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3 Il danno in re ipsa

4- Il nesso causale e le funzioni della responsabilità civile

4.2 Concludendo sul punto

Ciò che – in ottica complessiva – emerge, è la modulazione, da parte delle Corti, del giudizio eziologico per il perseguimento di obiettivi di politica del diritto, al precipuo scopo di offrire una tutela rafforzata a danneggiati in condizione di particolare debolezza, e quindi gravare (id est sanzionare) la condotta antigiuridica della controparte.

Esemplificativa di questa tendenza giurisprudenziale è una recente vicenda535, nella quale la Corte di legittimità ha ritenuto applicabile l’art. 1227 c.c., onde mitigare la responsabilità di un minore, vittima di atti di bullismo, che aveva reagito alle vessazioni solo a notevole distanza di tempo dagli atti persecutori, provocando lesioni personali alla controparte; ciò, nonostante il significativo lasso temporale intercorso tra atti di bullismo e reazione da parte della vittima impedisse di ravvisare – a stretto rigore – il nesso di causalità tra le due condotte 536.

534 Cfr., ROMEO, Nesso di causalità e descrizione dell’evento nella responsabilità per trasfusione di sangue infetto, AL MUREDEN (a cura di), I fatti illeciti. Casi e materiali, Torino, 2018, 31 ss, il quale osserva che la soluzione adottata dalla Suprema Corte “sia fondata su valutazioni legate alla sostanza e alla portata della fattispecie, più che su considerazioni di carattere giuridico. Il che, se può essere compreso considerando che il risultato cui si è giunti pone rimedio ad una vicenda drammatica di sofferenza, d’altra parte non può non suscitare, nel giurista, non trascurabili perplessità (…). Se i criteri di accertamento del nesso causale, consolidatisi nel corso dei decenni di riflessioni, non consentono, se applicati con rigore, di addivenire ad un’attribuzione di responsabilità, allora la responsabilità deve essere negata”.

535 Cass. 10.9.2019, n. 22541, in Danno e Resp., 2019, 6, 759, con nota di PONZANELLI.

536 In tal senso, anche un recente indirizzo di legittimità. Cfr., Cass. 23.3.2016, n. 5679, in Rep. Foro it.,

2016, voce Danni civili, n. 126, in cui – a fronte della reazione posta in essere dopo notevole distacco temporale da parte della vittima di atti di violenza nei confronti dell’aggressore – è stata esclusa l’applicabilità dell’art. 1227 c.c. La Corte ha affermato in tale occasione che la disciplina del concorso di colpa del danneggiato non può trovare applicazione laddove la reazione della vittima si collochi a distanza di tempo dall’atto di aggressione, difettando il necessario nesso di causalità tra le due condotte. Si legge in motivazione che l’art. 1227 c.c. non è applicabile “nell’ipotesi di provocazione da parte della persona offesa dal reato, in quanto la determinazione del suo autore di tenere la condotta da cui deriva l’evento di danno che colpisce la persona offesa va considerata come causa autonoma di danno, non potendosi ritenere che la consecuzione del delitto al fatto della provocazione esprima una connessione rispondente ad un principio di regolarità causale”.

Ponendosi nel solco dell’indirizzo inaugurato da una pronuncia altrettanto recente537, la Corte di legittimità ha evidenziato quanto il giudizio di causalità sia ideologicamente orientato538, nella parte in cui ha posto, alla base della individuazione del criterio per l’accertamento del nesso eziologico, la considerazione per cui il “bullismo non dà vita ad un conflitto meramente individuale, come dimostrano le rilevazioni statistiche, e richiede un coacervo di interventi coordinati che, oltre a contenere il fenomeno, fungano da diaframma invalicabile che si interponga tra l’autore degli atti di bullismo e le persone offese, anche onde rendere del tutto ingiustificabile la reazione di queste ultime”. Sicché, 537 Si tratta della Cass. 12.4.2018, n. 9059, cit., avente ad oggetto atti di bullismo ai danni di una maestra

elementare da parte dei genitori di alcuni alunni. In tale caso, la Corte afferma che “al cospetto di una pluralità di fatti storici, ciascuno portatore di una propria, singola valenza indiziaria, il giudice non può procedere alla relativa valutazione attraverso un procedimento logico di scomposizione atomistica di ciascuno di essi, per poi svalutarne, singolarmente e frammentatamente, la relativa efficacia dimostrativa. La concordanza indiziaria di ciascuno dei fatti acquisiti al processo ne postula, difatti, la imprescindibile necessità di una compiuta analisi di tipo sintetico, all’esito di un ragionamento probatorio complesso e sincronico, non potendo evidentemente predicarsi alcuna «concordanza» di ciascun indizio a se medesimo, se la valutazione non segue il necessario percorso logico dell’analisi per sintesi e non per somma (per di più, inammissibilmente scomposta)”. Alla luce di tali premesse, la Corte rileva che “Ciò che risulta del tutto omessa, nel decisum del giudice di appello, è pertanto la valutazione necessariamente diacronica e complessivamente sintetica dei fatti di causa, secondo un percorso ricostruttivo condotta-causalità-evento- danno che non avrebbe potuto che concludersi nella certa affermazione della responsabilità risarcitoria dell'odierno resistente per aver violato la reputazione, l'onore, la stessa dignità dell’insegnante, così ledendo valori e principi di rango sia costituzionale che sovranazionale”.

