Ho tratteggiato, fin qui, la storia della riorganizzazione dell’Inps dispiegata attraverso due processi avviati, rispettivamente, nei primi anni Novanta e alla fine del primo decennio del nuovo secolo. Ho sottolineato come, sebbene entrambi siano riconducibili ad una trasformazione ed efficientizzazione dell’ente (i cui risultati sono, accorciamento dei tempi e incremento notevole della produttività), si sono incentrati su logiche differenti, dando luogo ad impatti molto distinti sul lavoro. Tracciato il vecchio e il nuovo assetto, ho proposto una panoramica del macro processo organizzativo, facendo riferimento alla dinamica della pianificazione, del monitoraggio e valutazione del complesso delle attività, prima; e del ruolo delle tecnologie informatiche, di cui ho evidenziato le diverse funzioni di coordinamento e raccordo interno, di comunicazione e interazione con l’esterno e di strumento vero e proprio di lavoro, poi.
Del piano organizzativo e di quello tecnologico ho analizzato, approfonditamente, quelli che a mio avviso costituiscono elementi cardine sia per la dimensione macro che micro organizzativa; per l’impatto sul management e sul lavoro più propriamente di esecuzione: il cruscotto e i flussi standardizzati di processo, e cioè, lo strumento informatizzato di organizzazione e monitoraggio delle attività e la tecnologia informatica che soprassiede allo svolgimento della singola attività produttiva. L’organizzazione macro si fonda sulla tecnologia e questa discende a sovrintendere
118 fin nello specifico l’esecuzione del lavoro. Qui, allora, intendo concentrarmi più dettagliatamente sull’impatto congiunto e compenetrato di tecnologia e organizzazione, tanto sul lavoro di esecuzione che di responsabilità.
2.4.1. L’elemento organizzativo
Le dinamiche e le difficoltà che si vivono nel lavoro, sono situazioni che incidono profondamente sulla vita sia lavorativa che non lavorativa delle persone. Con il superamento dell’organizzazione per processi, ci spiega Filippo: «ci sono state alcune linee che sono scomparse totalmente. L’ex processo aziende agricole o lavoratori autonomi [ad esempio] non esiste più all’interno dell’istituto, è stato frammentato. E di quel lavoro una parte è stata data al front office per certi adempimenti e una parte al back office per altri. Quindi soprattutto chi impegnato in quelle linea ha avuto un travaglio ed un disagio maggiore».
Con l’ultima riorganizzazione, mentre alcuni ambiti non sono stati quasi intaccati, altri, come l’area aziende ha avuto uno stravolgimento, per lo smantellamento delle competenze e funzioni: «questo è stato l’aspetto più particolare […]nello stesso tempo oltre alla rimodulazione del lavoro, è stato sì sacrificato la specializzazione. Quello sicuro. Mentre prima esisteva lo specialista delle aziende agricole…essendo le aziende agricole scomparse, ed essendo state un po’, non voglio dire frantumate…ma suddivise in più settori, quel soggetto [adibito a quell’ambito] ha potuto vivere una crisi di identità, per usare un termine un po’ elevato. Se a questo aggiungi che la modalità di lavoro è totalmente cambiata perché si è passati ad una maggiore (seppure era tanta all’epoca), presenza dell’informatica e al ciclo lavorativo che è esclusivamente informatico. Non c’è nessuna parte riservata ad una fase non informatica […] ed è una delle accuse che ci viene dall’esterno».
Con l’ultima riorganizzazione i processi lavorativi in Inps hanno, da un lato, subito la totale fagocitazione da parte dello strumento informatico e, dall’altro, uno smembramento funzionale: dall’organizzazione per processi legati a tipologie di utenti, si è passati alla macro-divisione delle attività tra front e backend e ad una suddivisione del lavoro per «prodotti» al loro interno che ha inciso in termini negativi sulla professionalità degli operatori.
