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L’informazione e la percezione della qualità

CAPITOLO 2 L’ANALISI DELLA DOMANDA NELLA LETTERATURA ECONOMICA

2.4 L’informazione e la percezione della qualità

Con l’affermazione del concetto di qualità in tutte le discipline economiche, cresce la necessità di definire e misurare la qualità in maniera oggettiva. Molte teorie assumono infatti che la percezione degli attributi avvenga in maniera uniforme fra gli individui e che vi sia perfetta informazione. È chiaro che queste condizioni si verificano molto raramente nella realtà. Alcune delle molteplici direzioni verso le quali si è sviluppata la ricerca economica traggono origine dal venir meno di tali ipotesi.

2.4.1 Il problema dell’asimmetria informativa

L’impossibilità di conoscere la qualità del prodotto prima dell’acquisto genera una situazione di asimmetria informativa fra produttore e consumatore. Il costo e la possibilità di acquisire informazioni sulla qualità dei beni permettono di distinguere fra beni ricerca (search

goods), beni esperienza (experience goods) e beni fedeltà (credence goods) (Nelson, 1970; Darby e Karny, 1973). In realtà, è più corretto parlare di caratteristiche di ricerca, esperienza e fiducia, le quali possono trovarsi simultaneamente, in misura differente, all’interno dei beni. Il prezzo o le informazioni in etichetta, per esempio, sono caratteristiche di ricerca perché facilmente accessibili prima dell’acquisto; gli attributi di esperienza, come il gusto, possono essere valutati dopo l’acquisto; gli attributi di fiducia non possono essere determinati né prima né dopo l’acquisto, oppure solo a costi molto elevati, per cui al consumatore non resta altro che affidarsi a giudizi esterni e alla credibilità del venditore. Un attributo di esperienza, nel vino, potrebbe essere la composizione chimica. L’etichetta, riportando informazioni che non sarebbero altrimenti accessibili, trasforma molti attributi di fiducia in attributi di esperienza.

La rimozione della condizione di perfetta informazione sulla qualità dei prodotti offerti crea alcuni noti problemi: i) azzardo morale (moral hazard), quando i venditori scelgono la

qualità dei prodotti, ovvero quando la qualità è endogena; ii) selezione avversa (adverse

selection), quando ai compratori vengono offerti beni di qualità differenti e non osservabili, cioè quando la qualità è esogena.

L’azzardo morale è una forma di opportunismo post-contrattuale, causata dalla non osservabilità di certe azioni, che permette agli individui di perseguire i loro interessi a spese della controparte. Originariamente applicato nel settore assicurativo, dove indica il comportamento rischioso adottato dalla parte assicurata, l’azzardo morale implica che i produttori possono intraprendere azioni che si ripercuotono negativamente sulla qualità dei loro prodotti, la quale non è nota ai consumatori. I produttori onesti possono affrontare difficoltà nella competizione contro coloro che adottano comportamenti opportunistici, con il risultato di un abbassamento generale del livello qualitativo dell’offerta.

Nella selezione avversa il consumatore, a causa della scarsa informazione, corre il rischio di acquistare il bene di qualità inferiore, per cui tende ad acquistare direttamente i beni venduti a prezzi più bassi. In altre parole, i compratori non possono osservare la qualità e quindi saranno disposti a pagare un prezzo corrispondente alla qualità media (attesa) dei prodotti offerti. Questo porta all’esclusione dal mercato dei produttori di alta qualità. La ripetizione di questo meccanismo nel lungo periodo può portare alla scomparsa del mercato del bene (Akerlof, 1970). Nella selezione avversa la qualità offerta da ciascun venditore è fissa, non cambia da una transazione all’altra, malgrado non sia osservabile dal consumatore. Per questo, il problema scompare quando il consumatore viene a conoscenza della qualità del prodotto tramite l’esperienza.

2.4.2 I segnali di qualità

Esistono varie strade per contrastare i problemi derivanti dall’asimmetria informativa, che si possono ricondurre a: a) disincentivazione allo sfruttamento della posizione privilegiata della parte informata; b) miglioramento del livello informativo della parte disinformata.

