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K ANT E L EOPARDI : UN ’ INTERPRETAZIONE KANTIANA DE “L’ INFINITO ”.

II. LA MODERNITÀ: IL SUBLIME COME “GENUS VIVENDI”.

2.4 I L SUBLIME NEL ROMANTICISMO : L’ INFINITO , L ’ ANGOSCIA E IL PIACERE DEL SUBLIME IN GIACOMO LEOPARDI

2.4.2 K ANT E L EOPARDI : UN ’ INTERPRETAZIONE KANTIANA DE “L’ INFINITO ”.

Il problema che in questa tesi si tenta di affrontare, non è propriamente il sublime leopardiano, sarà chiaro a questo punto del discorso, e ben consapevole di non poter essere sufficientemente esaustiva sulla poesia del poeta recanatese, né, tantomeno, sulla filosofia kantiana che ben più ampia discussione richiederebbe, mi limito a riflessioni sul sublime naturale, se pur intimamente connesso con l’estetica. In molti passi dello Zibaldone, il Leopardi pone la noia tra le passioni umane. La presenta come un desiderio di “nulla”, che resta inappagato. Non è però un sentimento qualsiasi, paragonabile a qualunque altro: è il più sublime dei sentimenti. Suona strano sentir paragonare il sublime alla noia, eppure il poeta magistralmente spiega:

La noia è in qualche modo il più sublime dei sentimenti umani . (...) Il non poter essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così dalla terra intera, considerare l'ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole meravigliosa dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell'animo proprio; immaginarsi il numero dei mondi infinito, e l’universo infinito, e sentire che l’animo ed il desiderio nostro sarebbe ancora più grande che sì fatto universo; e sempre accusare le cose d’insufficienza e di nullità, e patire mancamento e vuoto, e però noia, pare a me il maggior segno di grandezza e nobiltà, che si veggia nella natura umana. Perciò la noia è poco nota agli uomini di nessun momento e pochissimo o nulla agli altri animali76

Si evince, nell’aforisma appena citato, un rapporto molto intimo tra uomo – inteso come essere animale - e natura (concetto primario del sublime naturale), ma addirittura «l’animo e il desiderio nostro, sarebbe ancora più grande di siffatto universo»; neanche l’infinito – se fosse reale, giacché per Leopardi non lo è – riuscirebbe a colmare il vuoto che sente la nostra anima, che si rivela, in tal modo, al di sopra di ogni grandezza. Tutto ciò è in netto contrasto con l’idealismo trascendentale, secondo cui invece l’uomo sente la propria grandezza proprio tramite gli infiniti spazi considerati con un carattere tutt’altro che marginale o insoddisfacente. Tuttavia, possiamo trovare delle assonanze nella filosofia leopardiana, con le opere del filosofo tedesco.

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Nel libro “Leopardi e il sublime” di Raffaele Gaetano, esistono diversi riferimenti a Kant e alla critica del giudizio. Ciononostante, non si è certi del fatto che Leopardi avesse avuto direttamente accesso alle opere di Kant. Sappiamo che casa Leopardi vantava una fornita biblioteca, ma il giovane Giacomo non aveva accesso a tutte le opere; certo è che la filosofia dell’idealismo era ben nota nel periodo dei suoi studi ed era sicuramente oggetto di discussioni nei salotti della gente di cultura, un articolo sulla filosofia kantiana apparse anche sulla rivista – ben nota al poeta recanatese - «Biblioteca Italiana» nel 1829. Quello che possiamo affermare è che il giovane Leopardi ebbe fra le mani l’opera divulgativa di Madame de Staël, De l'Allemagne, edito nel 1810.

All’epoca della pubblicazione Leopardi aveva solo dodici anni, ma probabilmente egli la lesse più tardi, giacché uno dei più accesi sostenitori del classicismo italiano, che risposero all’articolo della Staël, fu Pietro Giordani, che per il poeta rappresentava la “cara e buona immagine paterna”. La conoscenza del pensiero kantiano da parte del poeta deriverebbe proprio da un capitolo di quest’opera.

