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Concause storiche all’adozione della tecnica dodecafonica

2.5 Rappresentazione della follia e tecnica seriale

2.5.1 Concause storiche all’adozione della tecnica dodecafonica

Prima di affrontare la questione della caratterizzazione musicale del personaggio Dolores (e, di conseguenza, la rappresentazione sonora del suo disagio psichico) bisognerebbe porsi una questione di carattere più generale e chiedersi fino a che punto l’adozione di una tecnica compositiva (come la dodecafonia in quanto sistema di riferimento) possa avere delle implicazioni sulla resa espressiva di un’opera. La domanda, certo di non facile soluzione, per certi versi ripropone un quesito fondamentale per la storia della recezione della dodecafonia in Italia e che Riccardo Malipiero jr. pose nel 1949 alla platea del I Congresso per la Musica Dodecafonica: “la dodecafonia è un’estetica o una tecnica?”. 157 Una risposta storicamente ed esteticamente argomentata è sicuramente al di fuori degli intenti e della portata della presente ricerca, tuttavia la riflessione sulle funzioni della musica in Il mio cuore è nel Sud deve necessariamente interrogarsi sull’utilizzo della tecnica dodecafonica come metodo compositivo privilegiato per l’intera partitura.

Rimanendo nell’ambito specifico di quest’opera, si può porre la medesima questione in altri termini: Maderna potrebbe aver utilizzato il metodo dodecafonico perché voleva approfondire l’applicazione di questa “tecnica” in una fase di sperimentazione oppure, in alternativa, potrebbe aver scelto questa soluzione perché gli permetteva di raggiungere in modo più efficace determinati fini espressivi. In altre parole, ci si chiede se, nella genesi dell’opera, l’adozione del metodo compositivo vada collocata temporalmente in una fase anteriore o posteriore rispetto al progetto complessivo e alla riflessione dell’autore sul rapporto tra musica e testo. È il contenuto

157 L’episodio è commentato da Luca Conti in una riflessione sulla recezione della dodecafonia e della Scuola di

ad orientare verso l’uso di una tecnica o, viceversa, è la tecnica a dare forma al contenuto?

La domanda può sembrare pleonastica, poiché si riferisce a Maderna che in quel periodo stava lavorando assiduamente per espandere le potenzialità del metodo schönberghiano.

Inoltre, se si rimane su un piano astrattamente teorico, si potrebbe sostenere che l’adozione di una “tecnica” (l’insieme delle norme che regolano un’attività) di per sé non debba necessariamente orientare la composizione verso alcune caratteristiche espressive ed escluderne invece altre.

La questione attraversa i fondamenti estetici della musica del Novecento, ma non si esaurisce in essa. Per avere un quadro più completo bisogna infatti considerare tre diversi aspetti storico-biografici che nell’immediato dopoguerra si vengono a intersecare: l’interesse di Maderna verso l’approfondimento e l’estensione dei principî della tecnica dodecafonica; la nascita del genere del “radiodramma” (un prodotto che a fine anni Quaranta era tuttavia ancora in fase di definizione) e gli eventuali vincoli che ciò poteva comportare sulle possibilità stilistiche della musica di commento; il legame tra l’estetica espressionista, l’espressione dell’inconscio e il superamento della tonalità.158

Alla fine degli anni Quaranta Maderna stava lavorando intensamente all’elaborazione di una poetica e di una tecnica compositiva del tutto personale; Il mio

cuore è nel Sud si colloca coerentemente in questo percorso stilistico: in breve tempo egli

passa dall’adozione del metodo dodecafonico (influenzata dall’esempio di Dallapiccola) a soluzioni sempre più complesse per predeterminare il materiale compositivo.

A partire dalle Liriche greche (1948) Maderna amplia sempre di più il modello schönberghiano secondo due principî fondamentali: i procedimenti attraverso cui originare la partitura a partire da una riserva minima di materiale si estendono anche alla dimensione del ritmo; la tecnica della “mutazione“ (basata su complessi sistemi permutatori) permette al compositore di rinnovare continuamente le forme con cui si presenta il materiale di partenza (altezze e ritmi) e amplia le possibilità “espressive”, non essendo più necessario il riferimento ad un’unica serie nell’ambito di una composizione. La tecnica compositiva presente in Il mio cuore è nel Sud (1949) va collocata quindi in questo stadio di recezione e rielaborazione della dodecafonia, che precede immediatamente la fase successiva, basata su sistemi compositivi autonomi. Da questo punto di vista Il mio cuore è nel Sud è affine a Composizione n. 1 (1949), e si può collocare in un precorso che, attraverso Composizione n. 2 (1949-1950) e Studi per «Il

Processo» di Franz Kafka (1950) porta alla moltiplicazione multiparametrica del materiale

seriale di Improvvisazione n. 2 (1953).

Bisogna però ricordare che Il mio cuore è nel Sud nasce su commissione, per un lavoro radiofonico, un ambito in cui solitamente il compositore non ha libertà assoluta di scelta e si deve confrontare con il sistema produttivo e con l’autore del testo, che spesso è anche il responsabile principale del progetto.

