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2 L’«ingiustizia» del danno e la funzione sanzionatoria della responsabilità civile

Si è già osservato che, secondo l’interpretazione attualmente dominante, l’ingiustizia del danno costituisce il perno attorno al quale ruota l’intero sistema della responsabilità

420 La fattispecie è quella in cui un datore di lavoro assuma i dipendenti di un concorrente, al fine di indurli

alla violazione dell’obbligo di non concorrenza, ovvero a rivelare un segreto, o realizzare uno sviamento della clientela. Quando, invero, la distrazione del dipendente si verifichi “con modalità tali da non potersi giustificare se non supponendo nell’autore un animus nocendi, ossia l’intenzione di danneggiare l’azienda del concorrente” è generalmente ritenuto integrato il presupposto della illiceità della condotta (e dunque della ingiustizia del danno) rilevante ex art. 2043 c.c. Cfr., Cass. 29.12.2017, n. 31203, in

www.leggiditaliaprofessionale.it. È, insomma, lo specifico intento di nuocere il proprio concorrente, che

integra la fattispecie dello storno dei dipendenti e determina l’illiceità dell’assunzione del personale altrui che, in sé, è ovviamente da ritenersi lecita. In dottrina, si rinvia alle indagini di CAPRA,Concorrenza dell’ex e storno dei dipendenti, in Riv. dir. ind., 1998, II, 65; DALLE VEDOVE, Lo storno dei dipendenti nella

disciplina della concorrenza, Padova, 1992; ZICCARDI, Danno per interferenza nei rapporti contrattuali, 324.

421 La fattispecie si verifica allorquando, esistendo un patto di esclusiva tra un franchisior e un franchisee,

un terzo ottenga dal primo il diritto di sfruttare il marchio da questi già concesso in esclusiva alla controparte. Nel caso in cui il terzo abbia agito in malafede, ossia con la consapevolezza dell’esistenza del patto di esclusiva e con la volontà di sfruttare in modo parassitario l’avviamento realizzato dal franchisee, egli potrà essere chiamato a rispondere in via aquiliana del danno patito dal danneggiato (che disporrà di un’azione contrattuale verso il frachisior). Cfr., ex pluribus, Trib. Roma, 20.7.1988, in Guida dir., 1989, I, 2, 869, che ritiene indispensabile il requisito della “insidiosa insistenza” in capo al terzo; Trib. Nola, 21.12.1999, in

Guida ann. dir. ind., 2000, 564; Trib. Monza, 11.11.2002, in Giur. milanese, 2003, 215.

422 Più nel dettaglio, si ammette che il beneficiario della prelazione possa agire ex delicto nei confronti del

terzo che abbia colluso con l’affittuario/locatore, onde celare l’accordo (di nuova locazione, o affitto), così da indurre il locatore nella immutata titolarità dell’immobile. Cfr., Cass. 29.9.1997, n. 9456, in Giust. civ.,

mass., 1997, 1809. La fattispecie è significativa, posto che, nell’ipotesi in cui l’affittuario non eserciti la tutela

reale (diritto di riscatto), si ritiene che egli non possa esperire l’azione extracontrattuale.

423 Sul punto, cfr. MONATERI, L’ingiustizia del danno di cui all’art. 2043 c.c. nel caso di sentenza collegiale con asserita corruzione di un suo componente, in Danno resp., 2011, 11, 1094 ss, il quale rileva che, con

riferimento agli illeciti dolosi, “l’ingiustizia sta nel dolo contrario ai boni mores”. Tanto premesso, egli rileva l’opportunità di includere “tra le ipotesi di ingiustizia di cui all’art. 2043 quella degli illeciti di dolo, e in particolare, certamente, quella delle interferenze economiche intenzionali recate contra legem o contra

civile424. È noto che il concetto di ingiustizia ha rappresentato una sostanziale innovazione del codice vigente. L’art. 1151 del codice civile del 1865425, invero, ricalcando la previsione dell’allora art. 1382 del Code civil426, si limitava a ritenere risarcibile il danno – non altrimenti qualificato – arrecato da qualunque fatto umano colposo. È parimenti risaputo che l’interpretazione presupponeva un sistema aquiliano fondato sulla tipicità del danno427, similmente alla impostazione – essa testualmente tipica – adottata dalla dogmatica tedesca, e poi confluita nel §823 del BGB428.

