• Non ci sono risultati.

2 La prima categoria

3- La seconda categoria

La seconda categoria comprende i casi in cui l’ultracompensazione si ricollega, non tanto alla peculiarità del danno in rilievo, quanto piuttosto al regime di risarcimento previsto dalla legge. Si tratta, più nel dettaglio, di ipotesi in cui l’esigenza di apprestare un favor a beneficio del danneggiato a fronte di un pregiudizio di difficile prova, o ragioni di politica del diritto connesse alla materia in rilievo, hanno indotto il legislatore ad approntare un regime liquidatorio che comporta (in ragione della prevista forfettizzazione del danno, o dei parametri della sua determinazione), in concreto, una efficacia sanzionatoria.

3.1- La forfettizzazione del danno

Una prima categoria include le disposizioni nelle quali, specie laddove il danno sia difficile prova, il legislatore appronta una disciplina di evidente favor nei confronti del danneggiato, prevedendo criteri di forfettizzazione del risarcimento.

Si consideri, anzitutto, l’art. 28, II comma, D. Lgs.337 15 giugno 2015, n. 81, in gran parte conforme alla anteriore norma, art. 32, V comma, L. n. 183/2010338. La disposizione

335 Sul punto, la Cassazione – con le note sentenze 6.5.2015, nn. 9012-9013 e Cass. 13.8.2015, nn. 16806-

16807, in Danno resp., 2016, 638, con nota di COVUCCI – ha chiarito che, alla luce della attuale disciplina, il risarcimento per equivalente non rappresenta un rimedio applicabile per l’ipotesi di un danno ambientale, non potendosi considerare tale quanto previsto all’art. 311, secondo comma, ult. periodo.

336 Tale opzione non ha ricevuto l’approvazione da parte della totalità della dottrina. Si è evidenziato, ad

esempio, “un pericoloso abbassamento dei livelli di tutela in caso di danno ambientale. Forse il legislatore speciale (e anche il legislatore comunitario) giustamente focalizzato sulla prevenzione del danno, ha omesso di considerare l'efficacia deterrente della responsabilità da illecito ambientale, che può essere perseguita solo ammettendo un rimedio risarcitorio con funzione sanzionatoria”. Così, BARBIERATO, La tutela risarcitoria

del danno ambientale, in Resp. civ. prev., 2009, 6, 141B.

337 D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, in tema di “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della

normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”.

338 Legge 4.11.2010, n. 183 in materia di “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di

riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro”.

prevede il regime indennitario nell’ipotesi di illegittimo impiego di contratti di lavoro temporanei, disponendo che “nei casi di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge n. 604 del 1966”. Si precisa che “la predetta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”339.

Ai fini dell’inquadramento della natura della indennità è d’ausilio, anzitutto, la L. 92/12, di interpretazione autentica dell’art. 32, L. n. 183/2010 (le cui considerazioni, stante la coincidenza – per quanto in questa sede rileva – con la formulazione in esame, paiono estensibili, a scopo ermeneutico, anche a quest’ultima). Nel dettaglio, tale legge aveva chiarito che la norma “si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia dei provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostruzione del rapporto di lavoro”.

L’indennità, in altre parole, è, nelle intenzioni del legislatore, volta al “risarcimento” del lavoratore “e, quindi, concerne un danno subito dal lavoratore e cioè il danno derivante dalla perdita del lavoro dovuta ad un contratto a termine illegittimo, un danno da mancato lavoro”340; essa è onnicomprensiva perché intesa a compensare il lavoratore di tutte le conseguenze – retributive e contributive – discendenti dalla perdita del lavoro. Nonostante tale ultimo aspetto parrebbe qualificare l’indennità in senso meramente reintegrativo, la considerazione delle modalità di commisurazione del danno caricano la disposizione di un connotato peculiare, che ha spinto parte della dottrina a discorrere di penale ex lege341.

339 Tale ultimo inciso registra quanto già, in via interpretativa, la giurisprudenza aveva affermato con

riferimento alla disciplina previgente (art. 32, V comma, L. n. 183/201): Sul punto v. Cass., 2.4.2012, n. 5239, in De Jure; Cass., 2.3.2012, n. 3305, in Foro It., 2012, I, 1410; Cass., 29.2.2012, n. 3056, in Riv. It.

