• Non ci sono risultati.

L’opposizione “interno – esterno”

2.2 Il testo

2.2.4 L’opposizione “interno – esterno”

L’organizzazione dello spazio (interno/esterno) entro cui si svolge l’azione riflette il sistema di forze oppositive su cui si basa la struttura profonda del racconto. Da un lato l’interno dell’appartamento è il luogo dove prendono corpo i rapporti familiari tra i personaggi principali; dall’altro il mondo esterno, rappresentato dalla città, è un sistema autosufficiente, che vive nella mancanza di regole, e il cui caos è il segnale di un evidente disfacimento (la struttura del dramma viene schematizzata nel grafico di Figura 7, che illustra appunto come i significati attribuiti alla famiglia e alla città cambino a seconda dei diversi punti di vista).

Nella rappresentazione del narratore la città appare come una realtà ambivalente che oscilla tra degrado e senso di libertà. Gli aspetti più ripugnanti del panorama urbano (come il ricorrente riferimento ai rifiuti) vengono dipinti attraverso immagini evocative; in questa descrizione trapela la fascinazione per gli elementi più marginali (come gli «altari d’immondizia») e per le figure dimenticate (come gli spazzini e gli animali randagi). Il registro poetico utilizzato offre un punto di vista estetizzante per una realtà comunemente considerata repellente («escrementi leggeri come sughero / cani gonfi galleggianti trofei»).

Il panorama cittadino tuttavia non è dipinto soltanto attraverso i tratti negativi del degrado, ma assume anche il valore positivo di un mondo libero dai vincoli e dalle costrizioni: un sistema che, seppur privo di un ordine razionale, permane in uno stato di equilibrio precario e vitale.

La città e i suoi aspetti affiorano infatti senza un’apparente logica consequenziale, riproponendo l’eterogeneità e le stridenti contraddizioni dei quartieri popolari. Il girovagare dei «gatti troneggianti su cumuli d'immondizie», i giochi dei bambini, l’onnipresente ed «eterno puzzo di fritto», sono tutti elementi di un panorama brulicante che restituisce la dimensione corale della città e il senso di libertà della vita in strada.

Tuttavia i «cumuli di rifiuti» possono assumere caratteristiche differenti a seconda della voce che li descrive. Ciro, che di mestiere fa il netturbino, è il personaggio che vive in modo più conflittuale il rapporto con la realtà esterna: il suo mestiere di spazzino lo costringere a confrontarsi quotidianamente con il degrado urbano.

107 Lettera di Alessandro Piovesan a Bruno Maderna del 15 febbraio 1949. 108 Lettera di Giuseppe Patroni Griffi a Bruno Maderna del 15 dicembre 1949.

Figura 7: temi (famiglia, città) e punti di vista (Narratore, Dolores, Ciro) Vissuta come RIFUGIO Vissuta come MINACCIA Vissuta come OPPRESSIONE I comportamenti sono definiti dai ruoli sociali

Vissuta come LIBERTÀ I comportamenti sono definiti dalle emozioni

Punto di vista di Dolores FAMIGLIA INTERNO ORDINE CITTÀ ESTERNO CAOS Punto di vista di Ciro Ambivalenza della CITTÀ Assenza di regole Miseria Senso di CAOS Senso di LIBERTÀ

Punto di vista del Narratore

Vista come

POESIA

Vista come

Contrariamente alla prospettiva offerta dal narratore, nella testimonianza di Ciro il contatto con la spazzatura (l’elemento che simboleggia più di altri la tendenza al caos autodistruttivo insito nel mondo esterno) genera violenti conflitti interiori. Da questo punto di vista è significativo che per Ciro il germe della gelosia nasca dal confronto tra le sue mani «grosse, coi calli, nere di pelle e sporche» e le mani «lisce» dell’immaginario rivale amoroso. Per Ciro le pareti domestiche proteggono il nucleo familiare dal disfacimento materiale e morale della città; lo spazio interno è l’ambiente dove costruire una vita ordinaria, basata sulla sicurezza degli affetti.