Il concorso congiunto dello sviluppo tecnologico ed organizzativo hanno prodotto, come frutti maturi della loro feconda e sinergica unione, sì l’efficientizzazione delle attività e la crescita significativa della produttività del lavoro; ma lo hanno fatto non senza travolgere i lavoratori, sconvolgendone le identità professionali. «Molti lo hanno vissuto come un vero e proprio trauma. E quindi torniamo al discorso di poc’anzi (difficoltà che si vivono nel mondo del lavoro) […] questo è stato vissuto come un vero e proprio trauma. Con crisi d’identità e così via […]. Il cambio di mansioni soprattutto ha scombussolato le persone; mentre prima io mi occupavo del lavoratore autonomo dal momento dell’iscrizione in poi, per ricorsi, contenziosi, etc. ora non esiste più il lavoratore autonomo. Se ti devi iscrivere, lo fai da te on line. C’è un apparato che consente di gestire le operazioni di self service: saper correggere eventualmente l’errore e “tranquillizzando chi è dall’altra parte e per questo non ci vuole specializzazione”. Prima macro- processi per utenti. Ora sì macroaree, ma c’è una divisione per tipo di prodotto per tutti gli utenti (aziende autonome, aziende con dipendenti, etc.)».
119 Sul punto poi è altrettanto chiara Luisa, che racconta lo stravolgimento della sua posizione lavorativa: «Prima era un lavoro davvero a 360 gradi…io mi occupavo di autonomi, artigiani e commercianti, tutta la posizione contributiva, la gestione in tutta la sua complessità…e avevo una visione totale del lavoro che facevo; e non parcellarizzata come adesso [sospira] che mi occupo di un aspetto di artigiani e commercianti…di recente gestisco i rimborsi. Gestire i rimborsi significa anche gestire le compensazioni. Invece adesso è stato diviso questo lavoro. Il lavoro dei rimborsi, io inserisco il rimborso, la collega della gestione credito effettua la compensazione, poi ritornano a me per gli ulteriori adempimenti. Quindi è un po’ uno sballottare il lavoro […] per me è un lavoro molto settoriale. Difatti tendo ad andare oltre quello che è il mio lavoro (perché ad esempio…per accelerare i tempi, perché così i tempi si allungano, perché io debbo aspettare la disponibilità della collega che può intervenire su quel prodotto e poi gestirlo…e poi di conseguenza ritorna da me per gli ultimi adempimenti). Quindi secondo me si perde un po’ del tempo. Poi è diventato…comunque si è cambiato molto nel modo di comunicare con l’utenza».
Non solo viene meno la visione d’insieme del lavoro, ma la parcellizzazione delle mansioni tra più soggetti, in alcuni casi, sarebbe addirittura disfunzionale.
Se, come mi spiega Domenico, «prima si doveva avere la visione d’insieme anche se facevi il particolare, adesso hai la specializzazione su un prodotto specifico, dall’inizio alla fine…ma questo non significa che non ti devi tenere aggiornato…che non devi comunque, per tua conoscenza, sapere che cosa succede nel settore di fianco o con gli altri prodotti…come succedeva prima, deve succedere adesso…nei flussi tramite gli ipertesti hai modo di spaziare da un prodotto all’altro. Dove hai un dubbio, un particolare vai lì e trovi molto più celermente le soluzioni rispetto a prima che non c’erano».
Così il lavoro è ritagliato, rispetto alla dimensione ampia del passato, su un’attività o gruppo di piccole attività. Ma, nell’opinione di questo motivato dipendente, che occupa una posizione lavorativa privilegiata, lo sportello specialistico, ciò che l’organizzazione toglie da un lato, viene restituita dalle opportunità della tecnologia, dall’altro: sta al singolo e alla sua buona volontà quella di ricostruirsi la visione d’insieme dei processi che il disegno organizzativo, di fatto, ha sottratto alla singola posizione lavorativa. Detto in altri termini: se l’organizzazione per processi imponeva l’intercambiabilità degli operatori e cioè il dominio da parte di questi di tutte le attività relative ad una data materia, «costringendoli», mediante una massiccia formazione, all’empowerment, il modello attuale produce una dinamica di segno opposto, come si evincerà oltre. È alla curiosità e alla buona volontà del singolo che viene rimessa la ricomprensione della materia in cui si colloca la propria specifica attività lavorativa. Ho già evidenziato altrove, e approfondirò in seguito, la dimensione meramente retorica di questa posizione, data la pressione tempistica, nonché l’inutilità immediata per il lavoro di tale tensione all’approfondimento normativo. La perdita della visione d’insieme su una materia, si è accompagnata ad una riallocazione delle mansioni che, spesse volte, si è tradotta nell’assegnazione al singolo operatore di più tipi di prodotti, anche afferenti ad ambiti normativi/organizzativi disparati di cui non si ha padronanza. Così per Luisa, funzionaria amministrativa nell’ambito della linea prodotto soggetto-contribuente. Mi spiega che per le aziende agricole sia la procedura che la materia è molto articolata e che non riesce ad avere un quadro chiaro, anche a causa di una scarsa formazione, così «sei lasciato un po’ a te stesso […] faccio tante cose…( il che mi piace, perché fare una sola cosa è un po’ riduttivo…già il lavoro d’ufficio è un lavoro che ti limita
120 tanto)…però faccio comunque tante cose, che a volte entro un po’ in confusione». Insomma, si crea una situazione paradossale: si perde la visione d’insieme della normativa relativa alla materia in cui la propria attività si incunea, però si attribuiscono al singolo più micro-attività sulle quali non c’è formazione e delle quali non riesce a sviluppare padronanza.
