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I L CONCETTO DI “ ESPERIENZA ” IN D EWEY E M ONTESSORI COME METODO PER QUESTA RICERCA

III SUBLIME MATEMATICO E ASTRONOMIA.

F IGURA 3 V ISUALIZZAZIONE DELLA V IA L ATTEA DA DUE DI REZIO NI DIVERSE

IV. IL CIELO STELLATO COME PEDAGOGIA DEL SUBLIME

4.3. I L CONCETTO DI “ ESPERIENZA ” IN D EWEY E M ONTESSORI COME METODO PER QUESTA RICERCA

Negli stessi anni in cui in America si radicava la dottrina deweyana, in Italia la Montessori trovava celebrità col suo metodo della pedagogia scientifica la cui idea centrale era quella di educare prima i sensi e poi l’intelletto, e nonostante siano state mosse delle critiche sia sul piano ideologico sia su quello didattico, il metodo montessoriano è, tutt’oggi, largamente diffuso sia in Italia che all’estero. Riconoscere l’oggetto osservato con una sorta di affettività, provoca nel bambino una forma di motivazione che lo accompagnerà nella crescita. In uno dei suoi lavori letterari, a proposito dell’educazione cosmologica, la Montessori ha scritto che se si vuole fare un grande regalo a un bambino molto piccolo si avvicinerà la culla alla finestra da dove si possa vedere la luna; il bambino allora volgerà il viso a essa e, sera dopo sera, la cercherà nel cielo fino a sorriderle, proprio come farebbe con una persona cara e, allo stesso modo che con quella, si sentirà tranquillizzato dalla sua presenza.

L’immagine montessoriana del bambino operaio o “padre dell’uomo”, è stata oggetto di critiche più o meno dure, ma non staremo, qui, a ragionare su quelle metafore che a volte sembrano false, più spesso costringono la nostra cultura a fare spazio ad una nuova visione del fenomeno studiato – prendiamo ad esempio l’immagine piagettiana del bambino. Il problema è che spesso l’attenzione degli studiosi è completamente concentrata su alcuni dei tratti del bambino e distratti per la scoperta di ogni piccolo segnale che possa confermare la propria teoria, rischiano di creare dei veri e propri errori epistemologici. Il pregio che tutti riconoscono nel metodo montessoriano è il concentrarsi sul capire il mondo infantile.

Lo abbiamo sottolineato più volte, per la Montessori capire è più importante che dedurre e quindi in lei c’è sempre un’apertura alle smentite che possono venire da nuovi esperimenti e, soprattutto, c’è una non comune capacità di mettersi nei panni del

97 bambino, di cogliere la grammatica e la sintassi del mondo infantile, capacità che non hanno avuto altri pionieri della scoperta dell’infanzia, come ad esempio Jean Piaget.101

Non è da sottovalutare questo lato della pedagogia montessoriana giacché, si deve pensare che – come Dewey - il suo operato muove i suoi passi agli inizi del novecento, quando, cioè, le scuole e i metodi educativi erano incentrati sulla concezione tradizionale che dava centralità all’istruzione e non all’alunno, lo sviluppo affettivo dell’allievo rimaneva estraneo al metodo educativo ed il concetto di esperienza, di cui abbiamo diffusamente parlato in Dewey, era totalmente estraneo alla scuola.

Quello che appare importante, dal punto di vista di questo lavoro, è sottolineare la particolare valenza formativa dello sviluppo affettivo e il bisogno di una pedagogia come “antidoto” contro la caduta dei valori e come salvezza dal nichilismo, concetti-chiave della scienza educativa di entrambi i pedagogisti102.

Esperienza deriva dal latino ex e perior, col significato di “passare attraverso un

pericolo mortale” (perire) dove si rischia di perdersi, anzi ci si perde. Il significato vero del termine nasce proprio dalla condizione contraria all’usuale senso che alla parola si associa: esperire vuol dire scoprire la “non-verità” di ciò che credevamo vero e la nuova verità dona un valore aggiunto alla nostra coscienza, in quanto l’assimilazione del nuovo concetto ci porta ad una nuova visione del mondo. Ecco, quindi, il momento dialettico della morte del vecchio e nascita del nuovo.

Quando Dewey si riferisce all’esperienza affettiva la mette in relazione costante con l’educazione; la pedagogia considera un’esperienza “educativa” quando favorisce l’acquisizione di nuove competenze, al contrario, è diseducativa nel momento in cui le inibisce. Essa deve basarsi su tre principi fondamentali: la

continuità, intesa nel concetto piagettiano di assimilazione e accomodamento;

vale a dire che ogni nuova esperienza è influenzata da quella precedentemente acquisita; la crescita – derivata dall’esperienza fatta- che si traduce in una

101

R. Regni, Infanzia e società in Maria Montessori. Il bambino padre dell'uomo, Armando ed, Roma, 2007.

102

R. Rossolini, Nichilismo, eterna lotta tra ragione e arbitrio, ed. L’orecchio di Van Gogh, Chiaravalle,2006

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migliore capacità di interagire positivamente col mondo; l’interazione positiva tra maestro e alunno.

E qui, vogliamo aprire una piccola parentesi sull’importanza di una informazione il più possibile completa sulla personalità dell’alunno. Ogni esperienza educativa nasce dall’incrocio di questa interazione, quando questi due elementi entrano in conflitto, non si può più parlare di educazione ma di una routine che non può fare altro che sfociare in atteggiamenti passivi o addirittura negativi riguardo al contesto scolastico. Quando, dunque, si programma un’attività formativa, non si può fare a meno di tener conto delle esperienze pregresse di ogni singolo alunno – e non di tutti in generale.

