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I L CONCETTO MATEMATICO DI GRANDEZZA E L ’ ANALITICA DEL SUBLIME NELLA C RITICA DEL G IUDIZIO

II. LA MODERNITÀ: IL SUBLIME COME “GENUS VIVENDI”.

2.3 I MMANUEL K ANT E IL “ SUBLIME MATEMATICO ”

2.3.1 I L CONCETTO MATEMATICO DI GRANDEZZA E L ’ ANALITICA DEL SUBLIME NELLA C RITICA DEL G IUDIZIO

Nell’Analitica del sublime (ANALYTIK DES ERHABENEN) il Filosofo tedesco spiega il passaggio dalla facoltà del bello a quella del sublime. Analizzando con rigore i due termini, nella terza Critica, sostiene che bello e sublime sono affini ma fra le differenze rileva che «Il bello della Natura riguarda la forma dell’oggetto, la quale consiste nella limitazione; il sublime invece, si può trovare anche in un oggetto privo di forma, in quanto implichi o provochi la rappresentazione dell’illimitatezza, pensata per di più nella sua totalità»54 .

Il bello, insomma, è un piacere che rende la vita meno amara, dona gioia all’uomo, regala istanti gradevoli da ricordare; il sublime, al contrario, non nasce mai da una situazione gradevole, è invece la conseguenza di un momento d’impedimento, di destabilizzazione, seguito da una “più forte effusione delle forze vitali” – Kant lo chiama piacere negativo.

Il vero sublime non può essere contenuto in nessuna forma sensibile, ma riguarda solo le idee della ragione che sono “evocate” dall’animo umano.

In poche parole – spiega Kant – se noi guardassimo un oceano in tempesta questa vista – di per sé- non potrebbe essere definita sublime. Piuttosto la chiameremmo terribile; ma la mente umana, piena d’idee, ne trae un sentimento sublime.

In questo scenario, facciamo l’esempio del cielo stellato: alzando gli occhi, in una

notte chiara e senza vento, l’uomo resta incantato da quelle lucine brillanti;

l’immagine del cielo, che la sua mente percepisce in quel momento, è bella. Ma, nel momento in cui la mente ricostruisce le “immani distanze” che ci separano da quelle luci, e il tempo sembra fermarsi, e ci vengono in mente “le vie

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della Luna e del Sole”; prendiamo coscienza che stiamo osservando da un pianeta, fra altri pianeti di un piccolo sistema planetario, posto in un punto periferico della nostra Galassia, fra miliardi di galassie e così via. Si fa strada un sentimento d’angoscia di fronte alla nostra piccolezza messa al confronto con quello che Kant chiama una grandezza assoluta, “solo uguale a sé stessa”:

Ma l’infinito è grande assolutamente (non per semplice comparazione). Paragonata con esso ogni altra grandezza(della stessa specie) è piccola. Ma ciò che più importa, il poterlo anche solo pensare come un tutto dimostra una facoltà dell’animo che trascende ogni misura dei sensi. Perché a ciò sarebbe necessaria una comprensione che fornisse come unità una misura, la quale avesse con l’infinito un rapporto determinato, esprimibile in numeri: il che è impossibile. Il poter anche solo pensare senza contraddizione l’infinito dato, esige nell’animo umano una facoltà che sia essa stessa soprasensibile. Poiché solo mediante questa facoltà e la sua idea di un noumeno, il quale per se stesso non ammette alcuna intuizione, ma fa da sostrato all’intuizione del mondo in quanto semplice fenomeno, l’infinito del mondo sensibile è compreso interamente sotto un concetto, nella valutazione puramente intellettuale delle grandezze, sebbene esso, nella valutazione matematica mediante concetti numerici, non possa essere mai pensato interamente.55

Ma come valutare le grandezze nelle cose naturali? Facendo una disamina sul giudizio di grandezza, Kant afferma che tra le cose materiali non esiste nulla di infinitamente grande; ogni grandezza è relativa in rapporto al paragone fra due oggetti presi in esame. Se, ad esempio, prendiamo in considerazione una pianta, essa pare piccola se paragonata ad un albero, il quale a sua volta diventa piccolissimo se paragonato ad una montagna; ma, se torniamo sulla pianta, essa può essere molto grande se la poniamo al confronto con un sassolino e così via. Dunque, sostiene Kant, il sublime non è da ricercarsi nelle cose della natura, ma nelle nostre idee. Se, infatti, considerassimo le cose sensibili, nulla sarebbe fonte di sublime; ma giacché nell’immaginazione, vi è una spinta “a proseguire all’infinito” (l’apprensione), opponendosi alla ragione che al contrario tende a conoscere solo le cose reali (la comprensione), la coscienza unisce queste due idee rendendo l’infinito una cosa sensibile; in altri termini, la facoltà di giudizio favorisce il sentimento.

È, questa, una facoltà di quella rappresentazione della realtà che Kant chiama “giudizio riflettente”.

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Per conseguenza non è l’oggetto ad essere sublime, ma la rappresentazione che ne fa la mente in base ad una disposizione dell’animo umano.56 Un oggetto può essere sublime per via della sua grandezza, solo se fa parte delle cose naturali. Un animale o un oggetto costruito dall’uomo, se troppo grande può essere “mostruoso” o risultare “colossale”, ma non sublime. La mente umana è soddisfatta quando può misurare una grandezza a colpo d’occhio (con l’aritmetica, per esempio usando il sistema decimale), procedendo per gradi. La

comprehensio logica può farci abbracciare persino la misura del diametro

terrestre, se usiamo la matematica, e la mente ne è soddisfatta. La natura però – sostiene il filosofo -è sublime nei suoi fenomeni, la cui intuizione include l’idea dell’infinità. Non è più, dunque, la comprensione logica a mostrarci le cose sublimi, ma quella che Kant chiama comprehensio aesthetica.

Torniamo al nostro cielo stallato: nel primo momento di osservazione, davanti alla bellezza della volta celeste trapunta di stelle, l’uomo resta in muta contemplazione. Nel secondo momento, invece, quando si fa strada il sublime, egli avverte una forte commozione, data da un alternarsi rapido di attrazione verso l’infinito e repulsione della ratio che si protegge istintivamente dalla paura. È solo grazie alla comprensione estetica dell’oggetto che l’uomo riesce a ritrarsi da un sentimento angoscioso e rinascere con più stima di se stesso.

In breve, secondo il filosofo tedesco, il sublime matematico sorge alla presenza di qualcosa che il nostro giudizio giudica smisuratamente grande che fa nascere, nell’animo umano, un sentimento ambivalente: da un lato esso avverte un senso di dispiacere dovuto al fatto che la nostra immaginazione non è in grado di abbracciarne la grandezza, dall’altro prova piacere, perché scoprendosi portatore dell’idea di infinito, che attesta l’essenza dell’uomo come essere superiore alla natura, trasforma quell’iniziale senso di piccolezza fisica in una finale consapevolezza di grandezza spirituale. Ed ecco, siamo tornati a Longino.

E, infatti, anche quando Kant sostiene che ciò che trascende l’immaginazione è come un “abisso”, in cui essa teme di perdersi, a noi sembra un tratto

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prettamente longiniano, il quale aveva già associato il sublime al termine bathos, nel senso proprio di profondità abissale.

2.3.2 I

L SENTIMENTO DEL SUBLIME È NELLA NATURA UMANA