Kant passe de la théorie du beau à celle du sublime, et cette seconde partie de sa Critique du jugement est plus remarquable encore que la première ; il fait consister le sublime dans la liberté morale aux prises avec le destin ou avec la nature. La puissance sans bornes nous épouvante, la grandeur nous accable; toutefois nous échappons par la vigueur de la volonté au sentiment de notre faiblesse physique. Le pouvoir du destin et l’immensité de la nature sont dans une opposition infinie avec la misérable dépendance de la créature sur la terre ; mais une étincelle du feu sacré dans notre sein triomphe de l’univers, puisqu’il suffit de cette étincelle pour résister à ce que toutes les forces du monde pourraient exiger de nous. Le premier effet du sublime est d’accabler l’homme, et le second de le relever. *…+ quand toute la fureur de la nature se manifeste, l’homme se sent une énergie intérieure qui peut l’affranchir de toutes les craintes, par la volonté ou par résignation, par l’exercice ou par l’abdication de sa liberté morale ; et cette conscience de lui-même le ranime et l’encourage77.

Dunque la Staël condivide le idee Kantiane e Leopardi viene a contatto con la filosofia tedesca non senza rimanerne ammirato; in effetti, Kant è l’unico filosofo ad essere menzionato dal poeta nello Zibaldone, e questo gli conferisce rilievo e centralità. Le tematiche kantiane di fronte al cielo stellato appaiono nitide nella

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M.me De Staël, De l’Allemagne, nouvelle édition, Charpentier, Libraire –èditeur, Paris 1844, pag. 463.

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poesia “la Ginestra”, dove lo spazio sterminato che avvolge la terra viene percepito in tutta la sua bellezza ed immanenza:

Seggo la notte; e su la mesta landa/ In purissimo azzurro/ Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle.

Il cielo stellato, osservato dalle pendici del Vesuvio, richiama l’enorme distanza che ci separa dagli astri, la relatività del tutto, e principalmente la fragilità dell'uomo, essere sconosciuto alle grandi forze dell’Universo.

e quando miro/ Quegli ancor più senz'alcun fin remoti / Nodi quasi di stelle,/ Ch’a noi paion qual nebbia, a cui non l’uomo / E non la terra sol, ma tutte in uno,/ Del numero infinite e della mole,/ Con l’aureo sole insiem, le nostre stelle / O sono ignote, o così paion come / Essi alla terra, un punto/ Di luce nebulosa; al pensier mio / Che sembri allora, o prole /dell'uomo?

L’orgoglio umano, l’illusione ottimistica nella religione sono pertanto bersaglio del poeta: divengono oggetto di riso o di pietà. È come se il poeta fosse padrone di uno “sguardo dall’alto” – come direbbe Goethe – attraverso il quale gli è dato di vedere la piccolezza e l’irrilevanza umana.

Ma, vediamo come analizzando l’Infinito leopardiano, si evince che potrebbe essere il risultato poetico di una riflessione sull’Analitica del Sublime matematico. Già nei primi versi l’uso del verbo “mi fingo” (Ma sedendo e

mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo) il Leopardi suggerisce, come abbiamo già

sottolineato, che quell’infinito non è reale ma esiste solo perché può essere pensato e ciò è evidentemente un concetto di matrice kantiana: il poeta si trova di fronte al “Sublime matematico” (interminati spazi). L’immaginazione, allora, abbandona l’intento di apprendere l’oggetto che ha davanti e invano cerca di abbracciarlo con la comprensione, in quanto si trova di fronte un assolutamente grande, che è maggiore di qualsiasi grandezza conoscibile. Arriviamo al momento più importante: il cuore che dinnanzi a tale visione si “spaura”; si avverte, così, nelle parole usate dal Leopardi, una sensazione di disagio di fronte a quello spazio sterminato. In una lettura kantiana della poesia, possiamo affermare che sentendosi, l’immaginazione, umiliata a causa della sua incapacità di

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comprendere quell’infinito, si fa prendere da un sentimento di dispiacere per l’inadeguatezza avvertita. Il pensiero, a questo punto, sembra impotente; ed è proprio da questa negatività, che il sentimento del sublime è reso possibile. Infatti, andando avanti nella lettura (così tra questa immensità s'annega il

pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare) si evince che quella

sensazione di annientamento può generare sentimento estetico di piacere reso possibile dalla potenza della ragione che viene ridestata al pensiero di un sostrato soprasensibile, dove il soggetto ritrova così la sua destinazione.