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I L SENTIMENTO DEL SUBLIME È NELLA NATURA UMANA O NELLA CULTURA ?

II. LA MODERNITÀ: IL SUBLIME COME “GENUS VIVENDI”.

2.3 I MMANUEL K ANT E IL “ SUBLIME MATEMATICO ”

2.3.2 I L SENTIMENTO DEL SUBLIME È NELLA NATURA UMANA O NELLA CULTURA ?

La sublimità, dunque, non è da ricercarsi propriamente nella natura, nelle cose sensibili; essa è insita nell’animo umano, giacché l’uomo stesso possiede delle idee soprasensibili, che solo la cultura riesce a manifestare. In poche parole: la vista di un vulcano in eruzione o dell’oceano in tempesta, o dell’immensità dell’Universo, non è sublime in quanto produce bellezza e terrore insieme; la mente ne coglie una valutazione in termini di sublime perché essa è piena di idee soprasensibili, possedute a priori, che rendono tali le immagini osservate.

È in questo senso che Kant dice:

Il sublime vero e proprio non può essere contenuto in nessuna forma sensibile, ma riguarda solo le idee della ragione, le quali, sebbene nessuna esibizione può essere loro adeguata, anzi appunto per tale sproporzione che si può esibire sensibilmente, sono svegliate ed evocate nell’animo nostro. Così l’immenso oceano sollevato dalla tempesta non può esser chiamato sublime. La sua vista è terribile; e bisogna che l’animo sia stato già riempito da parecchie idee, se mediante tale intuizione deve esser determinato ad un sentimento, che è esso stesso sublime, in quanto l’animo è sospinto ad abbandonare la sensibilità e ad occuparsi di idee che contengono una finalità superiore57.

Non esiste un’arte che sia sublime né immagini capaci, da sole, a suscitare idee sublimi in chiunque le ammiri; né il sublime, può essere acquisito con la cultura, semmai essa rappresenta il trait d’union; quello che noi cerchiamo, si trova, allo stesso tempo, nella Natura, nel cuore e nella mente degli uomini. Per riuscire a provare un sentimento sublime, bisogna che vi sia una corrispondenza tra la mente, un animo grande e nobile e un’estrema sensibilità, e sono, questi, doni che appartengono in proprio alla condizione dell’osservatore in quanto essere umano.

La psicologia empirica di Kant pone in evidenza come la vista di certi paesaggi “sublimi” possa apparire, ad uomini poco civilizzati, semplicemente spaventosa;

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questo perché il giudizio sul sublime naturale esige maggiore cultura del giudizio sul bello. “In realtà -dice Kant- ciò che noi, preparati dalla cultura, chiamiamo

sublime, senza lo sviluppo delle idee morali, è per l’uomo rozzo semplicemente terribile” 58.

Per essere più espliciti, si possono prendere in considerazione quei molteplici casi in cui la forza devastatrice della natura agisce sulla Terra, e dinnanzi alla quale non si può nulla. Un uomo poco colto non coglierebbe in ciò la magnificenza del sublime dinamico, ma ne resterebbe semplicemente terrorizzato; vedendo in quell’immagine solo il disagio, il pericolo, l’affanno che colpirebbero l’uomo che vi sarebbe esposto.

Ma il giudizio sul sublime della natura è un giudizio riflettente, che nasce dalla “contemplazione” della bellezza pura; la cultura, allora, è qui intesa come una predisposizione del pensiero, una virtù che ci permette di cogliere la meraviglia dell’oggetto.

ma, se il giudizio sul sublime della natura (più che quello sul bello) esige una certa coltura, esso non è prodotto originariamente dalla coltura stessa, né è introdotto nella società da una semplice convenzione, ma ha il suo fondamento è nella natura umana, in qualche cosa che si può supporre ed esigere da ognuno insieme con il sano intelletto, vale a dire nella disposizione al sentimento per le idee (pratiche), cioè al sentimento morale59.

Non è necessario, quindi, né che la mente sia impregnata da giudizi teologici e tanto meno scientifici. Kant, riguardo a ciò, afferma che quando si definisce “sublime” il Cielo stellato, non è necessario, per giudicarlo tale, che abbiamo in noi il concetto “di mondi abitati da esseri ragionevoli”, o di vedere in quei punti luminosi di cui è pieno lo spazio sopra di noi: i soli di quei mondi moventisi sulle

loro orbite tracciate adeguatamente al loro scopo60; è necessaria una iniziale propensione al trasporto, una “calma contemplazione”, come la definisce kant stesso, e lasciarsi trasportare dal silenzio, fino a quando l’animo si eleva a racchiudersi nel Tutto.

58 Kant, op.cit. pag 116. 59

Ibidem pag 117 60

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L’uomo di cultura che si ritrova in contemplazione della volta stellata, non ha la mente impregnata di nozioni, piuttosto quelle stesse nozioni sono divenute pensieri che rendono la mente libera di vagare nello spazio, annullando tempo e distanze. Liberandosi da tutto ciò che è corporeo si può assaporare, così come fanno i poeti, o come fanno i bambini per una predisposizione naturale, il compiacimento per la natura osservata, quella felicità di sentirsi integrati in quel che è così com’è, breve di divenire ciò che si è.

L’intelligenza estetica deriva, allora, dalla libertà, libertà d’immaginazione; ed è proprio questa a porre l’animo in uno stato tale da potersi elevare e sentirsi migliore; in più, questa libertà ha un carattere attivo perché rende oggetto del sublime, non ciò che si contempla, ma il sentimento morale del soggetto; e questo lo fa trasferendo nell’oggetto sensibile i caratteri della ragione.61

Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il Cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire al pianeta (un semplice punto nell’Universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall’animalità e anche dall’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può riferire dalla determinazione conforme ai fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito62.

61 Cfr. L.Pareyson, L’estetica di Kant, Mursia, Milano 1968, pag. 119 a seg. 62

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La teoria kantiana rappresentò un punto di riferimento per filosofi, critici letterari, poeti, astronomi e scienziati.

2.4 I

L SUBLIME NEL ROMANTICISMO

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