Tale dinamica mi risulterebbe incomprensibile se non potessi attingere alla mia diretta, seppur breve, esperienza di lavoro in Inps…
Vinto il concorso ed assunto l’impiego, sono stata adibita in una piccola agenzia di produzione alla linea-prodotto Prestazioni a sostegno del reddito. All’epoca sussisteva l’obbligo di rotazione del funzionariato presso lo sportello. Pertanto, alcuni giorni della settimana ero chiamata alla interazione con l’utenza. Fresca di concorso, avevo sì una visione d’insieme della materia, ma ad un livello molto astratto che, per un verso, trascendeva per eccesso le nozioni richiestemi da tale attività ; per un altro, risultava inadeguata, essendo necessarie informazioni di natura più concreta e pragmatica.
Per poter fronteggiare la situazione, cioè le richieste avanzate dall’utenza, mi veniva in aiuto il supporto tecnologico: l’Inps ha strutturato on line un articolato sistema informativo (peraltro consultabile direttamente dall’utenza). Ovvero, era necessario ricorrere ad alcune banche dati in cui verificare informazioni relative all’utente per appurare la sussistenza dei requisiti per una prestazione. La mia formazione concorsuale era molto più ampia di quella richiesta ma, al tempo stesso, non adeguata al livello di conoscenze che l’attività di sportello mi richiedeva. L’apprendimento del lavoro, oltre al disciplinamento alla relazione con l’utenza, consisteva prevalentemente nella familiarizzazione con il dispositivo informatico nelle sue molteplici banche dati, procedure, etc.: un sapere operativo invece di un sapere teorico.
Al di là dell’attività di sportello, ero chiamata ad evadere pratiche di concessione della mobilità ordinaria e in deroga ai singoli che ne avessero diritto e la maternità per le lavoratrici autonome. La elaborazione delle pratiche richiedeva in entrambi i casi, operazioni estremamente semplici (almeno per la stragrande maggioranza dei casi): verificata la consegna dei documenti necessari, si apriva la procedura, che non era ancora il flusso standardizzato di processo, e si inserivano i campi richiesti. Il mio compito era riempire poche caselle. Questo mi richiedeva anche l’apertura di un paio di banche dati, ma si trattava di un’operazione di nessuna complessità. In pochi minuti il lavoro era completato. La dinamica quotidiana dell’interfaccia con lo strumento informatico, di fatto, produceva un annichilimento delle conoscenze della materia, semplicemente perché non era necessario il loro impiego: dopo pochi mesi di lavoro, le molte nozioni apprese per il concorso, stavano sfumando, inutilizzate; mentre la velocità di elaborazione delle pratiche incrementava, man mano che, e in modo sempre più meccanico e acritico, compilavo i campi. La confusione di cui mi diceva Luisa è dovuta al fatto che l’esecuzione pratica del lavoro non necessita del sapere teorico, fin quando non ci sono situazioni che rappresentano delle eccezioni. Le nozioni che devono essere chiamate in causa, inoltre, sono frammentate come frammentati sono i sottoprodotti chiamati a svolgere. Certamente si richiede al funzionariato di aggiornarsi sulla evoluzione normativa - relativa ai prodotti lavorati - ma questo serve a complemento delle deficienze della procedura e solo nella misura in cui, e per la parte in cui, quest’ultima non riesce immediatamente a introiettare nell’automazione del software tale componente normativa. Quello richiesto, quindi, è un sapere operativo inerente alle procedure per il riconoscimento di una prestazione, più che una capacità interpretativa della norma. Quest’ultima resta solo in modo frammentato e discontinuo, corrispondente ai sottoprodotti attribuiti, e per la parte eccedente il
121 sapere proceduralizzato nell’applicativo informativo. Se avevo sempre ben chiara la prestazione di maternità per le lavoratrici autonome, nel tempo potevo permettermi di dimenticare i requisiti per la concessione della maternità per le dipendenti! Per il fatto di essere «giovane e qualificata», a dire del mio superiore, lo stesso aveva deciso di mettere a valore la mia presenza, collocandomi per alcuni giorni al mese anche su una altra linea-prodotto: Soggetto contribuente. Questa rappresentava una materia molto più vasta e complessa rispetto alle prestazioni al sostegno del reddito e affiancavo la titolare di questo ufficio. Avevo cominciato così ad apprendere alcune procedure e a districarmi in alcuni software e banche dati che davano una visione d’insieme dell’azienda. Tra le procedure apprese, una mi è rimasta impressa: lo sgravio. La mia collega mi spiegava quale programma aprire e cosa si operava: il tutto consisteva nel premere quattro volte il tasto F4 e quindi premere invio. Et voilà: lo sgravio era compiuto.