Dir. Lav., 2012, II, 796 con nota di CHIAROMONTE; Cass., 31.1.2012, n. 1411, in Riv. It. Dir. Lav., 2012, II,

400, con nota di VALLAURI.

340 Cass., 2.7.2018, n. 17248, in www.leggiditalia.it

341 Cfr. Cass., 29.2.2012, n. 3056, in Riv. It. Dir. Lav., 2012, II, 796, con nota di CHIAROMONTE, secondo cui

La peculiarità della previsione consiste, anzitutto, nell’esonerare il lavoratore dalla prova del danno conseguente all’illecito impiego del contratto di lavoro a termine e, dunque nel configurare il diritto al risarcimento quale conseguenza immediata e diretta della commissione dell’illecito; in ultimo nella previsione di una entità minima della ridetta indennità onnicomprensiva.

Di rilevo sono anche i criteri per la quantificazione della indennità: l’articolo in esame rinvia, sul punto, all’articolo 8 della legge n. 604 del 1966, a norma del quale la somma dovrà essere commisurata “avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti”.

In aggiunta a tali rilievi, va sottolineato che la Corte Costituzionale, pronunciatasi sulla previgente L. 183/2010, ha avuto modo di chiarire che la norma, oltre ad essere diretta ad introdurre “un criterio di liquidazione del danno di più agevole, certa ed omogenea applicazione”, avente “l’effetto di approssimare l’indennità in discorso al danno potenzialmente sofferto a decorrere dalla messa in mora del datore di lavoro sino alla sentenza”, non va detratta all’aliunde perceptum, così facendo assumere all’indennità onnicomprensiva “una chiara valenza sanzionatoria”342.

Né tale disposizione è isolata nel contesto giuslavoristico che, al contrario, si rivela particolarmente ricco di prestazioni pecuniarie dalla dubbia natura. Si considerino, anzitutto, la tutela indennitaria, sia forte che dimidiata, prevista dalla l. 92/2012 la quale, essendo irrogabile a prescindere dalla prova del danno e non essendo soggetta alle detrazioni derivanti dalla applicabilità dell’art. 1227 c.c. pare avere natura sanzionatoria343,

ius superveniens ex art. 32, quinto, sesto, settimo comma, l. n. 183 del 2010 (applicabile nel giudizio pendente

in grado di legittimità qualora pertinente alle questioni dedotte nel ricorso per cassazione) configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla corte costituzionale con sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale ex lege a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo; pertanto, l’importo dell’indennità è liquidato dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dalla novella, a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore (senza riguardo, quindi, per l’eventuale aliunde perceptum), trattandosi di indennità «forfetizzata» e «onnicomprensiva» per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto «intermedio» (dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione); cfr. Cass., 12.9.2014, n. 19295, in Rep. Foro It., 2014, voce «Lavoro (rapporto)», n. 764.

342 Così, Cass. Sez. un., 16601/2017, cit.

343 MARESCA, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche dellart. 18 stat. lav.,

o, comunque, polifunzionale344. Parimenti dovrà dirsi con riferimento alla indennità di cui alla l. n. 604 del 1966, condivisibilmente definita come “un «risarcimento» sui generis che non compensa affatto il lavoratore del danno subito”345.

Un’altra disposizione che parrebbe rientrare nella categoria in questione è l’art. 31, comma 1, L. 392/78. Tale norma prevede che il locatore che non abbia adibito l’immobile ad abitazione propria (o dei propri congiunti) nel termine previsto dalla legge, o non abbia adempiuto alle diverse prescrizioni indicate, sia tenuto, su richiesta del conduttore, al ripristino del contratto e al rimborso delle spese sopportate, ovvero al risarcimento del danno “in misura non superiore a quarantotto mensilità del canone di locazione percepito prima della risoluzione del contratto, oltre alle indennità previste ai sensi dell’art. 34”. Proprio tale risarcimento è stato interpretato dalla giurisprudenza come un rimedio di carattere sanzionatorio. Ai fini della condanna, invero, non è sufficiente il mero inutilizzo della cosa locata nel termine di legge: la costante applicazione giurisprudenziale rileva, sul punto, che non si tratti di una responsabilità oggettiva o secondo presunzione assoluta di colpa. Ai fini dell’imputazione della responsabilità, invece, è necessario che il locatore – in capo al quale v’è l’onere di superare la presunzione iuris tantum di responsabilità – non dimostri l’esistenza del caso fortuito o della forza maggiore o di giuste cause, cioè di ragioni meritevoli di tutela che hanno impedito detto utilizzo346. Ne consegue l’esclusione, tanto della tutela restitutoria, quanto di quella risarcitoria, ove risulti che il mancato utilizzo dell’immobile non sia riconducibile a dolo o colpa del proprietario347.