L’art. 1151, invero, veniva concepito quale norma secondaria, volta a sanzionare la violazione del neminem laedere429. Più nel dettaglio, era pacificamente giudicato risarcibile il solo danno corrispondente alla lesione di un diritto soggettivo assoluto, ovvero arrecato in violazione di una norma espressa, e in assenza di una causa di giustificazione430.

Le prime interpretazioni successive all’entrata in vigore del codice del 1942 risentirono della stratificazione dottrinale elaborata nei decenni precedenti. Nell’ottica del principio di tipicità, i primi commentatori traslarono l’attributo dell’ingiustizia dal danno al fatto illecito: l’art. 2043 veniva così interpretato come fonte dell’obbligazione di risarcimento

424 In argomento, C.SCOGNAMIGLIO, L’ingiustizia del danno, in Illecito e responsabilità civile, in BESSONE

(diretto da) Tratt. dir. priv., Torino, 2005; VISINTINI, Tratt. breve resp. civ., Padova, 1996, 343; ALPA, La

responsabilità civile, cit., 2010, 358; MONATERI, L’ingiustizia del danno di cui all’art. 2043 nel caso di

sentenza collegiale con asserita corruzone di un suo componente, in Danno e resp., 2011, 11, 1904;

BARCELLONA, Tratt. resp. civ., Torino, 2011, 25 ss, 105 ss e 221 ss; STANZIONE (diretto da), Tratt. resp. civ., cit., 2012, 85; FRANZONI, L’illecito, cit., 2010, 867; CASTRONOVO, La resp. civ., cit., 129; SALVI, La resp.

civ., cit., 34; PROCIDA MIRABELLI DI LAURo, Il danno ingiusto (Dall’ermeneutica “bipolare” alla teoria

generale e “monocentrica” della responsabilità civile), I, Ingiustizia, patrimonialità e risarcibilità del danno nel “law in action”, in Riv. crit. dir. priv., 2003, 35;

425 L’articolo recitava: “Qualunque fatto dell’uomo, che arreca danno ad altri, obbliga quello per colpa del

quale è avvenuto, a risarcire il danno”.

426 L’articolo prevedeva che “Tout fait quelconque de l’homme, qui cause à autrui un dommage, oblige celui par la faute duquel il est arrivé à le réparer”, corrispondente all’attuale art. 1240 Code civil.

427 CARNELUTTI, Il danno e il reato, Padova, 1930, 62, affermava che “Non si può decidere che un atto aliquem laedit, se non su stabilisce che chi lo compie iure suo non utitur, e non si può stabilire questo senza

stabilire se egli ha o non ha l’obbligo di astenersene; cioè non si può decidere se l’atto viola il dovere generico senza sapere se infrange un dovere specifico”.

428 Tale articolo, come noto, presentava una elencazione del danno, quale lesione del diritto alla vita, al corpo,

alla salute, alla libertà, alla proprietà, o di altro diritto.

429 CARNELUTTI, Il danno e il reato, cit., 62, per il quale “l’art. 1151 c.c. non contiene una intera norma, ma

soltanto una sanzione la quale fa corpo con tutte le altre proposizioni, che comandano o vietano determinati atti”.

430 Ex multis, si rinvia a CHIRONI, Colpa extracontrattuale, I, cit., 50; GIORGI, Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano, V, cit., 215; FERRINI, Delitti e quasi-delitti, cit., 740.

nell’ipotesi in cui qualunque fatto ingiusto avesse arrecato a terzi un danno431. E infatti il danno, in quanto perdita economica, non avrebbe potuto qualificarsi come giusto, né ingiusto, ma appariva come una mera diseconomia da riparare432. In continuità con la pregressa lettura, dunque, si rinveniva nell’art. 2043 non la previsione di un obbligo primario di non ledere, bensì la comminatoria della sanzione risarcitoria per la violazione di obblighi primari desumibili aliunde.