È possibile concordare facilmente sulla principale critica avanzata alla nuova organizzazione da parte di alcuni sindacati: la parcellizzazione del lavoro. Se l’organizzazione per processi imponeva di comprendere e di saper fare ogni operazione per rispondere alle esigenze di una certa tipologia di utente, questo nuovo modello impone, prima di tutto, una divisione netta tra quelle attività, ora suddivise in due tronconi che tagliano trasversalmente i tre principali processi. Inoltre, all’interno di queste attività, l’articolazione del lavoro avviene per sottoprodotti. Non solo il personale ha percepito come una diminutio la macrodivisione delle competenze tra front e backend, ma si è dovuto concentrare esclusivamente su pezzi di processo. Questo aspetto si è intrecciato (o meglio, è stato possibile!), con una reingegnerizzazione delle procedure ed una totale informatizzazione del processo lavorativo.
Di fronte a tutto ciò come ha reagito la «risorsa umana»? Pietro, a tal proposito, mi spiega che: «Abbiamo una fase in cui non si capisce bene se il disagio viene manifestato per i flussi standardizzati di processo;…[o perché] mentre prima svolgevano un’attività a tutto tondo, adesso devono seguire solo un pezzetto del processo; ci sono tante cose che sono cambiate e che possono fare esprimere disagio ai funzionari e che è stato espresso in vari modi. Sia parlando nelle assemblee, sia nel modo di lavorare…il disagio che viene manifestato dai colleghi…è un disagio manifestato tutti i giorni nel modo di lavorare, non riescono ad eliminare gli orpelli che derivano dalla loro esperienza lavorativa […] il collega della linea, anziché fare un lavoro di semplice definizione sulla base dello status quo, andava a fare il lavoro di prima, cioè ad esaminare tutta la situazione dell’azienda, cioè a fare un lavoro che toccava al back office…e scardinare questo è stato difficile, ci è voluto un anno, c’è voluto diciamo un input da parte mia, poi fortunatamente io ero solo di passaggio, è arrivato un nuovo responsabile che a poco a poco…ha lavorato benissimo, cercando di eliminare questi orpelli che ancora permangono, però ora i risultati sono buoni…in buona sostanza il collega della linea continuava a fare il lavoro che faceva prima e veniva quasi considerato come, diciamo, un’offesa da parte del responsabile dirgli: “Guarda questa cosa non la devi guardare…non la devi guardare, non ti interessa”. E il disagio è stato manifestato più volte […] nel senso che si manifestava l’assoluta non comprensione di questo passaggio fondamentale: “Ma come è possibile che mi chiedi di non fare il lavoro che devo fare?”».
Mentre il passaggio dall’organizzazione burocratica tradizionale a quella per processi ha rappresentato uno sconvolgimento che ha espanso in maniera vorticosa le competenze di tutti e ciascuno, l’ultimo intervento ha inciso, frammentando i processi lavorativi a causa del concorso tecnologico e organizzativo: i dipendenti, in prevalenza, non comprendono o faticano ad
122 accettare di dover smettere di attingere alle conoscenze faticosamente costruite nel tempo e a ripiegare su un lavoro parziale e parzializzato. Gli «orpelli», di cui parla Pietro, sono rappresentati dalla persistenza a lavorare secondo le modalità ampie e ricche dell’organizzazione per processi: non seguire le procedure semplificate o gli ambiti limitati di intervento, ma applicare alla comprensione di una situazione, il sapere e la volontà di risoluzione delle problematiche. La bravura del responsabile nell’indurre ad abbandonare tale atteggiamento, equivale alla rinuncia da parte del Lavoro di avere ragione sull’elemento tecnologico- organizzativo. Ripiegare, sotto la sua imponente architettura, ad un ruolo complementare se non, addirittura, di appendice. Per meglio articolare queste affermazioni, sarà opportuno che approfondisca nel paragrafo successivo la dimensione macchinica del lavoro.