Alla luce di quanto premesso, può concordarsi con la giurisprudenza che attribuisce al rimedio in esame una natura ibrida, al contempo risarcitoria e sanzionatoria348. Ciò si riflette

344 CESTER, I quattro regimi sanzionatori del licenziamento illegittimo fra tutela reale rivisitata e nuova tutela indennitaria, in Aa.Vv., I licenziamenti dopo la legge n. 92 del 2012, a cura di CESTER, Padova, 2013, 66.

345 PERA, La cessazione del rapporto di lavoro, Padova, 1980, 155, con riguardo al testo originario poi

modificato, ma in modo irrilevante per quanto interessa in questa sede, dalla l. n. 108 del 1990.

346 Cass., 19.5.2011, n. 11014, Arch. locazioni, 2011, 808; Cass., 16.1.1997, n. 391; Cass., 18.5.2000, n.

6462; Cass.,14.12.2004, n. 23296.

347 Cass., 28.11.1997, n. 12071, in Rep. Giur. It., 1997, voce «Locazione di cose», n. 249, in Arch. loc., 1998,

n. 204; Id., 8.6.1995, n. 6473, in Mass., 1995; Id., 25.1.1995, n. 845, in Rep. Giur. It., 1995, voce cit., n. 393, in Contr., 1995, 498; Id., 24 febbraio 1993, n. 2282, in Rep. Giur. It., 1993, voce cit., n. 543; Id., 14.3.1991, n. 2684, ivi, 1991, voce cit., n. 634, nonché, in Foro It., 1992, I, 478 e in Giust. Civ., 1991, I, 2053, con nota di IZZO.

348 Cfr., Cass., 28.10.2004, n. 20926, in Corr. giur., 2005, 5, 616. “In tema di locazioni di immobili adibiti

nei criteri per la liquidazione del danno: “il contemperamento tra il fine sanzionatorio (evocato dalla rubrica dell’art.31 l. n. 392/1978, intitolata «sanzioni») e quello propriamente risarcitorio può ritenersi realizzato mediante la presunzione di sussistenza del danno comunque connesso all’anticipata restituzione dell’immobile, che il giudice è chiamato a liquidare equitativamente sulla base delle caratteristiche del caso concreto in difetto di prova della sua precisa entità da parte del conduttore e salva la possibilità per il locatore di superare la presunzione suddetta provando l’assenza di conseguenze pregiudizievoli per il conduttore”.349

Si consideri, infine, l’art. 158, secondo comma, L. 633/1946350 – come sostituito ad opera del D. Lgs. 140/2006 – che detta i criteri per il risarcimento del danno, nell’ipotesi della violazione del diritto d’autore. La disposizione prevede, quanto alla liquidazione del lucro cessante, la possibilità di impiegare una valutazione equitativa, che tenga conto delle circostanze del caso e “degli utili realizzati dal contraffattore in violazione del diritto”351.

espresso dal locatore l’immobile non risulti destinato all’uso dichiarato del locatore stesso, la sanzione del risarcimento del danno prevista in favore del conduttore riveste natura tanto risarcitoria quanto sanzionatoria”.

349 Ibidem; Contra, Cass., 21.11.2000, n. 15037, che afferma l’opposto principio secondo cui “L’art. 31 della

legge n. 392 del 1978, nell’imporre al locatore, che entro sei mesi dalla riconsegna non adibisca l’immobile all’uso in vista del quale ne ha ottenuto la disponibilità, l’obbligo di risarcimento del danno nei confronti del conduttore, non deroga al principio per cui dev’essere risarcito il danno effettivamente arrecato e provato. Il riferimento alle 48 mensilità indica, infatti, il limite legalmente stabilito del risarcimento, che opera quando il conduttore pretenda un risarcimento maggiore”.