Sennonché – come ampiamente noto – dagli anni Sessanta del secolo scorso, le osservazioni di illustri Autori433 hanno restituito l’attributo dell’ingiustizia al danno. Seppur nella varietà delle interpretazioni dottrinali circa il concetto stesso di “ingiustizia”434 – e, più nel dettaglio, sulla opportunità, o meno, della sua interpretazione quale “clausola generale”435 – il nuovo indirizzo apre alla nota stagione giurisprudenziale incline ad estendere

431 PACCHIONI, Il danno ingiusto secondo il vecchio ed il nuovo codice, cit., 164; MENGONI, L’oggetto della obbligazione, in Jus, 1952, 185; DE CUPIS, Dei fatti illeciti, cit., 98; SCHLESINGER, La “ingiustizia” del

danno nell’illecito civile, in Jus, 1960, 336; FEDELE, Il problema della responsabilità del terzo per

pregiudizio del credito, Milano, 1954, 117. 432 Sic, FRANZONI, L’illecito, cit., 778.

433 Il riferimento è a BUSNELLI, La lesione del credito da parte di terzi, Milano, 1964, 84 ss; per il quale il

criterio in grado di qualificare il danno come ingiusto consiste nell’accertamento che l’interesse leso sia giuridicamente tutelato, all’esito di una valutazione sociale degli interessi in gioco; RODOTÀ, Il problema, cit., 79 ss, che espressamente qualifica l’ingiustizia del danno come clausola generale, avente la funzione di selezionare le lesioni che abbiano determinato una violazione del dovere di solidarietà sociale ex artt. 2 e 41, secondo comma, Cost; R. SCOGNAMIGLIO, Responsabilità civile (voce), cit.. ID., Appunti sulla nozione di

danno, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, 474; per una valutazione critica circa tali impostazioni, è

imprescindibile il rinvio a SALVI, Il paradosso della responsabilità civile, cit., 123 ss.

434 Danno ingiusto è qualsivoglia situazione giuridico-fattuale protetta dal sistema, secondo GALGANO, Le mobili frontiere del danno ingiusto, cit., 7; a detta di BIANCA, Diritto civile, V, cit., 587, trattasi di situazione “giuridicamente protetta nella vita di relazione”; altri pone l’accento sulla natura di clausola generale, onde evidenziare che il giudizio di ingiustizia sia il risultato della “comparazione degli interessi in conflitto”:DI

MAJO, Tutela risarcitoria: alla ricerca di una tipologia, in Riv. dir. civ., 2005, 243; TRIMARCHI, Illecito, cit., 98. Ma per una dettagliata sintesi della pluralità delle interpretazioni dottrinali circa il concetto di ingiustizia, si rinvia a MONATERI –GIANTI –SIQUILINI CILENTI, Danno e risarcimento, in Tratt. dir. civ., Torino, 2013, 35 ss; ALPA, La responsabilità civile, 158, rileva la pluralità delle accezioni del concetto di ingiustizia in dottrina: “l’ingiustizia è stata intesa: I) come formula riassuntiva delle ipotesi tipiche di esimenti della responsabilità, in cui il danno è giustificato; II) come formula riassuntiva delle ipotesi tipiche in cui l’interesse leso è protetto; III) come formula riassuntiva delle lesioni di interessi protetti, non necessariamente eretti in diritti soggettivi, ma di volta in volta individuati dal giudice; IV) come sinonimo di “antigiuridicità” collegata alla colpa; v) come formula che legittima il bilanciamento degli interessi in gioco.”

435 Contrario a tale soluzione è CASTRONOVO, La responsabilità civile, cit., 129 ss, il quale sostiene

convintamente che “l’ingiustizia rimandi pur sempre a una situazione soggettiva della quale si tratti di accertare la lesione” e ciò nel senso “di ogni situazione soggettiva … fatta rilevante dall’ordinamento”, sicché l’art. 2043 rappresenterebbe il luogo di una “tipicità progressiva delle lesioni giuridicamente rilevanti”.

progressivamente la tutela aquiliana dai diritti assoluti, a quelli relativi, sino a giungere alle situazioni di fatto e agli interessi legittimi436.