La prima possibilità è particolarmente adatta per prevenire l’azzardo morale. In un mercato di beni, come quello dei generi alimentari, le aziende possono essere dissuase dall’adozione di comportamenti opportunistici se vengono rese responsabili delle conseguenze di tali azioni. Ciò è possibile grazie al meccanismo della reputazione sul quale si fondano le

politiche di marchio19. Un marchio guadagna, nel tempo e al costo di investimenti, una

reputazione che costituisce una fonte di profitti nel lungo termine. Per il venditore non è vantaggioso comportarsi opportunisticamente per realizzare un guadagno nel breve termine, poiché rischia di perdere non solo i clienti ingannati, ma anche la sua reputazione, che rappresenta un capitale. Il costo degli investimenti necessari per costruire una reputazione diventa così un incentivo a mantenere un certo standard qualitativo. Allo stesso tempo, i consumatori sono disposti a pagare un sovrapprezzo per il marchio, poiché esso riduce i costi di ricerca e il rischio e semplifica la decisione segnalando il posizionamento del prodotto (Shapiro, 1983; Erdem e Swait, 1998).

La reputazione del marchio costituisce quindi un bene economico, con un costo sia per il produttore sia per il consumatore. Il concetto di reputazione si può applicare anche a marchi di tipo collettivo o a altre caratteristiche come la regione d’origine. I marchi, individuali o collettivi, assumono rilevanza solo in situazioni di imperfetta informazione. Tirole (1996) osserva che la reputazione collettiva ha una funzione solamente qualora il passato comportamento individuale non sia perfettamente osservabile. In una situazione di perfetta osservabilità non ci sarebbe bisogno di alcun segnale di qualità, mentre la perfetta non- osservabilità rappresenterebbe un incentivo ad assumere comportamenti scorretti, che annullerebbero la reputazione.

La seconda soluzione all’asimmetria informativa, procurare informazioni ai consumatori (la parte disinformata), è un valido strumento contro la selezione avversa e comprende l’uso di segnali di qualità. Questi consistono in azioni volte alla rivelazione della qualità e possono materializzarsi in diverse forme: il marchio, il prezzo, garanzie di performance e di rimborso e le spese pubblicitarie20. Questi segnali si sovrappongono alle politiche di marchio e alla

reputazione, precedentemente classificati come incentivi per le aziende piuttosto che come supporti per i consumatori. In realtà, essi esplicano spesso una doppia funzione.

Fra gli strumenti in grado di migliorare il livello informativo del consumatore, nel settore agroalimentare, sono frequenti e sempre più utilizzate le certificazioni da parti terze e i marchi di tipo collettivo. Nel mercato del vino, in particolare, le denominazioni d’origine svolgono un

19Kotler (1991, p.442) definisce il brand come "a name, term, sign, symbol, or design, or combination of them which

is intended to identify the goods and services of one seller or group of sellers and to differentiate them from those of competitors".

20Kirmani e Rao (2000) classificano i segnali di qualità in base alla natura del loro costo e alla loro contingenza con

ruolo importante, accanto ai marchi privati, nella segnalazione della qualità21, come si è visto

nel capitolo 1.

2.4.3 La percezione della qualità

I tentativi di spiegare la relazione fra qualità e attributi del prodotto e la relazione fra attributi, utilità e prezzi, approdano allo studio della percezione della qualità. È sulle percezioni, infatti, che si basano le valutazioni, anche monetarie.

La qualità percepita può definirsi come il giudizio del consumatore sulla qualità del prodotto e si riferisce ad una dimensione soggettiva; ad essa si contrappone la qualità oggettiva, data dalle caratteristiche fisiche e chimiche che costituiscono il prodotto (Zeithaml, 1988).

La relazione fra qualità oggettiva e percepita è alla base dell’importanza economica della qualità, perché la differenziazione apporta un vantaggio competitivo all’azienda solo se la qualità oggettiva dei prodotti soddisfa i bisogni dei consumatori, se i consumatori lo percepiscono e sono pronti a riconoscerlo in termini monetari.

Il processo di deduzione della qualità dalle caratteristiche del prodotto o altre informazioni non è ancora chiaro, nonostante sia stato ripetutamente studiato in economia, marketing, psicologia. Buona parte della letteratura sull’argomento si occupa della formazione di giudizi in condizioni di incertezza o imperfetta informazione.

Olson e Jacoby (1972) provano a spiegare come il consumatore selezioni gli attributi dai quali inferire la qualità e come formi il giudizio globale sul prodotto. Uno degli aspetti più interessanti del loro modello è la suddivisione degli attributi in intrinseci ed estrinseci: i primi sono caratteristiche fisiche del prodotto stesso, i secondi sono fattori “esterni” al prodotto, come prezzo, marca, pubblicità, reputazione. La percezione della qualità si basa prevalentemente sugli attributi intrinseci, tuttavia gli attributi estrinseci diventano importanti nelle situazioni in cui quelli intrinseci sono di difficile reperibilità o non disponibili.

