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Comunicazione e relazionalità nell’azienda informatica

È un’articolata molteplicità quella dei canali comunicativi dell’azienda informatica: face to face; riunioni di sub-team; assemblee generali che includono tutti i dipendenti afferenti all’azienda o a un dato progetto; canali telematici. Tra tutti, questi ultimi rappresentano certamente lo strumento cardine, quello che ti «catapulta» nell’azienda in quanto tale: mediante password personale è possibile per ciascun dipendente accedere al sistema intranet, alla piattaforma virtuale, agorà informatica dove si possono leggere informazioni generali sull’azienda, ricevere mail dall’Head Quarter con nuovi obiettivi, sapere quali cose devono essere migliorate, conoscere le decisioni, scambiare informazioni di servizio con i colleghi su affitti di case, vendite di auto e moto, ecc., comunicare con il Dipartimento HR, scambiarsi auguri per le festività o il proprio compleanno o l’anniversario di matrimonio, segnalare «l’eccessivo uso di internet da parte del dipendente» (così di fatto «catapultando» anche l’azienda nella vita del lavoratore e non solo il contrario!). Ma tale potente mezzo, la rete intranet – e in generale i supporti telematici – non costituisce solo una modalità informativa privilegiata, bensì anche un potente strumento di lavoro; anzi, il principale strumento di lavoro, coordinamento e controllo. È tramite questo strumento che si ricevono mail dal tuo capo nelle quali vengono fissati i propri compiti quotidiani, o mail dal capo del tuo capo che lamenta ritardi e sollecita maggiore impegno. È sempre mediante la piattaforma informatica che si accede alla documentazione e ai programmi che, versione postmoderna dei macchinari, svolgono la funzione di strumenti di lavoro. E anche, naturalmente, di riassemblaggio dei pezzi in cui la produzione si è andata via via segmentando, e di coordinamento e controllo di chi ha fatto cosa e in che tempi…

171 Ma la potenza telematica, al di là della funzione di moderna catena di montaggio e canale d’informazione istituzionale/di servizio, come si accennava sopra, viene messa al servizio di un progetto più ampio: la costruzione di una comunità di lavoratori, non solo per lo scambio di informazioni di reciproca utilità, ma anche per la partecipazione agli eventi sociali organizzati dall’azienda: bowling, cene, cinema, gite fuori porta, ecc. Lanciati e pompati a più riprese negli spazi virtuali di newsletter, forum, chat, mail, rappresentano un lubrificante per edificare intorno a tutti e a ciascuno una realtà globale e globalizzante, propinata ed esperita tra le immense, eppure strette, mura e iniziative aziendali. Al fine, naturalmente, di sostituire i complessi sistemi sociali e relazionali individuali con l’esclusivo e totale mondo della propria impresa, che mira a coincidere non solo con il proprio lavoro, ma anche con la famiglia, gli amici e il tempo libero. Uno degli strumenti di partecipazione alla vita aziendale di Samsung India, nell’esperienza del Technical lead Mark, è appunto il Website live nel quale, come si diceva, gli impiegati possono inserire annunci relativi alla ricerca di un’abitazione, alla vendita di cellulari e cose analoghe. Questo sito, mi spiega, può anche essere utilizzato come canale di comunicazione bottom up, per le lamentele di carattere generale (mancanza di parcheggio, cibo non buono), mentre non è affatto incoraggiato, e non viene certo utilizzato, per lagnanze contro il proprio manager.

Le potenzialità amplissime fornite da queste tecnologie, anche se in qualche caso fungono da strumento di feedback, di base non sono, a ben vedere, impiegate per consentire un intervento effettivo nelle decisioni e nell’organizzazione dell’azienda. E questo perché, mi suggerisce il mio informatore, «ai dipendenti viene sempre detto cosa fare», e imparano in maniera naturale e implicita gli usi opportuni da evitare.