Ebbene, una curvatura sanzionatoria della responsabilità civile può essere scorta, proprio in seno al giudizio di ingiustizia del danno, in una duplice direzione: anzitutto, mediante un impiego «improprio» del concetto di ingiustizia. Più nel dettaglio, è possibile ravvisare una certa tendenza della giurisprudenza a coniare nuovi diritti soggettivi in sede giudiziale, onde attribuire tutela risarcitoria a meri interessi che, a stretto rigore, non assurgono al rango di posizioni giuridicamente rilevanti. L’effetto di una simile interpretazione è proprio il maggior aggravamento – e dunque l’effetto marcatamente sanzionatorio – nei confronti del danneggiante: è questo il caso del danno c.d. meramente patrimoniale (o al patrimonio). In altri casi, è la particolare connotazione soggettiva del danneggiante che colora di ingiustizia il danno, determinando la meritevolezza di tutela dell’interesse leso dall’atto particolarmente riprovevole. Il che accade precisamente negli illeciti di dolo, cui si è già accennato.

2.1- Il c.d. danno al patrimonio

Si è osservato che il danno, perché sia risarcibile, deve essere ingiusto e, dunque, corrispondere alla lesione di un interesse giuridicamente rilevante. Sennonché le Corti, ricorrendo alla invenzione di nuove situazioni giuridiche, hanno talvolta finito con l’accordare tutela aquiliana anche in ipotesi in cui la rigorosa applicazione dell’art. 2043 c.c. avrebbe imposto di rigettare la pretesa risarcitoria.

Ciò è accaduto, come già anticipato, con riferimento al danno c.d. meramente patrimoniale. La questione, a lungo dibattuta437 anche negli ordinamenti stranieri438, ruota attorno alla discussa risarcibilità della menomazione del patrimonio, in conseguenza di una condotta

437 Per la dottrina italiana, si rinvia intanto a DI MAJO, Il problema del danno al patrimonio, in Riv. critic. dir. priv., 1984, 297; ID., Discorso generale sulla responsabilità civile, in Tratt. dir. civ., diretto da Lipari e Rescigno, coordinato da A. Zoppini, IV, Attuazione e tutela dei diritti, III, La responsabilità e il

danno, Giuffrè, 2009, 28, ne ha affermato la risarcibilità, sulla scorta della possibilità di rinvenire l’ingiustizia

del danno “nella stessa violazione di norme che, di per sé, non sono destinate ad attribuire diritti al soggetto (le c.d. norme attributive di diritti), né tampoco a proteggerne in via diretta l’interesse ma che comunque detto interesse, in qualche modo «contemplano» e che quindi possono essere richiamate ove, in sede di risarcibilità, si lamenti che quell’interesse è stato leso”; FRANZONI, Il danno risarcibile, cit., 127 ss; CASTRONOVO, La responsabilità civile, cit., 299 ss, il quale rileva che il risarcimento del danno meramente patrimoniale si pone in netto contrasto con il sistema costituzionale. L’A osserva, a tal proposito, che l’ordinamento, tramite la Costituzione, ha effettuato una scelta di fondo che mette “in luce una demitizzazione del patrimonio mediante una perdita di rilievo della situazione soggettiva patrimoniale più pregnante che è la proprietà. E se, pur quando tale demitizzazione non ci fosse stata, ugualmente il danno meramente patrimoniale come tale non dovrebbe ottenere rilevanza, poiché neanche nella stagione di più intenso vigore del diritto di proprietà il patrimonio mai fu pensato come oggetto di un diritto soggettivo e punto di riferimento della tutela giuridica, ancor di più esso si rivela non risarcibile ex lege Aquilia nel quadro costituzionale presente”. Del resto, egli rileva che il patrimonio è stato sempre pensato “come tutela di situazioni soggettive, ciascuna concorrente a formare la categoria complessiva «patrimonio», equivalente all’insieme di esse e perciò non mai in grado di esaurirsi a sua volta in una situazione soggettiva” se non a costo di liquefare istantaneamente “ogni altra situazione soggettiva patrimoniale quale elemento la cui lesione è indispensabile per il risarcimento del danno”. Condivisibilmente si puntualizza che se il danno di rilevanza economica è inteso come pura perdita patrimoniale, appare pleonastico il concetto stesso di ingiustizia. MAGGIOLO, Il risarcimento della pura perdita patrimoniale, Milano, 2003, 15 ss; C.SCOGNAMIGLIO, Il

