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L A RIPRESA DEL DIBATTITO SUL S UBLIME NEL 1700.

II. LA MODERNITÀ: IL SUBLIME COME “GENUS VIVENDI”.

2.1 L A RIPRESA DEL DIBATTITO SUL S UBLIME NEL 1700.

La ripresa della trattazione del sublime e del suo rapporto tanto con la creazione artistica quanto con la natura risale, come abbiamo detto, alla Rivoluzione scientifica, o meglio, astronomica del 1600, “che determina il passaggio da un mondo chiuso della concezione aristotelico - tolemaica all’Universo infinito della concezione copernicana e galileiana”39. Si determina, così, il passaggio dall’età medievale a quella moderna dando inizio a una nuova concezione di pensiero che coinvolgerà non solo l’astronomia, ma anche la filosofia e, soprattutto, la teologia.

La cosiddetta visione eliocentrica dell’universo, dunque, è frutto non solo di Copernico ma anche di fisici e astronomi, quali Keplero e Galileo, soprattutto, e alcuni filosofi tra i quali spicca il pensiero di Giordano Bruno, che espresse, a partire dalla sua adesione al sistema copernicano, una nuova visione del cosmo e meditò sul posto che l’uomo occupa in esso: l’universo è infinito, il nostro sistema planetario ne occupa solo una piccolissima parte, disperso in altri “infiniti mondi”; anche se, questa interpretazione bruniana, oltre a non essere verificabile nella disciplina astronomica, è contraddetta già dai suoi contemporanei40.

È così, allora, che i nuovi scienziati considerano

gli spazi infiniti del Cielo e la pluralità dei mondi rivelati dal cannocchiale *…+ pieni dell’onnipresenza di Dio, sicché gli occhi che guardano i primi sono l’anima che si eleva - con piacevole tremore- al secondo41.

Ed ecco, ancora, l’elevazione dell’animo, congiunta all’enormità di certi fenomeni o aspetti della natura, fonte di quella “estetica dell’infinito” che ha influenzato, durante tutto il 1700, l’arte e la poesia. Il primo ad essere catturato dal nuovo filone filosofico fu Edmound Burke che, nel suo celebre scritto “Inchiesta sul bello

e il sublime”, ritorna sul tema individuando, come vedremo, il terrore, l’oscurità,

39 Cfr. intr. Di G. Sertoli a E. Burke, Inchiesta sul bello e il sublime,A esthetica, Palermo 1985, pag 16.

40 Cfr. F. Piperno, Prime note su cognizioni ed illusioni nel sapere astronomico, in Rangle, www.peppe-liberti.blogspot.com/

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la potenza, la privazione, la vastità, l’infinità, la difficoltà e la magnificenza come cause di un sentimento sublime.

Burke gioca un ruolo fondamentale nella teoria moderna sul sublime, in quanto egli articola in assoluta autonomia la categoria del sublime, contrapponendola a quella del bello42. Il filosofo irlandese considera il sublime non già una celebrazione della magnificenza della natura, bensì una manifestazione del “terrore” che essa può suscitare e, pertanto, il momento in cui l’uomo è più depotenziato. C’è un netto contrasto, è evidente, con il concetto longiniano d’elevamento dell’Io ad un grado di consapevolezza superiore. Dobbiamo a Kant la ripresa dell’idea di sublime naturale come trascendenza. Egli, venuto a contatto con il libro di Burke, scrive le sue “Osservazioni sul sentimento del bello

e del sublime”43; ponendo anch’egli una distinzione fra i due termini, come nella filosofia burkeana, ma rendendola funzionale ad un’ideologia scientifica che, manifestandosi nel “genus vivendi”, lega (ancora una volta) indissolubilmente il sentimento del sublime all’elevazione dell’animo umano. È nella Critica del

giudizio che la sua analisi del sublime si concentra sull’aspetto naturale,

distinguendo un “sublime matematico”, esperito dinnanzi alla vastità dell’Universo, ed un “sublime dinamico”, che nasce dal confronto con la potenza della natura.