La delicatezza della funzione educativa consiste nel creare situazioni di apprendimento e di maturazione che rispettino i principi di continuità e di crescita, nella consapevolezza del principio di interazione, in modo tale da legare insieme passato, presente e futuro, assicurando così il processo di sviluppo armonico della personalità. Si tratta dunque di coniugare, nell’esperienza, il soggetto e l’oggetto dell’atto educativo. Per questo è fondamentale che l’educatore conosca “l’oggetto” del suo intervento, cioè abbia una solida formazione psico-pedagogica.

L’esperienza sul campo effettuata per questa ricerca ha evidenziato più volte la necessità di “mettersi in gioco”, di ricorrere a nuove risorse, a volte anche “reinventare” il processo educativo mettendo in relazione i diversi fattori, interni ed esterni, con cui ci si trova a fare i conti in diverse situazioni socio-ambientali. L’aspetto laboratoriale è stato una costante fondamentale in tutto il percorso. Il laboratorio, inteso come “aula attrezzata”, non è sempre presente nelle scuole, per cui ci si deve adoperare per fornire, con materiali semplici, gli strumenti fondamentali per la crescita formativa dell’alunno e questo va cadenzato sul “tempo” dell’alunno, ovvero quando si presenta l’occasione, il momento giusto. Altre volte i laboratori sono ben attrezzati – e magari mai usati- dunque si può aiutare il percorso educativo preparando l’ambiente di apprendimento più adatto. Naturalmente, nel nostro caso, l’aula attrezzata è servita per predisporre

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gli alunni all’acquisizione di alcuni concetti base affinché fossero pronti per l’osservazione del cielo.

Tuttavia, mette conto sottolineare che il vero laboratorio è la natura: le alture dei monti, la spiaggia deserta delle ore notturne, un luogo isolato dove i lampioni non creassero fastidio all’occhio dell’osservatore, a volte le mura di antichi castelli diroccati su pendii scoscesi e magari con un sottofondo discreto di musica rinascimentale. È in questi momenti che il bambino, conscio del sapere che ha acquisito, scruta, osserva, ricerca nel cielo figure immaginarie e, capita non di rado, all’improvviso l’emozione che sempre genera l’atto del riconoscere, si fa strada, nel cuore del piccolo osservatore, una strana sensazione di “paura” per la “grandezza” delle cose osservate. Di questo, però, avremo modo di parlare ampiamente di seguito.

Ciò che mi preme, ora, è sottolineare la valenza di un metodo educativo che si rivela davvero efficace se se ne colgono gli aspetti concreti. L’idea kantiana dell’a-priori è un concetto di cui anche la pedagogia montessoriana è fermamente convinta. La Montessori fonda le radici della sua opera educativa sull’assunto che il bambino abbia già, dentro di sé, un potenziale da sviluppare, da “portar fuori”; dunque il compito dell’insegnante è quello non di “insegnare le competenze” ma creare e promuovere occasioni in cui esse possano manifestarsi, affinché il bambino impari ad usarle nel momento più opportuno. I minori sono dotati, secondo la Montessori, di una natura psichica ricca di enormi potenzialità, per questo il compito dell’educazione è soprattutto quello di promuovere e sviluppare la mente, senza sottovalutare, come spesso accade, il potenziale del bambino. Per questo è necessario che egli esplori il mondo in tutte le sue manifestazioni e nelle diverse forme.

Come in Dewey, anche nel pensiero montessoriano il concetto di esperienza e le attività laboratoriali, assumono un ruolo determinante. Sono tantissime, dunque, le affinità tra i due pedagogisti, ma esistono anche delle discordanze riguardo ai presupposti antropologici. Come abbiamo detto, la Montessori è convinta che il

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bambino nasca con un’anima divina 103 Dewey ritiene che non esiste nessuno spirito e che sia la società a plasmare il bambino. Per la Montessori, il ruolo dell’insegnate è fin troppo riduttivo: l’educazione è un processo naturale che si sviluppa spontaneamente nell’essere umano. Per Dewey l’educazione è la crescita, la costruzione continua di esperienze e l’insegnante, la guida nella direzione desiderata. Il metodo montessoriano tiene conto del singolo soggetto mentre quello deweyano sul gruppo e sul problem solving.

Da una sintesi dei due approcci metodologici, è evidente che la giusta misura sta nel mezzo. Dal nostro punto di vista posso dire che quello dell’acquisizione di esperienza è un concetto basilare che ci ha seguiti in tutto il percorso formativo rivelandosi essenziale soprattutto in alcuni momenti del nostro cammino. Il mio ruolo d’insegnante è stato quello di una guida che, lasciando libero il più possibile il bambino (nel concetto montessoriano del termine) ha organizzato ambienti di apprendimento idonei il più possibile allo scopo prefissato, guidando l’alunno nella direzione desiderata (concetto deweyano). Tenendo conto dei pre- requisiti e, soprattutto del contesto sociale nel quale ho operato, ho potuto organizzare gruppi di lavoro dove il tatto o meglio, la manualità acquisivano davvero un significato rilevante, dando agli alunni che mostravano lati caratteriali più difficili, dei ruoli primari per canalizzare, quando necessario, una eccessiva vitalità e un notevole entusiasmo, che oggi spesso erroneamente si traduce col termine “iperattività”.

4.4L’

APPROCCIO COGNITIVISTA DI

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