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Il commento sonoro nella sua versione definitiva

3.1 Il film

3.1.3 Il commento sonoro nella sua versione definitiva

Nel complesso Le due verità può apparire come un tentativo non sempre riuscito di coniugare due diversi orientamenti. Da un lato l’impianto narrativo mostra elementi di forte originalità, aprendosi, attraverso il dramma giudiziario, a possibili riflessioni sul rapporto tra identità soggettiva ed identità pubblica, tra verità e rappresentazione. Dall’altro la rigidità dei dialoghi e della messa in scena indebolisce i presupposti di indagine psicologica sui personaggi.

Anche il commento sonoro presente nel film sembra risentire di questa ambivalenza, partecipando solo a tratti alla definizione di situazioni e personaggi, mentre più spesso assume un ruolo di semplice sfondo a immagini e dialoghi.

Come si è visto, la struttura narrativa è costruita su due distinti piani spazio- temporali: da un lato il presente, ambientato nell’interno asettico e formale dell’aula del tribunale, dove l’azione si svolge prevalentemente attraverso il dialogo; dall’altro il passato del flashback, incentrato sulla relazione tra i due personaggi principali in una Milano notturna e nebbiosa. Conseguenza quasi obbligata è la scelta di utilizzare il commento sonoro per contrassegnare la narrazione in flashback, così da poter connotare gli ambienti e definire il mondo psicologico nel quale si muovono i due protagonisti. Tale soluzione è evidente soprattutto nelle prime scene in cui si presentano i due personaggi principali.

Infatti, se si escludono i titoli di testa, il primo elemento musicale viene introdotto al momento della comparsa di Marialuce in casa dei Loris: si tratta di un tema in tre quarti suonato dal flauto ed accompagnato da harmonium e vibrafono.214 La chiara periodizzazione all’interno di sedici battute, la linearità della melodia (basata sulla ripetizione, con minime variazioni, di un intervallo iniziale di sesta maggiore), l’elementare struttura armonica e la scelta dell’organico sono funzionali a connotare l’estrazione popolare e l’ingenuità della protagonista. Questa quindi può essere considerata come la prima esposizione del tema conduttore principale. Nel corso del film, infatti, esso viene continuamente riproposto con lievi variazioni: la rielaborazione in modo minore; il cambio della rapidità esecutiva; la modificazione dell’organico (dal pianoforte scordato al suono vibrato ed astratto della sega, dalla chitarra solista ad un piccolo ensemble orchestrale); l’eventuale presenza in scena come musica intradiegetica (è interessante a questo proposito il fatto che una rielaborazione del tema venga canticchiata da Marialuce mentre riordina la stanza).215

214 Nei manoscritti conservati presso l’Archivio Bruno Maderna di Bologna la melodia viene indicata come Tema

di Lena Samara (si veda, nella scheda posta in Appendice II, la descrizione del documento indicato come MP5). Il tema, così come appare nella pagina manoscritta, viene trascritto in Figura 44a. Va precisato però che nella colonna sonora la prima comparsa della melodia della Samara avviene già in una forma variata, dalla tonalità originale di Sol minore a quella di Sib maggiore. Questa semplice elaborazione compare, senza indicazione di titolo, in un altro manoscritto (nella scheda in appendice ci si riferisce ad esso come documento MP7) e viene riportata in Figura 44b. Dal punto di vista dello spettatore quindi quest’ultima melodia non è percepita come variazione, ma come prima esposizione del tema, mentre la melodia in tonalità minore di Figura 44a come una successiva elaborazione.

215 La melodia canticchiata dalla protagonista compare tra gli appunti manoscritti con il titolo “Valzer” di Marialuce

- Tema di Bruno Maderna e viene presumibilmente composta come seconda voce incontrappunto al Tema di Lena Samara. Questo stesso elemento melodico compare anche nella prima versione delle musiche di commento e serve alla stesura della partitura P1 per l’episodio English wals (cfr. Figura 46)

Nella prima apparizione di Lut (inizialmente presentato come personaggio negativo) lo stesso tema è proposto in versione minore, ad un tempo decisamente più rapido ed eseguito da un pianoforte lievemente scordato, forse associabile (per via di stereotipi e convenzioni) all’ambiente malfamato dei locali notturni dai quali egli torna a notte fonda.216

Tuttavia, a parte questi due esempi iniziali, per la quasi totale durata della pellicola queste variazioni non sono coerenti con l’evoluzione dei personaggi, né tanto meno partecipano dell’inversione dei ruoli che avviene tra Lut e Marialuce quando la storia viene raccontata una seconda volta. Per la maggior parte del film invece il commento sonoro serve da puro elemento di sfondo su cui si svolgono l’azione e i dialoghi. Talvolta questa scelta è giustificata dall’ambientazione, traducendosi nell’utilizzo di musica intradiegetica: è il caso ad esempio del grammofono che, nella pensione e casa d’appuntamenti di Madame Muk, diffonde il suono di un’orchestrina da balera, la cui melodia ricalca il tema conduttore217. Nella maggior parte dei casi invece il commento sonoro si limita a riproporre il motivo iniziale con minime variazioni e con un’orchestrazione poverissima (molto spesso la scarna linea melodica è eseguita da un singolo strumento e priva di accompagnamento), amplificando così fino al parossismo la ripetitività che già caratterizza la melodia.