Spostandoci dal virtuale al reale, nell’ambito face to face assumono rilevanza, per la loro costanza e pregnanza ai fini lavorativi, i team meeting settimanali o, in alcuni casi, persino quotidiani – a seconda del team e del tipo di progetto. Spesso hanno la funzione di fare il punto sull’avanzamento del progetto, ricapitolare la pianificazione per i giorni successivi, sottolineare l’entità di un ritardo o esporre eventuali problematiche emerse. Se questi in molti casi hanno certamente una funzione operativa, il più delle volte sembrano essere adoperati piuttosto come strumenti di coinvolgimento, motivazione, drammatizzazione delle situazioni, per sollecitare maggiore impegno. Si ricordi infatti che una folta documentazione, come anche gli stessi strumenti informatici, svolgono già in maniera anche più ampia e strutturata la funzione di pianificazione, coordinamento e sollecitazione in caso di ritardi. Alcuni informatori mi segnalano che la loro fissazione avviene di solito in modo strategico nella prima mattinata o in tarda serata, proprio al fine di costringere le persone a recarsi al lavoro molto presto o a trattenersi il più possibile.

Volendo sintetizzare quanto fin qui esposto, si può dire che il sistema di comunicazione all’interno delle aziende è molto ampio, contando su diversi strumenti quali rapporti diretti, eventi formali generali, riunioni ristrette di gruppi di lavoro, canali telematici. Sebbene abbia una dinamica sia top down che bottom up, è fortemente privilegiata la prima a scapito della seconda, accordata nella misura e nei limiti di un contenuto feedback e non come generale strumento di intervento sulla realtà aziendale o di effettiva incisione da parte dei subordinati sulle scelte dei piani superiori. Le modalità interattive sono formalmente marcate, ma si presentano come più «formalmente partecipative» quando si tratta di mettere in relazione soggetti appartenenti a livelli gerarchici diversi (manager, lead, Senior, Junior engineer); ad ogni modo, non sono totalmente libere e serene quando concernono comunicazioni tra i pari – specie se si tratta di

172 esprimere opinioni e giudizi su vicende afferenti all’azienda: si è infatti consapevoli di essere oggetto di un continuo controllo e si adotta naturalmente un codice di «autocensura di garanzia». Le sollecitazioni alla partecipazione, l’adozione «ufficiale» di stili comunicativi e relazionali improntati all’informalità e alla motivazione dei subordinati, e i tentativi più o meno riusciti di costruzione di una comunità di lavoratori, hanno naturalmente un’eco sulle relazioni interpersonali nell’industria informatica di Bangalore, la cui strumentalità, più che sincera vocazione, trova un riflesso nella distinzione che, per introdurre tale argomento, si rende necessaria. Occorre infatti operare un distinguo tra i rapporti dei lavoratori con i superiori e quelli con i pari.

Del primo tipo si registrano casi di relazioni abbastanza buone, meramente formali o anche più o meno tacitamente negative. Talvolta il manager è oggetto di apprezzamento; altre volte, apparenti relazioni cordiali si accompagnano ad una sensazione di distanza da questi, perché percepito appartenente ad una sorta di classe superiore, con la quale non si può e non si vuole entrare in contatto, eccetto che nei modi tacitamente delineati. O, ancora, anche a fronte di una insofferenza più o meno marcata, si tende ad adottare la pratica collaudata del buon viso a cattivo gioco.

Le ragioni di quest’ultima situazione sono da attribuirsi a regole latenti per cui, anche se le relazioni devono essere informate alla cordialità, il conflitto, l’affronto, la presa di posizione rispetto al superiore, non sono contemplate ovvero estremamente pericolose per la propria permanenza nel contesto lavorativo. La ragioni maggiori di attrito sono, come al solito, la definizione di tempi di produzione irrealistici e la consequenziale pressione esercitata dal manager a seguito dei prevedibili ritardi. Le maggiori o minori abilità interpersonali di questi, ovviamente, possono attenuare o stressare ulteriormente una situazione già tesa.