158 Questa associazione ebbe una connotazione sia positiva (nelle dichiarazioni poetiche di artisti afferenti alla

corrente espressionista) sia negativa, nell’opinione che vedeva nella musica genericamente “atonale” un’espressione della patologia psichica; l’associazione, che nella cultura del ventennio fascista ebbe una certa diffusione, fu spesso il frutto di una parziale o totale ignoranza del fenomeno, e ha storicamente segnato una fase infelice della recezione della Scuola di Vienna nella cultura italiana e tedesca.

La storia della realizzazione dei “commenti sonori” per la radio e per il cinema da parte di compositori attivi anche nell’ambito della musica d’arte è segnata da una lunga serie di frustrazioni e fraintendimenti. Questa è infatti per il compositore rappresenta una zona ibrida, dove spesso le istanze della narrazione filmica si vengono ad scontrare con quelle estetiche della musica. Sono innumerevoli infatti i casi in cui le scelte del regista (spesso orientate verso l’utilizzo di stereotipi musicali facilmente codificabili dallo spettatore/ascoltatore) ostacolano le soluzioni ideate dai musicisti (improntate invece ad un’idea di “musica assoluta”).

Maderna stesso si trovò a vivere questo tipo di frustrazione. Nella sua corrispondenza privata, qualche accenno al lavoro come compositore di musiche di commento rivela l’insoddisfazione provata da Maderna in alcune occasioni.159 Le circostanze di lavoro puramente “artigianale” e routinario (la cui motivazione per Maderna era essenzialmente di natura economica) non sembrano aver lasciato strascichi: può essere citato, ad esempio, l’intento mimetico che contraddistingue le musiche settecentesche scritte per film Sangue a Ca’ Foscari (1946) di Max Calindri. Il problema tra regista e compositore, all’interno di una collaborazione siffatta, può nascere invece quando non vi sia chiarezza tra i relativi ruoli e quando vi siano fraintendimenti sull’esito estetico del lavoro a cui il compositore è chiamato a partecipare. Nel caso del film Le due Verità (del 1951 ed esaminato in modo approfondito nel prossimo capitolo) Maderna si dedicò intensamente alla composizione di una “colonna sonora” che rispondeva a suoi criteri di “artisticità”, ma che poi il regista criticò aspramente, costringendolo a rinunciare al lavoro svolto. Probabilmente alla base di questo episodio, assai amaro per Maderna, vi fu un profondo malinteso sul ruolo della musica ai fini della resa espressiva del film.

Nonostante queste difficili condizioni generali, il caso di Il mio cuore è nel Sud fu più fortunato; Maderna poté muoversi al di fuori degli standard routinari delle musiche di commento i canoni dell’industria cinematografica.

La novità e la specificità del mezzo radiofonico, insieme alla mancanza del dominio dei modelli di importazione nordamericana, furono forse fattori determinanti nel favorire questa libertà di movimento. Come spiega Angela De Benedictis, nonostante il lungo e ampio dibattito intorno alle possibilità espressive offerte da un mezzo come la radio, i primi risultati concreti nel campo dell’«arte radiofonica» si ebbero in Italiana solo a partire dagli anni Cinquanta. [Cfr. De Benedictis, 2004]. Il primo lavoro di Maderna in questo settore va visto quindi come il passo iniziale di una fase pionieristica, che vede intensificarsi l’interazione tra musica e drammaturgia all’interno del radiodramma. [Cfr. De Benedictis, 2004a]. In Italia un genere di ‘intrattenimento’ come il radiodramma iniziò ad avvicinarsi all’‘arte radiofonica’ soprattutto grazie ai lavori di autori come Maderna e Luciano Berio, che all’interno dell’ente radiofonico ebbero la possibilità di sperimentare forme narrativo-musicali ancora pressoché inesplorate.

Le parole con cui Alessandro Piovesan commissionò il lavoro al giovane Maderna, lasciavano al compositore un’ampia libertà di movimento, senza alludere ad una eventuale limitazione dei mezzi espressivi.

L’incoraggiamento del committente è inequivocabile: Maderna era stato chiamato per partecipare ad un progetto ambizioso: doveva «affiancare scrittori e

159 È il caso ad esempio delle musiche per il film Le due verità, la cui travagliata elaborazione è trattata ampiamente

musicisti per la creazione di un genere radiofonico, [il] ‘radio-drammà’, a cui [avesse] viva partecipazione la musica».160

Commissioni di questo tipo rappresentavano, per giovani compositori come Maderna e Berio, una duplice occasione per sperimentare nuove forme espressive e per raggiungere una maggior visibilità sul panorama musicale contemporaneo. 161