Risulta poco verosimile che questo sia il risultato dell’incontro meditato tra le esigenze del regista e le potenzialità compositive di Bruno Maderna, anche se si possono avanzare alcune ipotesi in questo senso. La reiterazione continua del medesimo motivo potrebbe infatti essere letta come un modo per accentuare il carattere claustrofobico del rapporto tra i due amanti e per rendere l’evolversi del dramma attraverso la saturazione del medesimo materiale, anziché attraverso procedimenti di accumulazione o di intensificazione. Tuttavia l’esito del commento sonoro, nella sua frammentarietà, nella mancanza di una coerenza interna e nella povertà delle soluzioni non sembrerebbe motivato tanto da precise scelte poetiche, quanto da esigenze produttive, come, ad esempio, la necessità di completare rapidamente la colonna sonora senza poter meditare ogni singola scelta.

Mentre da un lato sorprende un certo grado di approssimazione, dall’altro non stupisce invece la scelta di un materiale di estrazione “bassa”. Se ne ha un esempio riuscito nella successiva collaborazione tra Leonviola e Maderna in Noi Cannibali del 1953: qui il rimando a modelli musicali di chiara ascendenza popolare è perfettamente funzionale alle drammatiche scene ambientate tra i baraccati del porto di Civitavecchia.

Se quindi nel quadro d’insieme il commento sonoro de Le due verità risulta convenzionale e poco interessante, tuttavia in due scene - l’ultimo incontro tra Lut e

216 In questo episodio vengono rielaborate le prime 16 battute del tema di Lena Samara: (cfr. Figura 44a). Come si

vedrà più avanti, nella composizione originaria elaborata da Bruno Maderna, l’ingresso di Lut avrebbe dovuto essere accompagnato da un sottofondo jazz, in accordo con la convenzione cinematografica americana che prevedeva il commento musicale jazzisticamente orientato per connotare un personaggio ambiguo e pericoloso, tendente a scardinare le regole e l’ordine sociale. Si veda in proposito il paragrafo 1.2. A parte gli innumerevoli esempi americani, si ricordano i personaggi interpretati da Vittorio Gassman e Silvana Mangano in Riso Amaro (1949).

217 Come si è visto al paragrafo 1.2, il grammofono rappresentava, nella convenzione hollywoodiana, un nuovo

“strumento di seduzione”. La donna, nell’atto di ascoltare musica (spesso il lascivo e scandaloso jazz), afferma la volontà di infrangere le convenzioni sociali e usa la sua sensualità per scavalcare le barriere di classe e di ceto. Possiamo ricordare la conturbante Joan Crawford in Rain (1932) che ascolta ossessivamente St. Louis Blues o, in Italia, l’intraprendente Silvana Mangano di Riso Amaro (1949), che allieta il tempo libero delle mondine con il suo giradischi portatile.

Marialuce che conclude entrambi i flashback - esso risalta per efficacia, complessità e cura compositiva, discostandosi evidentemente dal resto del film. In entrambi i casi l’apporto di Maderna è determinante nel rendere l’ansia dell’attesa, il progressivo intensificarsi della concitazione e la conseguente ineluttabilità del finale tragico.

Tanto nell’ultimo violento dialogo tra Lut e Marialuce (al termine del primo

flashback) quanto nella lotta tra Lut ed i suoi fantasmi (nel secondo flashback) la colonna

sonora utilizza il medesimo brano musicale, della durata di circa due minuti. Giustamente Giorgio Mangini ne ha evidenziato la “notevole resa espressiva”, riferendosi in particolare alla scena finale [Mangini, 1998]. È il momento in cui Lut, esasperato dall’attesa, confuso e completamente soggiogato da Marialuce, vede materializzarsi ovunque nella nebbia notturna l’immagine multiforme e distorta della ragazza, ora seducente, ora derisoria. Qui Maderna riesce a dare profondità alle angosce e ai fantasmi di Lut, in perfetta sintonia con le tinte espressioniste presenti nella fotografia di Enzo Serafin. Da un amalgama timbrico di harmonium, vibrafono e arpa, affiorano di volta in volta alcuni dei motivi già apparsi, rielaborati però in maniera snaturata e grottesca, accostati in modo incoerente, sovrapposti e reiterati ossessivamente, in un crescendo di tensione che viene interrotto solo dal colpo di pistola di Lut218.