Nel corso del racconto tuttavia diventa evidente come queste aspirazioni si vengono a vanificare proprio nel chiuso dell’appartamento, poiché, come rivela la stessa voce narrante, «la tragedia scoppia fra quattro mura» (5a sequenza). In questa prospettiva il conflitto tra Ciro e Dolores va oltre il meccanismo contingente del tradimento e della conseguente gelosia, e riflette invece un diverso modo di interpretare i significati simbolici della città e dell’ambiente domestico. Dolores infatti cerca nel mondo esterno l’emancipazione dai ruoli e dalle costrizioni, come risposta ai suoi desideri e frustrazioni. Per lei la dimensione privata (l’interno dell’appartamento) rappresenta l’inaridimento delle relazioni, e l’espletamento dei ruoli sociali (di moglie e di madre). Fino alla conclusione del dramma infatti Dolores e la sorella non lasciano l’appartamento, «inchiodate alle pareti calcinate delle loro stanze» (12a sequenza). Per sfuggire al senso di oppressione vissuto tra le mura domestiche, Dolores «impazzisce prigioniera d’amore» e investe tutte le proprie fantasie in un suono proveniente dall’esterno: un fischio che ella interpreta come un segnale di richiamo («ora so che lui chiama me»). Il luogo da cui proviene questo fischio, un carcere, corrisponde simmetricamente al luogo in cui esso viene raccolto, condividendone il senso di prigionia. Il fischio è probabilmente l’anelito alla libertà di un carcerato di cui non udiremo mai la voce nel corso del dramma. La costrizione fisica quindi rispecchia simbolicamente quella dei ruoli sociali all’interno del nucleo familiare: «amore mio […] siamo prigionieri tutti e due...» dice infatti Dolores rivolgendosi all’immaginario amante (6a sequenza).

Nella dicotomia “interno-esterno”, quindi, lo spazio domestico rappresenta per Ciro la sicurezza delle relazioni familiari: un rifugio per ripararsi dalla tendenza al caos che vige nella città. Al contrario Dolores vive come opprimenti i ruoli sociali interni alla famiglia, mentre è affascinata da quello che considera un richiamo alla libertà e alla realizzazione dei propri sentimenti (il fischio del carcerato). I punti di vista antitetici di Dolores e di Ciro riflettono quindi le polarità positive e negative già emerse nella rappresentazione ambivalente della città secondo il punto di vista narratore.

Inoltre l’elemento perturbante che interviene a dissestare la vita ordinaria di Dolores (il fischio del carcerato) proviene proprio dall’esterno.109 Con questo suono il “germe” del disordine che domina il mondo “di fuori” si insinua nello spazio interno della vita familiare. Da questo momento in avanti, interno ed esterno iniziano progressivamente a compenetrarsi: Dolores passa il suo tempo affacciata al balcone e il suo canto (una ninnananna) fa da sottofondo alla voce del narratore che descrive i bambini «guizzanti per vicoli».

109 Peraltro il ruolo del fischio come elemento complicante mostra un’affinità con la trama del Don Perlimplin, il

Questo intreccio di opposizioni si sviluppa nel flusso diacronico della narrazione in modo piuttosto schematico e lineare. 110 Il principio di “linearità”, a cui fa riferimento lo stesso Patroni Griffi nel soggetto del dramma (riportato nella citata lettera di Piovesan), si risolve quindi in una fabula esposta senza intreccio né artificio, una trama volutamente prevedibile e priva di tensione drammatica.111

Attraverso la tabella Figura 8 si può osservare l’articolazione dei topics principali (la città, Dolores nel dialogo interiore con il suo immaginario amante e Ciro) nello svolgimento diacronico del racconto scandito dalla successione delle “sequenze” in cui è diviso il copione.

Patroni Griffi scrisse Il mio cuore è nel Sud non come testo autonomo, ma pensando alla destinazione radiofonica e prefigurando le possibili interazioni con la musica. Per questo motivo diversi elementi del testo chiamano in causa il trattamento musicale, in modo più o meno esplicito.112

Figura 8: segmentazione del testo in Il mio cuore è nel Sud

110 Tale schema si avvicina ai modelli che Propp ha illustrato nel suo studio sulla morfologia delle fiabe. [Cfr.

Propp, 2000] e può essere illustrato attraverso i concetti della semiotica generativa di Algirdas Julien Greimas. Dolores (il “soggetto” della storia) vede nel fischio del carcerato (l’“aiutante”) un richiamo ad intraprendere una nuova vita, libera dall’oppressione dei ruoli familiari (l’“oggetto” del desiderio). In questo senso il fischio svolge anche la funzione di “destinatore” della comunicazione che investe il soggetto di un compito. Il patto fiduciario che si crea tra Dolores e il fischio (ella crede totalmente nella validità di questo richiamo) porta l’eroina a recidere ogni vincolo familiare (è i momento della performanza, dello svolgimento di un’azione) e a rifugiarsi in un mondo interiore. Ciro (la figura dell’“oppositore”) tenterà di ostacolare il raggiungimento del desiderio da parte del soggetto uccidendo il carcerato. La conclusione tragica segna il fallimento di entrambi.

111 Il punto di vista di Patroni Griffi viene trattato più ampiamente nel paragrafo 2.7.

112 Nel suo modello di interazione tra musica e testo narrativo nei messaggi multimediali Cook chiama gap questo

tipo di passaggi, dove si instaura un rapporto di complementation tra musica e testo. Quando nel testo referenziale (le immagini di un film o le battute degli attori) vi sono zone di incertezza semantica, la musica può intervenire a specificare il senso di un passaggio. [Cook, 1998, p. 99]

“Finestre” sulla città Dolores Ciro Seq.