350 L’articolo dispone che: “Chi venga leso nell’esercizio di un diritto di utilizzazione economica a lui

spettante può agire in giudizio per ottenere, oltre al risarcimento del danno che, a spese dell’autore della violazione, sia distrutto o rimosso lo stato di fatto da cui risulta la violazione. Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile. Il lucro cessante è valutato dal giudice ai sensi dell’articolo 2056, secondo comma, del codice civile, anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione del diritto. Il giudice può altresì liquidare il danno in via forfettaria sulla base quanto meno dell’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l’autore della violazione avesse chiesto al titolare l’autorizzazione per l’utilizzazione del diritto. Sono altresì dovuti i danni non patrimoniali ai sensi dell'articolo 2059 del codice civile”.

351 Per la verità, anche prima della introduzione della disposizione in esame, la giurisprudenza non di rado

ha quantificato il risarcimento sulla scorta del guadagno del danneggiante. Rammenta Cass. 29.5.2015, n. 11225, in www.leggiditaliaprofessionale.it che: “Questa Corte, ha già avuto occasione di affermare, prima ancora che l’art. 158 fosse riformato dal D. Lgs. n.140 del 2006, art. 5 che in tema di valutazione del danno subito dal titolare del diritto di utilizzazione economica di un’opera dell’ingegno non è precluso al giudice il potere-dovere di commisurare quest’ultimo, nell’apprezzamento delle circostanze del caso concreto, al beneficio tratto dall’attività vietata, assumendolo come utile criterio di riferimento del lucro cessante, segnatamente quando esso sia correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo”. Cfr., in tal senso, Trib. Milano, 15.4.2003, in Dir. Autore, 2003, 472; Trib. Firenze, 9.1.2001, in Giur. It., 2002, 309;

Appare evidente la diversità della formulazione rispetto al già esaminato art. 125 c.p.i.: a fronte, in quest’ultimo caso, della previsione della liquidazione degli utili come rimedio restitutorio autonomo rispetto al risarcimento dei danni, l’art. 158 in esame richiama gli utili quale criterio di commisurazione del lucro cessante. Da ciò, l’impossibilità di ritenere che la legge sul diritto d’autore abbia introdotto una ipotesi di reversione degli utili, ovvero un danno punitivo352. Appare, invece, evidente che in questo caso il guadagno incamerato dall’autore della violazione, penetrando all’interno del risarcimento del danno, connota in senso ultracompensativo tale rimedio.

Onde comprendere la specificità della disposizione, vanno rammentate le considerazioni già svolte circa l’inadeguatezza del risarcimento meramente compensativo nel campo degli illeciti che siano per i loro autori fonte di arricchimenti superiori al danno arrecato. A fronte dell’esigenza di salvaguardare l’efficacia deterrente della responsabilità civile, e in ragione peraltro della difficoltà di provare il pregiudizio, in caso di lesione di diritti immateriali, si giustifica la flessione del risarcimento in senso ultracompensativo, per mezzo, in primo luogo, della considerazione, quale parametro per la determinazione del lucro cessante, degli utili ritratti dall’agente; nonché, in secondo luogo, della previsione di una misura minima del risarcimento, pari “quanto mano dell’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l’autore della violazione avesse chiesto al titolare l’autorizzazione per l’utilizzazione del diritto”. Ancora una volta, a fronte della difficoltà di prova (e relativa quantificazione) del pregiudizio derivante dall’illecito in questione, il legislatore prevede

Trib. Milano, 13.6.2000, in GADI, 2000, 1081; App. Milano, 15.2.1994, ivi, 1995, 3222; Trib. Bologna, 22.4.1993, in AIDA, 1995, 308; Trib. Milano, 21.5.1985, in Dir. Autore, 1985, 393.