danno al patrimonio tra contratto e torto, in Resp. civ. prev, 2007, 6, 1253B; ID., Ingiustizia del danno e

tecniche attributive di tutela aquiliana (le regole di responsabilità civile ed il caso Cir c. Fininvest), in NGCC, 2014, 7-8, 20353; ID., Ancora sul caso Cir-Fininvest: violazione dolosa della regola di buona fede

nelle trattative, giudizio di ingiustizia del danno ed alternatività delle tutele di diritto civile, in Resp. civ. prev., 2012, 3, 704B, il quale afferma la risarcibilità del danno in questione “nei casi in cui l’illecito si presenti

particolarmente qualificato dal punto di vista dell’elemento soggettivo dell’agente, al punto da essere la conseguenza di una condotta penalmente sanzionata”. Negli stessi termini (e con riferimento alla medesima vicenda giudiziaria),MONATERI, L’ingiustizia del danno di cui all’art. 2043 nel caso di sentenza collegiale

con asserita corruzione di un suo componente; Nicita, Scenario controfattuale e valutazione economica del danno: il caso Cir/Fininvest, in Danno resp., 2011, 11, 1094, per il quale “qui siamo [...] in presenza di un

illecito di dolo, laddove l’ingiustizia del danno di cui all’art. 2043 c.c. non va ricostruita con riferimento ad un qualche «diritto a non vedersi annullare il lodo», né tanto meno con riferimento all’ingiustizia sostanziale della sentenza, ma va ricercata nella presenza dell’elemento intenzionale unito alla contrarietà ai Guten Sitten, esattamente come avviene sulla base del par. 826 BGB e come pure, con altra terminologia, avviene nei torts di intentional interference”.

438 Nell’ordinamento anglosassone, il dibattito relativo alla risarcibilità in materia di pure economic losses è

ricco. Si rinvia, per una agevole ricognizione, a MIRANDA, The negligence’s saga: ragionevolezza e

ingiustizia del danno nel risarcimento delle pure econimic losses, in Riv. dir. civ., 1992, 382; SERIO, Studi

dolosa o colposa, che non si ricolleghi alla lesione di beni protetti in via aquiliana439. A stretto rigore, difettando il necessario requisito del pregiudizio ad un interesse giuridicamente rilevante, tale danno non potrebbe essere qualificato come ingiusto e dovrebbe, conseguentemente, restare irrisarcibile.

La questione si è posta all’attenzione delle Corti anzitutto con riferimento ai casi di doppia alienazione immobiliare 440 . Come noto, il primo acquirente leso dal successivo trasferimento del bene ad altri – prevalente in virtù della tempestiva trascrizione – può pacificamente agire ex contractu nei confronti del venditore inadempiente; sennonché, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, è andata affermandosi anche la responsabilità extracontrattuale del secondo acquirente, il quale trascriva per primo con la consapevolezza della precedente alienazione (resa conseguentemente inefficace ex art. 2644 c.c.)441. Tale soluzione è passata proprio per il riconoscimento del diritto alla integrità del patrimonio: il perfezionamento della vicenda traslativa per effetto del primo acquisto determina, secondo la ricostruzione operata dalla Suprema Corte, l’acquisto del diritto nel patrimonio del primo acquirente e, dunque, il diritto, in capo a costui, alla integrità del patrimonio stesso. Sicché il secondo acquisto, accompagnato dalla trascrizione tempestiva e con la consapevolezza della pregressa vicenda traslativa, provocando una lesione del ridetto diritto, determinerebbe un danno ingiusto, meritevole di tutela in via aquiliana.