- Città all’alba 1

- Ragazza che canta. 2

- Città notturna. 3

- Prima comparsa del fischio 4

- Inquietudine di Dolores

Dolores respinge Ciro - Scena grottesca con gatti,

spazzini e immondizia. 5

Scontro tra Dolores e Ciro 6

[Breve dialogo immaginario] - I bambini nelle strade.

- Ninnananna cantata da

Dolores. 7

- 1° Proposito di vendetta 8

[Breve dialogo immaginario]

- 2° Proposito di vendetta

- 3° Proposito di vendetta 9-10 - Compimento della vendetta. 11 Città nell’ora «fuori del tempo»

Nell’analisi che segue si terrà conto in particolare di tre fattori:

1. Il primo fattore si ricava da elementi paratestuali: Patroni Griffi nel progetto iniziale del radiodramma fa esplicito riferimento al jazz e nelle didascalie richiede una musica blues per connotare il setting dell’azione (la città del Sud); in questo senso la musica dovrà rapportarsi con la connotazione ambivalente della città che affiora nella descrizione del narratore.

2. Il secondo fattore riguarda la dimensione fonica e simbolica dell’agente perturbante (il fischio), per la quale la componente sonoro-musicale diventa determinante.

3. Il terzo fattore riguarda l’utilizzo della musica per rappresentare il punto di vista del personaggio principale (Dolores). Questa funzione della musica non è richiamata direttamente da elementi paratestuali (come le didascalie), ma si può dedurre dalla situazione drammatica.

Come appendice a questa analisi del testo si può citare una lettera molto anteriore a questo lavoro, scritta da un Maderna appena quattordicenne. Nella missiva (il cui valore è esclusivamente aneddotico ai fini di questo studio) si scopre una curiosa coincidenza di vedute con i concetti espressi nel dramma di Patroni Griffi.

Anche se il documento non può essere ricondotto in alcun modo a Il mio cuore è

nel Sud, nondimeno le analogie riscontrabili nella rappresentazione della città ne

giustificano la citazione.

Si tratta di una lettera (è conservata nell’ABM) datata 7 gennaio 1934, che Bruno Maderna, di passaggio a Napoli, invia a Padre Policarpo, suo amico e confidente. Nella missiva il giovane musicista esprime le proprie impressioni di fronte al paesaggio della costiera amalfitana, che descrive con i toni enfatici di un adolescente e con una prosa da quaderno di viaggi ottocentesco. In una prospettiva quasi manichea egli distingue la natura incontaminata del Golfo di Sorrento dalla presenza antropica (la città di Napoli).

Affiora quindi il tema della contraddizione tra l’essere e l’apparire: «Voi umane abitazioni, che credete di essere dimora di esseri grandi, potenti, e che invece siete il tugurio di luride ambizioni, di malvagie passioni, di gelosia di ignoranza di inganni» e il degrado materiale rappresenta simbolicamente il disfacimento morale («Voi [umane abitazioni] che sprofondate nel fango e nello sterco»).

[…]

In questi giorni una profonda malinconia mi prende, non una malinconia forte, brutta ma una malinconia rassegnata.

Napoli è molto bella, poetica, triste; verso il tramonto il paesaggio diventa di sogno: dalle finestre del salotto io guardo questo tramonto e ritorno al passato rivivo i giorni sereni, melanconici, tristi brutti.

A sinistra: la forte mole del Vesuvio eruttante fumo e fuoco; scendi e tu vedi Sorrento, più bella, più romantica che si distacca fortemente dal Titano.

Poi Sorrento s’allontana come una visione paradisiaca, e nell’allontanarsi le montagne diventano azzurre, di un azzurro tenue, dolce: poi il mare, il mare sconfinato, il mare placido, calmo melanconico, puro al pari di un angelico spirito; il mare forte tempestoso, che batte qualunque ostacolo umano. Ed in mezzo a questo mare sorge come d’incanto un’isola nella quale si contempla l’artefice mano del Creatore, un’isola divina, quasi dimora degli angeli, arcangeli, cherubini: Capri. Poi ancora il mare: più lontano un’ombra cupa si stacca: Posillipo: l’occhio corre e cade il sogno all’apparire delle umane abitazioni. Voi umane abitazioni, che credete di essere dimora di esseri

grandi, potenti, e che invece siete il tugurio di luride ambizioni, di malvagie passioni, di gelosia di ignoranza di inganni; Voi che sprofondate nel fango e nello sterco; come potete osare paragonarvi al profondo pensiero della Natura?

[…]