Lutz (1986) suggerisce che il giudizio su un prodotto sarà tanto più oggettivo quanto maggiore è la proporzione di attributi ricerca (cha possono essere conosciuti prima dell’acquisto) rispetto a quelli esperienza (che possono essere conosciuti solo a consumo avvenuto); viceversa, al decrescere di tale proporzione, il giudizio diventa di tipo affettivo.

21L’esigenza di segnalare la qualità del vino è particolarmente forte a causa di alcune condizioni: le difficoltà dei

piccoli produttori a sviluppare una politica aziendale basata sull’uso del marchio individuale; lo spostamento delle preferenze verso prodotti di qualità; il bisogno del consumatore di orientarsi e contenere i costi di ricerca, di fronte ad un’offerta estremamente eterogenea.

Zeithaml (1988) evidenzia che le numerose teorie che cercano di spiegare i processi cognitivi dei consumatori si basano essenzialmente sull’idea che le informazioni sui prodotti vengono organizzate in vari livelli di astrazione, a partire dagli attributi più semplici del prodotto per arrivare al valore o ricompensa emotiva che l’individuo ne ricava. Egli afferma che il consumatore inferisce la qualità dagli attributi del prodotto più semplici, con un livello di astrazione inferiore (prezzo, forma, colore).

Von Alvensleben (1989) parla di proprietà interne del prodotto non percepibili e di proprietà esterne del prodotto e dell’ambiente in cui esso è venduto, direttamente percepibili. Le proprietà interne possono essere inferite in vari modi, per esempio da “informazioni chiave” che generalmente sono prezzo e marca, o da un’immagine globale del prodotto costruita su esperienze passate.

Steenkamp (1990) introduce una distinzione fra indicatori di qualità e attributi di qualità. I primi sono stimoli informativi equivalenti agli attributi ricerca di Nelson (1970), mentre i secondi sono benefici funzionali e psicologici corrispondenti agli attributi esperienza e fiducia. L’acquisto si deve necessariamente basare sugli indicatori, che con l’aiuto di altre fonti informative permettono di formulare credenze sugli attributi di qualità. In Steenkamp e van Trjip (1996), il processo di collegamento fra attributi fisici del prodotto e percezione della qualità viene scomposto in due fasi: la prima, di astrazione, consiste nella formazione di percezioni sugli attributi di qualità intrinseca a partire dalle proprietà fisiche del prodotto; nella seconda fase, di integrazione, tali percezioni portano alle aspettative sulla qualità e alla valutazione della performance qualitativa. La prima è importante per indurre il consumatore a provare il prodotto, la seconda condiziona la ripetizione dell’acquisto.

Grunert (2005)22 posiziona la percezione della qualità lungo due dimensioni, una

orizzontale o temporale e una verticale. La prima fa riferimento alla percezione della qualità prima e dopo l’acquisto, in base ai differenti livelli di informazione disponibile. Il principio genera la distinzione fra attributi di ricerca, esperienza e fiducia (par. 2.4.1) e dà luogo alla soddisfazione o insoddisfazione del consumatore, a seconda che le sue aspettative prima dell’acquisto siano confermate o meno. La dimensione verticale della qualità alimentare è legata alle modalità con cui i consumatori inferiscono la qualità dagli attributi e dai segnali e al collegamento fra proprietà del prodotto e motivazioni del comportamento umano.

La percezione della qualità alimentare è fortemente condizionata dalla situazione di consumo. La qualità di un vino bevuto a pasto in un giorno ordinario è valutata in maniera

completamente differente dalla qualità di un vino con il quale celebrare un evento o una festività.

Le esperienze passate, che possono consistere in un’esposizione diretta al cibo, a prodotti simili, oppure in informazioni, portano alla formazione di aspettative. Molti studi (citati in Cardello, 1995) supportano un modello di assimilazione dell’effetto di aspettative disattese, che stabilisce un legame fra le aspettative e le valutazioni della qualità sensoriale.

Per quanto riguarda gli attributi utilizzati dal consumatore per inferire la qualità dei prodotti alimentari, la marca, l’origine e l’etichetta sono particolarmente importanti e sono stati spesso studiati (Grunert, 2005). Senauer (2001), riportando i risultati di un sondaggio23, afferma

che gli attributi più importanti per i consumatori americani sono prezzo, sicurezza e sapore.