La statuizione ha avuto una immediata conferma nella coeva pronuncia relativa al noto caso “De Chirico”442, in occasione del quale la Suprema Corte ha affermato expressis verbis che

439 Si pensi, a scopo esemplificativo, a colui che cagioni un danno economico ad un concorrente, aprendo un

esercizio commerciale in prossimità di quello del primo; ovvero a colui che, vendendo un numero notevole di azioni sul mercato, provochi il crollo dei prezzi, con conseguente pregiudizio per tutti i possessori di azioni di quel tipo. Così, GALLO, Introduzione alla responsabilità civile, Torino, 2000, 27 ss.

440 In tema, si rinvia a BUSNELLI, Variazioni casistiche in tema di doppia vendita, in Studi Gorla, Milano,

1994, III, 1773; FERRANTE, La tutela risarcitoria contro la doppia alienazione immobiliare, in Contr. impr., 1999, 1115; DORIA, Doppia alienazione immobiliare e teoria dell’effetto reale, Milano, 1994.

441 Il riferimento è alla sentenza Cass. 8.1.1982, n. 76, in Foro it., 1982, I, 394, con nota di PARDOLESI. È

utile rammentare che l’orientamento sino ad allora vigente (Cfr., esemplificativamente, Cass. 27.4.1960, n. 942, in Foro it., 1961, I, 105) escludeva la responsabilità extracontrattuale del secondo acquirente (fatta eccezione per il caso della dolosa preordinazione a frodare le ragioni del primo acquirente) sulla base della assenza del requisito di antigiuridicità della condotta di costui, e quindi di ingiustizia del danno. La trascrizione del secondo acquisto, invero, avrebbe rappresentato il legittimo esercizio del diritto derivante dal perfezionamento del contratto, e non una ingiusta lesione del diritto altrui.

442 I fatti oggetto della controversia sono noti: l’attore aveva domandato a De Chirico il risarcimento dei

danni asseritamente patiti in conseguenza della firma apposta dall’artista in autentica del quadro, poi rivelatosi falso.

“per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c. deve intendersi anche il danno inferto all’integrità del patrimonio e più specificamente al diritto di determinarsi liberamente nello svolgimento dell’attività negoziale relativa al patrimonio stesso”443. Diritto avente fonte costituzionale negli artt. 41 – fondamento della libertà di iniziativa economica, anche contrattuale – e 2 Cost., impositivo del dovere inderogabile di solidarietà sociale nei rapporti interindividuali444.

Tale motivazione – prontamente mutuata da successivi arresti445 – si rivela, tuttavia, priva di un solido fondamento dogmatico. Il diritto all’integrità del patrimonio risulta, a ben vedere, una finzione giurisprudenziale, risolvendosi nei singoli diritti relativi ai beni che sono parte del patrimonio stesso. Sono, dunque, i singoli diritti sui beni a poter essere autonomamente risarcibili, laddove ricorrano i requisiti di cui all’art. 2043 c.c., e non l’immaginario diritto all’integrità del patrimonio nel suo complesso. Il preteso diritto alla integrità del patrimonio, ove non correlato ad una posizione giuridica qualificata è, dunque, inidoneo ad assurgere al rango di lesione ingiusta, nel caso in cui una condotta di un terzo incida negativamente sulla sua consistenza446.

Da ciò consegue che il quantum eventualmente liquidato a tale titolo avrà l’effetto di gravare il danneggiante dell’obbligazione risarcitoria pur in mancanza di una lesione ad un interesse protetto, e per il solo fatto di aver commesso una condotta da cui sia derivata una diseconomia. Ne consegue che il risarcimento sarà diretto, non a compensare una (inesistente) lesione di un diritto, ma sanzionare la condotta dell’agente.

Da ciò, il carattere inevitabilmente punitivo del suddetto indirizzo interpretativo.

Che l’invenzione di una categoria inesistente (quella, appunto, del danno al patrimonio) costituisca l’espediente per sanzionare una determinata condotta illecita appare, del resto, confermato da una peculiare vicenda giurisprudenziale in tema di concessione abusiva del credito447. Il caso era relativo alla erogazione, da parte di una banca, di credito in favore di