PONZANELLI, Certezze e incertezze nel risarcimento del danno alla persona, in Danno resp., 2020, 1, 103, commentando la pronuncia constata che “la r.c. viene in questo modo a svolgere anche una funzione educativa e di promozione di una cultura e di un costume diverso. La giurisprudenza lancia messaggi nell’ambito delle sue competenze istituzionali, come più di una volta ha fatto, consapevole del suo ruolo ma anche dei limiti del suo intervento”.

538 Motivazioni similari sono alla base della Cass., sez. un., 6.5.2015, n. 9100, in Foro it., 2016, I, 1, c. 272,

in cui veniva domandata l’affermazione della responsabilità di un amministratore, che non aveva regolarmente tenuto le scritture contabili, per il danno consistente nello sbilancio patrimoniale della società. Pur negando l’esistenza del nesso causale tra inadempimento e danno – essendo quest’ultimo troppo “lontano” dall’illecito – la Suprema Corte giungeva a sanzionare la condotta antigiuridica dell’amministratore, ricorrendo all’espediente della valutazione equitativa del danno: se, dunque, la carenza del requisito del nesso causale avrebbe, astretto rigore, imposto la negazione della condanna dell’amministratore, è avvertita la opportunità che il giudice, mediante una liquidazione ex art. 1226 c.c., tenga nella giusta considerazione lo sbilanciamento patrimoniale della società, in conseguenza della violazione dei doveri del buon amministratore. Si legge in motivazione che “Naturalmente, resta fermo che, se la mancanza delle scritture contabili rende difficile per il curatore una quantificazione ed una prova precisa del danno che sia di volta in volta riconducibile ad un ben determinato inadempimento imputabile all’amministratore della società fallita, lo stesso curatore potrà invocare a proprio vantaggio la disposizione dell’art. 1226 c.c., e perciò chiedere al giudice di provvedere alla liquidazione del danno in via equitativa. Né può escludersi che, proprio avvalendosi di tale facoltà di liquidazione equitativa, il giudice tenga conto in tutto o in parte dello sbilancio patrimoniale della società, quale registrato nell’ambito della procedura concorsuale”.

in assenza di “prove circa come le istituzioni, la scuola, in particolare, fossero intervenute per arginare il fenomeno del bullismo e per sostenere l’odierno ricorrente, quindi mancando anche la prova della ricorrenza di espressioni di condanna pubblica e sociale del comportamento adottato dai cosiddetti bulli”, è compito dell’ordinamento dimostrarsi “sensibile verso coloro che sono esposti continuamente a condizioni vittimizzanti idonee a provocare e ad amplificare le reazioni rispetto alle sollecitazioni negative ricevute; soprattutto ove la vittima venga privata del meccanismo repressivo istituzionale dell’illecito e, come sembra sia avvenuto in questo caso, venga lasciata sola nell’affrontare il conflitto”. Posto l’obiettivo di “garantire una giustizia riparativa efficace”, dunque, la Corte ha ravvisato l’opportunità di abbandonare “il piano naturalistico proprio della causalità materiale per accedere ad un piano di valutazione della dimensione complessiva della convergenza e dell’interazione di tutti i fattori concausali all’interno della più ampia fattispecie di responsabilità civile539.

Ne esce confermato, a tale stregua, l’assunto per il quale, in presenza di una condotta illecita qualificata da un peculiare stato soggettivo e lesiva di interessi primari della persona, lo stesso diritto vivente rinviene nel sistema della responsabilità civile strumenti per attuare una funzione più che compensativa del giudizio aquiliano. Tanto, a prescindere dalla presenza di una puntuale prestazione sanzionatoria tipizzata dal legislatore.

539 Richiamando la motivazione della già citata Cass. 12.4.2018, n. 5679, la Corte afferma che “Questa

sezione della Corte regolatrice ha già avuto occasione di affermare che, pur non spettando al giudice esprimere valutazioni di tipo etico e sociale relativamente al comportamento dei consociati, non deve ritenersi preclusa la possibilità di usare la responsabilità civile allo scopo di offrire risposte, ovviamente rigorosamente incardinate sul piano giuridico, capaci di adattarsi al contesto situazionale di riferimento, sensibili ai mutamenti sociali del tempo, e capace di collocarsi diaframmaticamente nelle dinamiche interpersonali che promanano dai sempre più frequenti processi vittimogeni che coinvolgono soprattutto le giovani generazioni (Cass. 12/04/2018, n. 9059). Per di più, la giurisprudenza di questa Corte ha in varie occasioni ribadito che – allo scopo di pervenire ad una soluzione che sia tra le disponibili la migliore e la più aderente alle caratteristiche uniche del caso concreto – è permesso al giudice, quando non sia più in questione l’accertamento del nesso di derivazione causale, perché il danno è eziologicamente ascrivile alla condotta colpevole dell’agente, nella fase di determinazione del danno-conseguenza risarcibile, sul piano della determinazione dell’ammontare del quantum risarcitorio dovuto, servirsi della valutazione equitativa ex art. 2056 c.c. e determinare, quindi, la compensazione economica ritenuta socialmente adeguata del pregiudizio, cioè quella che, a fronte di un danno certo – la valutazione equitativa non può surrogarsi alla prova della ricorrenza del danno – ne determini l’ammontare tenuto conto della compensazione che la coscienza sociale in un determinato momento storico ritenga equa, tenuto conto di tutte le specificità del caso concreto ed in particolare dei vari fattori incidenti sul verificarsi della lesione e sulla sua gravità (Cass. 29/2/2016, n. 3893; Cass. 21/08/2018 20829; Cass. 18/04/2019, n. 10812)”.

Capitolo III: Le molteplici funzioni del risarcimento del danno