Un ulteriore motivo di frizione con il manager è dato dal fatto che questi può dispensare o meno permessi dal lavoro, esercitando un vero e proprio potere sulla vita e sulle situazioni critiche dei dipendenti (le ferie, i permessi e, in generale, la tutela del lavoro in India e nel settore IT, che al tempo delle interviste godeva di deroghe alla legislazione generale, non è particolarmente generosa e protettiva verso il lavoro).

D’altra parte, essendo l’organizzazione del lavoro oggettivata in ruoli le cui mansioni sono strutturalmente definite in modo dettagliato, il potere del manager non si dispiega nell’attribuire maggiore o minore discrezionalità e/o migliori o peggiori compiti ai membri del suo team: tutti e ciascuno, compreso il manager medesimo, hanno compiti e obiettivi ben definiti. Si è, insomma, una sorta di pedine nel gioco degli scacchi: ognuna può muoversi secondo determinate direttrici, dovendo sottostare a regole precipue e definite.

Ma il manager esprime il suo massimo esercizio di potenza connesso al ruolo, nella valutazione dei membri del suo team: qui concorre a decidere chi può essere promosso e/o chi otterrà una maggiore o minore paga variabile. Potere non da poco, come accennato più volte e come si dirà più approfonditamente oltre.

Per quanto concerne le relazioni con i pari, si registra invece una loro spiccata positività: in nessuna intervista emerge insofferenza verso i membri del proprio sub-team, ovvero ostilità verso quanti appartengono ad altre squadre. Questo dato, che sembra spiegarsi alla luce dei tratti culturali socievoli e gentili degli indiani, sembra comunque bizzarro, rispetto a una tensione verso la competizione imposta con continui premi e riconoscimenti che scandiscono la vita delle grandi aziende.

173 Competizione che, per qualcuno, è comunque «sana», «stimolante per l’impegno» e non «scorretta». Per qualche altro, al momento della valutazione, finisce per produrre, immediatamente dopo di essa, alcune tensioni. E in particolare quando si ritiene che si sia stati oggetto di una valutazione negativa, per quanto si propenda razionalmente a caricare la responsabilità della cosa quasi esclusivamente sul manager – a cui si attribuiscono preferenze verso alcuni. Emotivamente, anche se in modo contenuto, si finisce per essere risentiti anche verso chi ottiene una valutazione superiore giudicata immotivata.

Così succede che, come mi racconta Amit, le cui buone relazioni con i colleghi – con i quali non c’erano di norma discussioni, e a ragion veduta, dovendoci trascorrere molto tempo insieme! – si erano incrinate al momento della valutazione.

Anche per Mark le relazioni con i membri del team sono buone, ma lui, essendo un Technical lead, ha una posizione privilegiata, scevra da una condizione di competizione diretta con loro. Riferisce però che mentre le sue relazioni con il suo manager sono abbastanza buone, essendo «sgridato raramente […] solo una volta alla settimana»(!), gli engineer sono fatti oggetto di continue, spiacevoli e rumorose pressioni.

E aggiunge che il gruppo di lavoro consuma pasti e pause non solo in contemporanea, ma anche insieme. Anche se non è definito in maniera categorica, questa rappresenta una sorta di regola informale di molti contesti lavorativi incontrati: dato che il lavoro viene fatto insieme, si incoraggiano le persone a prendere le pause nello stesso momento. Ad esempio in Roxo il pranzo è organizzato direttamente dall’azienda alle tredici in forma di buffet e tutti di fatto sono chiamati a condividere il pasto. Addirittura presso Fidware il fatto di non andare a pranzo con i colleghi viene considerato dallo staff HR come indicatore di un «disagio» del dipendente, che insieme ad un calo della resa professionale, attiverebbe immediatamente un colloquio paternalistico con lui, per individuare e rimuovere eventuale problemi.

