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Della sopravvivenza di Taylor nella resocontazione

La Cedat 85 è riuscita ad affermarsi come azienda leader nel settore del trattamento dei contenuti linguistici, attraverso un processo tecno-organizzativo che si fonda sulla tensione all’accelerazione dei ritmi lavorativi attraverso l’azione sull’elemento organizzativo e su quello tecnologico. Divisione del lavoro e assimilazione macchinica di un insieme sempre più ampio di funzioni umane, le quali vengono supportate ma, al tempo stesso, tendono ad essere sussunte, ovvero, sottratte all’esercizio del lavoratore. Rispetto al primo elemento, quello organizzativo, riscontro una scomposizione verticale e orizzontale del lavoro che incontra un limite nella frizione che comporta il successivo processo di riassemblamento linguistico. La de- contestualizzazione del lavoro insieme con un audio smembrato, nella misura massima possibile, comportano delle ripercussioni, immediate per quanto concerne la stessa comprensibilità dell’audio, e, nel più ampio periodo, sulla professionalità del revisore. Il senso dei discorsi su cui si lavora, con il coinvolgimento di molte competenze e un grande sforzo intellettivo di concentrazione, di esegesi del pensiero dell'oratore (che nel linguaggio parlato non è sempre di immediata comprensione) e di una sua esplicitazione nella forma scritta adeguata, viene quasi del tutto compromesso e smarrito. Si traduce in un aggravio per l'attività interpretativa ed inferenziale-pragmatica da un lato; e nella privazione, sul lungo periodo, di un potenziale accrescimento del lavoratore, per quanto riguarda l'acquisizione dei contenuti oggetto dell'attività resocontata, dall’altro. È come se si «agisse» sui discorsi attraverso un «microscopio», senza riuscire ad acquisire un’immagine mentale dell'insieme. Si attivano facoltà mentali complesse, ma non vi è un coinvolgimento totale dell'intelletto né una partecipazione emotiva al lavoro. Le capacità cognitive diventano, quindi, una sorta di energia pura imbrigliata (convogliata) nell'infrastruttura tecnologica, alla quale il lavoratore è avvinto e nella quale è inviluppato sia in senso fisico, attraverso le attrezzature, che in senso simbolico, attraverso la rete telematica con cui si è connessi agli altri lavoratori e all'azienda stessa.

La complessa selezione dei collaboratori attiene non solo al profilo professionale e alle esperienze pregresse, il cui preferibile profilo è tuttora oscuro, ma va a sindacare anche le attitudini personali; mentre il coinvolgimento di ciascun soggetto in un gruppo di lavoro, di volta in volta, viene ad esser deciso in funzione finanche delle peculiarità caratteriali e personali (in base, ad esempio, ad una minore o maggiore resistenza; o difficoltà per le telelavoratrici a conciliare con le esigenze familiari un lavoro protratto a lungo). Del resto, è prevista una certa conformità a delle modalità lavorative precedentemente formalizzate in regole a cui è doveroso attenersi nell’intervento linguistico: queste sono oggetto di formazione e di socializzazione. Così i revisori sono commisurati nelle prestazioni a certi standard più o meno dettagliati di qualità, stile, e tempi. Rispetto a quest’ultimi, di fatto, le prestazioni sono rigidamente convenute in una durata che trova un limite nelle umane capacità di quindici minuti di lavorazione per un file di cinque. Dove c’era un solo lavoratore alla Cedat nei primi anni novanta, ora vi sono dalle tre alle

62 cinque figure professionali (tecnico informatico, trascrittore (ove necessario), revisore, coordinatore, supervisore del gruppo).

Rispetto al tempo di lavoro vanno specificate due cose. Esso presenta caratteristiche ambivalenti o trivalenti. Per i dipendenti esso può avere le caratteristiche del tempo serrato, contratto, martellante dell’esecuzione del lavoro; oppure quello imprevedibile, incommensurabile, dilatato dell’attesa del lavoro che si blocca. Per i collaboratori, oltre a tali dimensioni, e nell’incertezza della propria condizione, può colorarsi della potenzialità di un lavoro che può giungere oppure no. Il subire in concreto della mancanza di una pianificazione del lavoro che, retoricamente, si presumerebbe nel discorso aziendale «concertata», tende a compromettere il tempo di vita del lavoratore, che si auto-censurerà nelle sue quotidiane attività restando in attesa della richiesta dello stesso (che, ribadisco, può o non può arrivare). Mentre, lo stato di attesa-disattesa, non fa che collocarlo sempre più in una condizione non solo economica, ma soprattutto psicologica di subordinazione al committente.