Altri filosofi hanno trattato, nel tempo, il tema della filosofia del sublime, fra cui Hegel, Schiller, Schelling, ma quello che più manifesta la matrice kantiana è Schopenhauer; infatti, tutti gli esempi da lui forniti nel libro “Il mondo come

volontà e rappresentazione”44 si riferiscono alla natura; e se, per di più, prendiamo in considerazione gli stessi esempi di un sublime “artificiale” a cui accenna (S. Pietro a Roma, le piramidi egizie, le colossali rovine) è evidente che servono solo a meglio illustrare il “sublime matematico”.

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Cfr. Luigi Russo (a cura di), Da Longino a Longino- I luoghi del Sublime, Aesthetica, Palermo 1987, pag.11.

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Publ. 1764. 44

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2.1.1L

OCI HORRIDI E PAESAGGI SUBLIMI

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Agli inizi del 1700 l’estetica del paesaggio naturale – possiamo chiamarla così – guadagnava la sua maggiore popolarità, dando prestigio proprio a qui luoghi cui nessun uomo prima aveva mai dato un interesse poetico. Si tratta di loci horridi

et asperrimi, gli stessi campi in cui gli autori latini ambientavano le atroci

battaglie, luoghi desolati a distese arse dal vento. In netta contrapposizione con i

loci amoeni che, come abbiamo visto, descrive Platone nel Fedro. I loci horridi

sono sterili, pericolosi, vasti e desolati; evocano la morte e per questo provocano paura e sgomento. Tra questi possiamo annoverare gli oceani, i deserti, le selve inviolate, i vulcani. Ma, perché sono denominati “orridi”? Forse in motivo sta nel loro apparire deforme, come contrario di kalós, e, dunque, privi di proporzione e di simmetria, assenti di limiti e con un carattere immenso di vastità. Questi territori, in genere, disorientano l’animo, perché sfuggono al dominio dell’uomo, generano paura e instabilità; non sono visitati per piacere ma solamente per forza maggiore. E allora, perché considerati “sublimi”? A cosa si deve questa inversione radicale del gusto? Il sublime può essere considerato “l’assoggettamento estetico dell’orrido”. La sopravvivenza dopo l’incontro – o lo scontro- con questi paesaggi selvaggi, fa sentire l’uomo più vivo, permettendogli di resistere alla banalità dell’esistenza.

Da tale confronto scaturisce un inatteso piacere misto a terrore, che, in maniera ambigua, da un lato rafforza l’idea della superiorità intellettuale e morale dell’uomo sull’intero universo e, dall’altro, contribuisce a fargli scoprire la voluttà di perdersi nel Tutto.45

Il sublime, così inteso, funge da leva per sollevare gli uomini dai loro istinti primordiali, rendendoli propensi a esperienze intellettuali profonde. Ha la funzione educativa di stimolare quella facoltà di intendere l’uomo con una dignità manifesta al cospetto di un vissuto che non implica nulla più che una mera insignificanza. La sfida posta da questi luoghi che destano sgomento, che turbano profondamente per l’aspetto aspro e selvaggio, rappresenta, per filosofi e poeti, una prova capace di verificare la nobiltà d’animo e la resistenza al rischio posto dal confronto con una natura assai più potente e pericolosamente

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minacciosa; tant’è che questa coscienza di superiorità della natura le ha conferito, da sempre, un carattere divino. L’esempio più palese che, qui, possiamo porre all’attenzione è un passo delle Confessioni di S. Agostino, nel quale si evince l’ammirazione relativa all’idea di grandezza e magnificenza per le cose naturali, che rendono manifesta la presenza del suo Signore: le vette dei monti, le onde enormi del mare, le correnti amplissime dei fiumi, la circonferenza dell’Oceano, le orbite degli astri, ma esse non rappresentano che l’espressione di Dio giacché - dice Agostino – Egli abita nella profondità dell’uomo46. Nell’espressione della nuova estetica, però, l’uomo non si accontenta di confrontarsi con Dio attraverso la preghiera e l’ascesi, ma decide di porsi in un rapporto agonistico con la natura selvaggia, allo scopo di rispecchiarsi in essa e vedersi intellettualmente e moralmente superiore, donando al corpo un rilievo che non aveva mai avuto.