2.4.2. L’elemento tecnologico
Come ho già sottolineato nella descrizione dei flussi standardizzati di processo, l’interazione con le tecnologie informatiche nell’operatività quotidiana del lavoro, incontra reazioni diverse in ragione delle caratteristiche personali, della posizione occupata, dell’anzianità lavorativa. Ho riscontrato in genere, atteggiamenti più favorevoli tra coloro i quali sono collocati in ruoli di responsabilità (ma non solo) rispetto a quelli chiamati all’esecuzione del lavoro. Le ragioni sono ben sintetizzate da Domenico, secondo il quale lo strumento informatico non usurperebbe o impoverirebbe il lavoro degli operatori, collocandosi, piuttosto, a supporto degli stessi: «La tecnologia è là, se hai voglia di apprendere o di farti le tue ricerche, hai lì tutte quante le informazioni, basta che te le vai a prelevare…per poi darti la possibilità di operare sul campo...mentre prima dipendevi dal collega». La socializzazione delle informazioni consentirebbe l’emancipazione del singolo dalla disponibilità e dalla perizia dei colleghi. Mentre, il ruolo sempre più marcato di guida all’azione fornirebbe, secondo altri, sollievo e sicurezza, proteggendo dagli errori.
Ma il sollievo e la sicurezza, nonché la protezione dagli errori, determinerebbero anche, come effetto collaterale, reazioni di «fastidio» all’irrigidimento del «fattore umano» nell’esecuzione del lavoro. Un testimone privilegiato, Mario, mi spiega: «La prima cosa che ho notato quando sono rientrato al lavoro è che prima c’era una spinta al lavoro di gruppo, oggi c’è una frammentazione del lavoro abnorme. A mio avviso, cioè, tu sai fare un pezzettino, non sai fare il pezzettino di quello che ti sta accanto; ma soprattutto non hai la visione generale che avevi prima rispetto a come funziona quel pezzo di produzione […]. Se tu provassi a chiedere ai singoli, sul campo - ad uno che magari fa prestazioni, fa disoccupazione agricola come funziona l’ASPI, come funziona la disoccupazione, come funziona il mondo della prestazioni assistenziali, degli ammortizzatori sociali - probabilmente non ti saprebbe dare un quadro generale».
Dopo alcuni anni di astensione per distacco sindacale, il ritorno al lavoro di Mario avviene con l’amara sorpresa di una nuova spinta alla frammentazione del lavoro.
Ma se proprio così fosse, a cosa è riconducibile? È forse resa possibile dalle procedure informatiche? A parere di Mario: «Sì assolutamente, per questo io ti ho fatto questa sottolineatura prima, perché credo che il dato propedeutico a questa cosa sia stato proprio l’esternalizzazione della gestione della progettazione, della programmazione delle procedure informatiche. Cioè che sia stato fatto con l’obiettivo di arrivare a questo risultato…[Queste
123 prima] non è che ti guidassero pedissequamente, non so come spiegartelo…io il problema del software allora non me l’ero mai posto, io andavo lì, utilizzavo la procedura, ma sapevo che la utilizzavo con una finalità ben precisa, che era quella di produrre un risultato di un certo tipo. Tu oggi questa sensazione non ce l’hai più. Tu oggi hai la sensazione…(allora lo sviluppo dei software era fatto tutto all’interno, i programmatori erano interni, la programmazione si faceva all’interno e tra l’altro tu dialogavi, avevi anche la possibilità nelle sedi, ad esempio nella sede in cui ero io a Milano, c’era una isola di sviluppo al Ced [Centro elaborazione dati] con cui tu interloquivi normalmente, cioè andavi lì a dire: “Questa cosa perché è così? Perché funziona in questo modo? Spiegamela, perché secondo me dovrebbe essere così”). C’era questo rapporto,