Sotto il versante tecnologico, al sostegno nell’ambito produttivo della componente hardware (cuffie, pedaliera, etc.) e software, grazie alle quali si rendono possibili l’accorciamento dei tempi per l’automazione della trascrizione e l’accelerazione del processo di intervento sul testo, fa da contrappunto la facilità di comunicazione (in senso tecnico) che si traduce nell’opportunità, praticata organizzativamente, della frammentazione del testo. L’implementazione della tecnologia, insomma, impatta in modo ambivalente sul lavoro, per un verso supportandolo; per l’altro, mortificandolo per l’effetto di perdita di visione d’insieme dell’evento e del discorso ivi sviluppato. Fra il trascrittore/revisore e la sua attrezzatura si produce una compenetrazione tale, da darsi una sorta di "fisicizzazione" del lavoro cognitivo: si diviene un corpo che si fonde con il proprio computer, che resta imbrigliato nei molteplici fili che da esso si dipartono. Anzi, poiché il computer sembra non potersi ancora sostituirsi all'uomo in questa attività, allora è l'uomo che diventa macchina, che si fa computer. Si possono immaginare i suoi processi cognitivi alla stregua di software che elaborano le informazioni in entrata, e il suo corpo come hardware funzionale alla esteriorizzazione di questi: i piedi che azionano la pedaliera con cui parte il flusso audio che promana dal computer alla testa del lavoratore. L'audio «processato» viene fuori come voce profusa nel microfono ininterrottamente e con un’inflessione robotizzata; mentre la mani pronte sulla tastiera a correggere gli errori e a inserire la punteggiatura. Questa unione forzosa perdura per tutta la sessione di lavoro, perché i tempi sono contingentati e per rispettare le scadenze ravvicinate non c'è tempo per pause: la macchina informatica qui vince sulla componente umana, imponendo la sua logica di funzionamento su quella propriamente umana. Se ciò vale sotto il piano immediatamente produttivo, sotto quello del controllo, poi, il software aziendale ricompone il lavoratore collettivo, sotto una supervisione da «telecamera a circuito chiuso». Questa connette tra loro lavoratori che, per lo più, non si conoscono, che non possono comunicare tra loro e che in qualche modo si controllano reciprocamente e sono controllati continuamente dal sistema. Non solo manca la continuità fisica dei corpi, ricreata solo attraverso lo spazio virtuale, ma sono le stesse identità dei lavoratori che a me sembrano sospese, annullate e mutilate. L'altro esiste nella mente del lavoratore, è sempre presente perché sottinteso nell’interconnessione al proprio lavoro. Ma, l'altro è pura astrazione. Esiste solo in quanto potenziale censore nel disegno del processo produttivo. Soprattutto per i collaboratori confinati nel telelavoro. Qualche spazio di manovra a latere del sistema tecno-organizzativo, invece, si può agire per quanti possano «trastullarsi» nella più agevole, o meno disagevole, condizione di

63 lavoratore dipendente: allora, la vicinanza negata nella catena di montaggio virtuale viene ad essere riprodotta mediante l’espediente del contatto telefonico, mail, che (sebbene si tenti dall’alto di scongiurare) viene a darsi laddove si riesca a scoprire chi sono i compagni di sessione.

L’organizzazione del lavoro secondo un dispositivo di isolamento di ciascun lavoratore, che si estremizza nel caso dei collaboratori, i quali, distanti dalle sedi di lavoro, vengono via via privati anche dei più elementari contatti con l’azienda mediante la progressiva riduzione di comunicazioni; la totale assenza di rapporti face-to-face con l'azienda e con i colleghi (che restano ignoti); la mancanza di feedback positivi sul lavoro svolto; tutte queste condizioni creano uno stato di incertezza e isolamento tale, da produrre una sorta di subordinazione, se non giuridica, di certo psicologica del lavoratore nei confronti dell'azienda, incentivandone la fuga. Tutte le considerazioni fin qui condotte, sembrano ricondurre immediatamente questa esperienza lavorativa, per quanto tipicamente cognitiva, a quella propria del lavoro industriale, taylorizzato. E ciò, non solo per la segmentazione dell’attività lavorativa e la scomposizione del lavoro in senso verticale e orizzontale (come anche per la formalizzazione delle regole a cui attenersi nell’esecuzione dello stesso), ma anche per la perdita di controllo sul lavoro e della visione d’insieme sullo stesso. A ciò si aggiunge la sottomissione all’elemento macchinico, a cui il lavoro è avvinto oggi, come allora. La tecnologia nel contesto analizzato, però, per la sua stessa natura interattiva, sembra essere capace di accrescersi e di potenziarsi cibandosi direttamente del lavoro vivo. Inoltre, questa stessa tecnologia si presta anche a svolgere le funzioni del controllo che, diversamente dall’insegnamento tayloriano in cui queste erano svolte dalla componente umana, vengono esercitate in maniera dilatata e continuativa. Ma, più di ogni altra cosa, ciò che ricorre sempre in quella esperienza storica, così come in questa esperienza contemporanea, è la violenza dei tempi e dei ritmi imposta e lo smembramento del lavoro, due elementi che, agendo insieme, finiscono per far perdere il senso del lavoro stesso, producendo l’alienazione del lavoratore.

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