hanno riscosso una certa popolarità nel settore alimentare sono le

Theory of Reasoned Action (Ajzen e Fishbein, 1980) e Theory of Planned Behaviour (Ajzen, 1991), che servono per predire e comprendere comportamenti umani di tipo volontario. Secondo la prima, le sole determinanti dell’intenzione sono la norma soggettiva, ovvero la pressione sociale delle persone la cui opinione è importante per l’individuo, e l’atteggiamento verso il comportamento. La Theory of Planned Behaviour aggiunge un’ulteriore determinante, il controllo comportamentale percepito. Ciascuna determinante è, a sua volta, formata da un insieme di credenze. Le credenze e le determinanti sono misurabili attraverso appositi questionari.

Nel modello means-end (Reynolds e Olson, 2001), che pure ha trovato applicazione per i generi alimentari, i consumatori effettuano le loro scelte in base alla rilevanza delle caratteristiche dei prodotti per il conseguimento di valori personali, quali la responsabilità sociale, la protezione della famiglia, il divertimento. I consumatori collegherebbero le proprietà

concrete del prodotto a dimensioni astratte della qualità, e queste ultime ai loro valori personali. In questa prospettiva, simile a quella della produzione familiare, la qualità assume le caratteristiche di un concetto intermedio.

2.6.3 Il coinvolgimento

Il concetto di coinvolgimento nell’ambito di indagini di marketing fu presentato per la prima volta da Sherif e Cantril (1947); da allora è stato utilizzato ripetutamente, in diversi contesti, con una profusione di rivisitazioni e approfondimenti. Una definizione largamente condivisa è stata formulata da Rothshild (1984): si tratta di uno stato emotivo, generato da una motivazione e rivolto ad uno scopo, che determina la rilevanza della decisione d’acquisto per un compratore.

Nel processo di acquisto di un prodotto, un ruolo determinante è giocato dal livello di coinvolgimento dell’individuo nella categoria merceologica interessata (Laurent e Kapferer, 1985). Le fasi della ricerca di informazioni, del loro utilizzo e della scelta finale sono fortemente influenzate dall’importanza del prodotto e dall’interesse ed entusiasmo che esso suscita. In particolare, il coinvolgimento si correla positivamente con il tempo dedicato alla ricerca di informazioni, alla scelta e acquisto, con il numero di attributi del prodotto valutati, con le aspettative sul grado di soddisfazione che si vuole raggiungere (Zaichkovsky, 1985). Si può anche ipotizzare che i consumatori meno coinvolti manifestino un’elevata sensibilità al prezzo, a causa del minore livello di informazione e del minor tempo impiegato per la valutazione del rapporto qualità/prezzo (de Luca e Vianelli, 2003).

Negli anni sono stati identificati diversi tipi di coinvolgimento. E’ possibile individuare una prima distinzione fra coinvolgimento di prodotto o duraturo (enduring involvement, secondo la definizione di Houston e Rothschild, 1977) e coinvolgimento nella decisione d’acquisto (purchase decision involvement in Zaichkowsky, 1985, e in Mittal e Lee, 1989;

situational involvement in Bloch, 1986). Il primo è un interesse di lungo termine verso una categoria di prodotti, legato all’esperienza e a valori simbolici; il secondo può considerarsi come un’intensificazione d’interesse di breve durata, contingente alla situazione d’acquisto e al rischio ad essa associato.

Mittal e Lee (1989) teorizzano e dimostrano l’esistenza di un coinvolgimento nella scelta della marca (brand decision involvement): il coinvolgimento di prodotto può essere visto come una condizione non necessaria ma sufficiente per il coinvolgimento nella scelta della marca,

perché il primo implica il secondo, mentre il coinvolgimento nella scelta della marca può sussistere anche con bassi livelli di coinvolgimento di prodotto29.

Il vino è un prodotto che si presta a suscitare alti livelli di coinvolgimento, per la sua complessità e per le qualità edonistiche estetiche e di prestigio che gli vengono attribuite (Bloch, 1986; Goldsmith e d’Hauteville, 1998; de Luca e Vianelli, 2003; Charters e Pettigrew, 2006).

2.6.4 La conoscenza

Un altro costrutto frequentemente applicato nelle ricerche sui consumi è la conoscenza del prodotto. In letteratura si fa riferimento a tre distinti tipi di conoscenza: una conoscenza soggettiva, che è ciò che il consumatore pensa di sapere, una conoscenza oggettiva, ossia la conoscenza reale misurata con dei test e l’esperienza precedente con la categoria di prodotti (Brucks, 1985; Flynn e Goldsmith, 1999). La conoscenza oggettiva influenza la quantità di ricerca che precede un acquisto, il numero e il tipo di attributi considerati nel processo decisionale (Brucks, 1985; Selnes e Troye, 1989; Cowley e Mitchell, 2003). La conoscenza soggettiva sembra indurre a richiedere l’opinione del venditore (Brucks, 1985) ed è correlata con la soddisfazione dopo l’acquisto (Raju et al., 1993). La conoscenza soggettiva è stata oggetto di maggiore attenzione nella ricerca economica, perché può essere misurata con scale standardizzate, uguali per ogni prodotto e quindi riutilizzabili (Flynn e Goldsmith, 1999). La conoscenza oggettiva può ovviamente essere misurata solo attraverso costrutti ad hoc.

L’esperienza può essere assimilata alla frequenza d’uso. In termini di quantità acquistate o di frequenza d’acquisto, questa variabile entra a far parte della maggioranza delle ricerche sul comportamento del consumatore, ma raramente viene considerata come un componente della conoscenza. Grazie alla sua utilità nella predizione del comportamento di consumo, la frequenza d’uso è diventata una delle variabili di segmentazione preferite nelle ricerche di marketing. Spesso gran parte dei profitti di un’azienda deriva dai “forti consumatori” (heavy users)30, che

diventano così il bersaglio più importante per la pubblicità. Goldsmith e d’Hauteville (1998), classificano i consumatori di vino del loro campione in forti e deboli consumatori, trovando che i primi sono più coinvolti, innovativi e più spesso opinion leader. Essi misurano anche la conoscenza soggettiva e oggettiva, confermando la loro correlazione positiva con l’uso.

29Mittal cita l’esempio di un consumatore non coinvolto nella categoria dei piselli in scatola, ma che per un interesse

verso i suoi valori nutrizionali è coinvolto nella scelta della marca.