Significativamente, Cass. 24.10.1983, n. 6251 ha affermato che “In tema di valutazione equitativa del danno subito dal titolare del diritto di utilizzazione economica di un’opera dell’ingegno non è precluso al giudice il potere-dovere di commisurare quest’ultimo, nell’apprezzamento delle circostanze del caso concreto, al beneficio tratto dall’attività vietata, assumendolo come utile criterio di riferimento del lucro cessante, segnatamente quando esso sia correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore, occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo[…]. L’equiparazione del pregiudizio subito dal titolare del diritto al vantaggio conseguito dall’autore dell’illecito costituisce una regola minimale desunta, tra l’altro, in via interpretativa, dal fatto che nei lavori preparatori della legge sul diritto di autore del 1941 n. 633 si ritenne di sopperire, perché ritenuto superfluo, l’art. 161 del disegno di legge secondo il quale «il titolare del diritto di utilizzazione può chiedere la reintegrazione nel suo patrimonio dei benefici pecuniari ottenuti con la utilizzazione indebita, mediante la condanna del violatore al pagamento di una somma equivalente ai benefici medesimi, oltre agli interessi legali dalla percezione»”.

352 Come invece ritiene PARDOLESI, Riflessioni in tema di retroversione degli utili, in Riv. dir. priv., 2014,

meccanismi di forfettizzazione del risarcimento che – oltre a sanzionare il danneggiante – appaiono primariamente rivolti ad assicurare al soggetto leso un ristoro minimo.

3.2- L’art. 3 del d. legisl. 231/2002

Si consideri, poi, il regime di calcolo degli interessi di cui all’art. 5 D.lgs. 231/2002353. In termini generali, pare non potersi attribuire una funzione punitiva agli interessi moratori, cui è invece propria una natura meramente risarcitoria: in caso di inadempimento di una obbligazione pecuniaria, essi fungono da ristoro per il pregiudizio conseguente al ritardo. Non contraddice la natura prettamente ripristinatoria il fatto che, ai sensi dell’art. 1224 c.c., gli interessi sono dovuti “anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno”. È, infatti, noto che, essendo il denaro un bene naturalmente fruttifero, la mancata corresponsione del capitale è ex se foriera di danno per il creditore. Che gli interessi moratori siano confinati entro una dimensione risarcitoria emerge, peraltro, dalla rubrica dell’art. 1224 c.c. “danni nelle obbligazioni pecuniarie”, nonché dalla lettera dell’ultimo comma della disposizione, che, prevedendo la spettanza, in capo al creditore che provi di aver subito un danno maggiore, dell’ulteriore risarcimento riconduce per tabulas l’interesse moratorio alla misura puramente risarcitoria354. In tal senso, l’interesse convenzionale - che esclude la corresponsione del maggior danno - funge da liquidazione forfettaria del danno, in modo non dissimile dalla clausola penale, con cui condivide necessariamente la natura non essenzialmente sanzionatoria.

Tanto premesso con riferimento alla disciplina comune, si consideri ora l’ipotesi dei ritardi di pagamento dei debiti commerciali. L’art. 3 del d. legisl. 231/2002355, recante la rubrica “Responsabilità del debitore”, prevede che il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori, salvo che il debitore dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, con decorrenza del giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento, e senza che sia dovuta la costituzione in mora. Il tasso d’interesse in esame si

353 Decreto Legislativo 9.10.2002, n. 231 in tema di “Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta

contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”.

354 In tal senso Cfr., SCOZZAFAVA, Gli interessi monetari, Napoli, 1984, 84; ID., Gli interessi dei capitali,

Milano, 2001, p. 76; in giurisprudenza cfr., ex multis, Cass., 29.9.1998, n. 9703.

355 D. Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, in tema di “attuazione della dir. Ce 2000/35 relativa alla lotta contro i

applica, come previsto dall’art. 1, ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale, con la specificazione (di cui all’art. successivo) che per transazione commerciale dovranno intendersi “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo”.

Ai fini dell’inquadramento della natura degli interessi è essenziale il riferimento al saggio applicabile. L’art. 2, alla lett. e) definisce gli “interessi legali di mora” come “interessi semplici di mora su base giornaliera ad un tasso che è pari al tasso di riferimento maggiorato di otto punti percentuali”, intendendo per tasso di riferimento quello applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento principali.

Proprio la misura particolarmente elevata del tasso d’interesse, valutata congiuntamente alla