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E DMUND B URKE E LO S TUPORE PER LA “ VASTITÀ ”

II. LA MODERNITÀ: IL SUBLIME COME “GENUS VIVENDI”.

2.2 E DMUND B URKE E LO S TUPORE PER LA “ VASTITÀ ”

L’opera che più di ogni altra ha contribuito a diffondere il tema del Sublime è stata la Ricerca filosofica sull’origine delle idee del Sublime e del Bello di Edmund Burke, apparsa in una prima versione nel 1756 e poi nel 1759. Nei suoi scritti, e in particolare nel saggio sul sublime, Burke avvalora la tesi secondo cui esiste un nesso molto stretto ed inscindibile fra anima e corpo; e questo legame non può essere trascurato da quell’uomo che riflette sulla natura del piacere e del dolore, né da chi si prefigge l’osservazione empirica degli effetti del bello e del sublime. Il dolore e il piacere non possono essere neppure pensati, se si prescinde dalla loro natura corporea. I due fenomeni sono radicalmente diversi: il sublime, deve la sua origine a un sentimento iniziale di dolore cui, solo in un secondo momento, subentra un sentimento di piacere.

Questo, allora, meriterà la qualifica di piacere negativo e relativo, un piacere, cioè, misto a terrore; che sarà radicalmente altro rispetto al piacere positivo da cui trae origine la bellezza.

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A questa differenza a livello del sentimento corrisponde una diversità anche riguardo al corpo: il sublime conduce le fibre corporee a uno stato di tensione, il bello induce in esse rilassamento. Dolore e tensione da un lato, piacere e rilassamento dall’altro sono, quindi, le vere e proprie fonti del sublime e del bello. L’autore, infatti, racchiudendo in una visione completa bello e sublime dice:

Nel chiudere questa visione d’insieme della bellezza sorge naturale l'idea di paragonarla col sublime, e in questo paragone appare notevole il contrasto. Gli oggetti sublimi sono infatti vasti nelle loro dimensioni, e quelli belli al confronto sono piccoli; se la bellezza deve essere liscia e levigata, la grandiosità è ruvida e’trascurata; la bellezza deve evitare la linea retta, ma deviare da essa insensibilmente; la grandiosità in molti casi ama la linea retta, e quando se ne allontana compie spesso una forte deviazione; la bellezza non deve essere oscura, la grandiosità deve essere tetra e tenebrosa; la bellezza deve essere leggera e delicata, la grandiosità solida e perfino massiccia. Il bello e il sublime sono davvero idee di natura diversa, essendo l’uno fondato sul dolore e l’altro sul piacere, e per quanto possano scostarsi in seguito dalla diretta natura delle loro cause, pure queste cause sono sempre distinte fra loro, distinzioni che non deve mai dimenticare chi si proponga di suscitare passioni47.

Burke, dunque, riguardo alla bellezza, sostiene che essa genera nell’animo, un senso di tenerezza, o una passione affine, che, in ogni caso, non si discosta da un sentimento affettuoso.

Tutto ciò che desta, al contrario, idee di pericolo, tutto ciò che agisce in modo analogo al terrore è fonte del sublime naturale; è questo che produce, in assoluto, la più forte emozione che l’animo è capace di provare48; e la passione che deriva da ciò che è grande e sublime, in natura è chiamata “stupore”.

Tra le fonti del sublime Burke tiene conto sia della vastità degli spazi immensi, sia il suo opposto, ovvero l’infinita piccolezza (intesa come continuità o infinita divisibilità della materia).

La passione causata da ciò che è grande e sublime in natura, nel grado più alto, è lo Stupore, considerando come effetti inferiori anche l’ammirazione, la riverenza,

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Ibidem, pag 139, “Confronto tra il sublime e il bello”. 48

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e il rispetto49. Lo “Stupore”, è quello stato d’animo in cui, regna un forte disagio, o meglio, un certo grado di orrore; e questo avviene nel momento in cui la mente è così assorta da non riuscire a pensare ad altro, non può cioè ragionare sull’oggetto preso in considerazione - se ciò fosse, il sentimento provato non sarebbe tale – ed è questo quello che Burke chiama “il grande potere del

sublime”.

Se, ora, consideriamo che oggetti di vaste dimensioni come l’oceano, il Cielo o un vulcano sono capaci di causare terrore, essi diventano, anche per Burke, una grande fonte di sublime. La sua idea del Sublime implica, in ogni occasione, la vastità delle dimensioni, la ruvidità e la trascuratezza, la solidità anche massiccia, la tenebrosità. Il Sublime nasce quando si scatenano passioni come il terrore, esso prospera nell’oscurità, evoca idee di potenza, e di quella privazione di cui sono esempi il vuoto, la solitudine e il silenzio. Predomina nel Sublime il non- finito, la difficoltà, l’aspirazione a qualcosa di sempre più grande. Per quel che riguarda la vastità, il nostro filosofo sostiene che esistono diversi gradi di estensione: in lunghezza, in altezza o in profondità. Di queste – dice Burke - la lunghezza colpisce meno. Allo stesso modo l’altezza è meno grandiosa della profondità; infatti, siamo maggiormente impressionati nel guardare giù da un precipizio che nel guardare verso l’alto un oggetto di uguale altezza e questo fa pensare che sia così proprio perché guardiamo l’oggetto da un punto sicuro, così non sarebbe, a nostro avviso, se guardassimo l’onda terrificante di uno tsunami. Anche Burke, così come Kant in seguito, evidenzia l’importanza di quello che noi chiamiamo “infinitamente piccolo”. Quando noi osserviamo l’infinita divisibilità della materia, quando seguiamo la vita animale in esseri piccolissimi e pure organizzati e la scala dell’esistenza che ulteriormente diminuisce, rimaniamo stupiti e confusi ai miracoli della piccolezza. Passando poi all’infinità, egli sostiene che vi sono pochissime cose che, per loro natura, sono infinite, ma non essendo l’occhio capace di percepire i limiti di molte cose, le percepisce come infinite e dunque esse producono gli stessi effetti che se realmente lo fossero. E qui ci sembra si riferisca all’universo.

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