Difficile è poi collocare, rispetto alle due categorie dei superiori e dei pari, la figura dei Team lead, che ne rappresenta una specie di ibrido: compagno di team di cui si condividono le sorti, è comunque colui che è ammesso in ambiti superiori per fungere da canale di collegamento, colui che esercita una pressione al lavoro e all’impegno. Questo incerto statuto fa sì che, a seconda della percezione prevalente – e certamente anche in ragione della sua personalità e capacità interpersonale – , venga sentito ora come una propaggine della gerarchia di comando, ora come un vero e proprio collega di squadra con cui trascorrere anche il tempo libero.

Sebbene tutto sembri procedere con apparente serenità, con impegno, dedizione, cordiale collaborazione e occasionali uscite collettive, in maniera più o meno velata e quasi mai esplosiva, di fatto, come una sorta di corrente a bassissima intensità, i conflitti attraversano la vita aziendale tutto il tempo, mi rivela Mark. E ciò si verifica non solo quando qualcosa non funziona e si rimpallano le responsabilità tra i vari sub-team, ma anche per le pressioni dei manager e per le improponibili deadline, o per le periodiche e travolgenti valutazioni della performance.

Rispetto a queste ultime, quando se ne riceve una inferiore alle aspettative, si può reagire, ripiegando in una frustrazione silenziosa, abbandonando l’azienda, ovvero aprendo un conflitto esplicito e contenuto con il proprio manager, eventualità piuttosto marginale, che vede l’intervento istituzionale del personale delle Risorse umane.

In effetti, a ben vedere, non proprio di «conflitti» si tratta, bensì di tensioni, irrigidimenti, frizioni, che restano prevalentemente nell’ambito della misura anche quando esplicitati, perché

174 istituzionalmente previsti e mediati da procedure interne ad hoc. E che mai assumono i contorni della rottura degli argini, i toni dell’esasperazione, o addirittura il profilo di un coordinamento sovraindividuale. Piuttosto vengono esperite come fatto e faccenda individuale, e se il problema è collettivo, allora questo costituisce, essendo un mal comune, giusto un mezzo gaudio.

Così per Amit, ad esempio, il messaggio che ti viene costantemente dato è che «ciò che fai non è mai abbastanza» e questo ti spinge e spinge le persone a dover «difendere sé stesse, non in modo aggressivo ma intelligente rispetto ai superiori». La richiesta di uno «sforzo sempre maggiore a quello concordato è dettato dal tentativo e dalla volontà di controllo di chi diventa Team lead o manager»: anche se fingono di accettare quello che fanno gli altri, «tendono comunque a provare ad ottenere di più».

Del resto, l’assenza totale di sindacati determina la mancanza di strumenti per contrastare la pianificazione e, di fatto, «sei sempre in difetto perché i tempi non sono adeguati […] si discute nelle pause dei manager scorretti, ma non si hanno strumenti di autotutela se non quello di lasciare l’azienda», mi dice Mark.

E mi racconta a questo proposito un episodio occorso qualche tempo addietro: a fronte di una programmazione troppo «ottimistica» nei tempi di realizzazione, un Senior engineer aveva manifestato apertamente il proprio motivato disaccordo al manager. La risposta di questi era stata una sprezzante e sarcastica accusa di incompetenza all’engineer. Successivamente, e a fronte dell’effettiva (preventivata e prevedibile) ultimazione del lavoro con due settimane di ritardo rispetto al tempo previsto, l’informatico, confermato praticamente nella sua «incompetenza», era stato licenziato. Licenziamento che aveva, a dire di Mark, piuttosto una funzione pedagogica, data l’ordinarietà dei ritardi nella vita dei progetti del settore IT: il messaggio è che non vi è spazio alcuno per la manifestazione esplicita e diretta di un’opposizione a quanto imposto dall’alto.

Se qui si sono tratteggiate sommariamente le modalità di comunicazione nell’azienda e le relazioni che tra pari e superiori vengono ad instaurarsi mediante norme esplicite o tacite, è arrivato il momento di approfondire quello che è uno strumento longitudinale alla vita aziendale, più volte citato in riferimento agli effetti che produce sia sull’impegno al lavoro che nel clima e nelle relazioni in generale: il sistema di valutazione della performance.

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