Da un lato quindi la lungimiranza di Piovesan nel lasciare libertà al musicista ha fatto sì che Maderna agisse coerentemente con i suoi interessi compositivi e adottasse la dodecafonia come sistema di riferimento; dall’altro alcune caratteristiche del copione, come il personaggio di Dolores e il suo disagio psichico, favorirono questa scelta. Infatti nella recezione della musica non tonale (ed in particolare del periodo atonale di Schönberg) ebbe una certa risonanza la teoria secondo cui vi era un’affinità naturale tra l’emancipazione della dissonanza e la liberazione delle forze entropiche dell’inconscio umano.162 Vi è quindi una tradizione precedente a cui Maderna può aver fatto riferimento, ravvisabile soprattutto nell’ambito dell’espressionismo tedesco, di cui il Wozzeck berghiano fu forse l’ultimo tardivo frutto.163 Per contro durante il regime fascista i detrattori della scuola di Vienna spesso ridussero l’associazione tra atonalità e inconscio ad assioma schematico e denigratorio al fine di screditare la musica non tonale. 164 Tuttavia nel periodo di composizione di Il mio cuore è nel sud (l’anno successivo al Congresso dei dodecafonici del 1948) questa visione riduttiva e schematica della scuola di Vienna era decisamente sorpassata, soprattutto per coloro che, come Maderna, avevano acquisito da tempo una maggior consapevolezza del metodo dodecafonico attraverso l’insegnamento di Dallapiccola.

Al di là di queste considerazioni di carattere storico, l’utilizzo della tecnica dodecafonica in Il mio cuore è nel Sud va considerata soprattutto come strumento compositivo che Maderna piega ai fini espressivi richiesti dal dramma. Come si è visto nell’analisi dei materiali preparatori, il “cuore” dell’opera, tanto dal punto di vista

160 Lettera di Alessandro Piovesan a Bruno Madema, 15 febbraio 1949.

161 Un passo della lettera di Luigi Dallapiccola a Luciano Berio del 6 novembre 1953 citata da Angela Ida De

Benedictis è assai indicativa in proposito. Il Maestro incoraggia Berio a proporsi presso le strutture della RAI come autore di “commenti musicali”, poiché «il malvezzo di non poter dare più una commedia alla radio senza commenti musicali più o meno ‘concreti’, forse questa volta torna a tuo vantaggio». [De Benedictis, 2004a, p. 189]

162 A questo proposito la sintetica esposizione di Philippe Albera sulla storia del teatro musicale del Novecento

ricostruisce il percorso parallelo tra la messa in scena delle tematiche legate alla scoperta dell’inconscio e l’abbandono dei nessi strutturali del sistema tonale. [Albera, 2001b] Un breve esame sulla realtà storico culturale dell’Italia prebellica può fornire alcuni dati su quale particolare connotazione espressiva venisse attribuita all’emancipazione della dissonanza nella musica utilizzata in ambito narrativo.

163 Nella penuria di esecuzioni e di partiture relative alla scuola di Vienna va segnalato il fatto che Dallapiccola era

in possesso di una copia del lavoro berghiano fin dal 1934 e che in Italia il Wozzeck fu rappresentato a Roma nel 1941. Sulla recezione della Scuola di Vienna nella musica di Dallapiccola si rimanda alla ricerca di Fiamma Nicolodi [cfr. Nicolodi, 1990].

164 Se nelle estetiche musicali del primo Novecento sovente vanno di pari passo l’abbandono dei vincoli tonali

con l’esplorazione di tematiche legate all’inconscio [cfr. Albera, 2001a], nel panorama culturale italiano durante il ventennio fascista questa concomitanza ha generato schematiche prese di posizione contro le innovazioni schönberghiane. La connotazione negativa che lega l’emancipazione della dissonanza con il disagio psichico è documentata ad esempio da alcuni commenti di Guido Pannain (pubblicati sulla «Rassegna Musicale» nel marzo 1930), secondo cui in Schönberg prevale «il denominatore permanente d’una psicologia in subbuglio» [l’articolo è citato in Somigli, 2002, p. 350]. In modo del tutto analogo in un articolo anonimo, pubblicato sulla stessa rivista nell’ottobre del 1937, si difendeva l’utilizzo espressivo della dissonanza in ambito italiano (in un autore come Dallapiccola) da quello proveniente dalla scuola di Vienna: «Ciò che distingue Dallpiccola dai compositori viennesi è che mentre in questi il linguaggio atonale non dà che sensazioni di esasperata morbosità o di decadente intellettualismo, il nostro riesce a darci sensazioni di serenità e freschezza» [l’articolo è citato in Somigli, 2002, p. 351].

drammaturgico quanto da quello genetico, risiede nella prima comparsa del fischio. Le fondamenta dell’intera partitura gravitano infatti sull’introduzione del motivo del “richiamo” e sul conseguente trattamento musicale del personaggio di Dolores. Si tratta quindi di un momento di snodo particolarmente importante per la struttura complessiva, in cui Maderna espande musicalmente le potenzialità insite nel testo. Il passaggio quindi merita di essere analizzato approfonditamente sia sul piano drammaturgico che su quello musicale.