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1 Il risarcimento sanzionatorio nel contesto delle sanzioni di diritto privato

3- Le “multe civili”

Più problematica si pone, per taluni versi, la distinzione tra risarcimento del danno e talune previsioni legislative che, ai fini del presente studio, si propone di classificare come “multe civili”.

La categoria in parola raggruppa prestazioni pecuniarie di fonte legislativa aventi funzione punitiva, e irrogate dal giudice in conseguenza di un illecito (nel qual caso si sommano a quanto liquidato a titolo di risarcimento del danno), ovvero di un atto lecito dannoso (nel qual caso fungono da indennizzo predeterminato dalla legge).

La fattispecie si presta a facili sovrapposizioni, da un lato, con le pene private, dall’altro, con il risarcimento del danno. Quanto al primo equivoco, basti evidenziare che nelle multe civili l’irrogazione della pena non discende dalla preventiva (e bilaterale) esplicazione della autonomia negoziale delle parti, essendo invece pronunciata dal giudice, nei casi tipizzati dal legislatore, al fine di sanzionare condotte connotate da un peculiare disvalore.

Ne consegue che l’intervento del giudice, che risulta soltanto eventuale nelle pene private, qui si manifesta prioritario, e imprescindibile, al fine della condanna. In tale senso, la multa civile ha punti di contatto con il risarcimento del danno, dal quale – tuttavia – resta distinto,

129 MARINI, op. ult. cit., 39.

per il fatto che, ove sia ravvisabile un illecito, la condanna a titolo di multa civile si aggiunge al quantum liquidato a titolo risarcitorio, realizzando – proprio mediante la tecnica del cumulo – la dedotta funzione sanzionatoria (si pensi, a titolo esemplificativo, all’art. 12, L. stampa, su cui vedi infra).

In altri casi, la multa civile risulta irrogabile a prescindere dalla ricorrenza dei presupposti per la configurabilità della responsabilità aquiliana. Si pensi alla previsione di cui all’art. 129-bis c.c.131, che pone in capo al coniuge, cui sia imputabile la nullità del matrimonio, il pagamento di una indennità in favore dell’altro, “anche in mancanza di prova del danno sofferto” e di ammontare non inferiore al mantenimento per tre anni. Il presupposto di carattere soggettivo su cui si fonda la pronuncia (mala fede del coniuge), considerato unitamente alla irrogabilità della misura a prescindere dalla dimostrazione del pregiudizio, o dalla considerazione delle capacità reddituali dell’altro coniuge, evidenzia la natura eminentemente punitiva della disposizione132.

131 L’art. 129-bis c.c. prevede che “Il coniuge al quale sia imputabile la nullità del matrimonio è tenuto a

corrispondere all’altro coniuge in buona fede, qualora il matrimonio sia annullato, una congrua indennità, anche in mancanza di prova del danno sofferto. L’indennità deve comunque comprendere una somma corrispondente al mantenimento per tre anni. È tenuto altresì a prestare gli alimenti al coniuge in buona fede, sempre che non vi siano altri obbligati. Il terzo al quale sia imputabile la nullità del matrimonio è tenuto a corrispondere al coniuge in buona fede, se il matrimonio è annullato, l’indennità prevista nel comma precedente. In ogni caso il terzo che abbia concorso con uno dei coniugi nel determinare la nullità del matrimonio è solidalmente responsabile con lo stesso per il pagamento dell’indennità”. In argomento, EMILIOZZI, Polifunzionalità risarcitoria dell’indennità ex art. 129-bis c.c., in PERFETTI (a cura di), Il punto, cit., 117 ss.; CENDON, Pena privata e diffamazione, in Politica del diritto, 1979, 151; BUZZELLI, Sulla

responsabilità dei coniugi per l'invalidità del matrimonio, in Rass. dir. civ., 1982, 321 ss.; BONILINI, Il danno

non patrimoniale, Milano, 1983, 280; ID., Pena privata e danno non patrimoniale, in Resp. civ. prev., 1984, 159.

132 In senso contrario, attribuiscono natura risarcitoria (in quanto asseritamente volta alla reintegrazione del

patrimonio del coniuge in buona fede): ANDRIOLI, Legislazione italiana, in Rass. Dir. civ., 1975, V, 161; PINO, Il diritto di famiglia, Padova, 1978, 78. Ravvisano una funzione punitiva, invece, PATTI, Famiglia e

responsabilità, Milano, 1984, 84; DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, Milano, 1995, 437. In giurisprudenza l’indennità in parola è tenuta distinta dal risarcimento del danno, nel momento in cui si afferma che “la domanda di risarcimento ex art. 129-bis e 2043 sono alternative, in quanto fondate su presupposti diversi ed ispirate ad un diverso regime relativo all’onere della prova. La prima, ex art. 129-bis cod. civ., è basata sulla malafede di chi abbia sottaciuto al coniuge la causa di invalidità del matrimonio e mira ad ottenere un’indennità che prescinde dalla prova del danno subito; la seconda, invece, è basata sulla condotta anche solo colposa del soggetto tenuto a preavvertire l’altro coniuge della causa invalidante e mira ad ottenere un risarcimento che reintegri il patrimonio dell'istante della ingiusta «deminutio» subita e presuppone la prova del danno e della sua misura” (Trib. Bari, 8.6.2004).

Rientra nella categoria in esame, poi, l’art. 3 L. 15.12.1990, n. 386133 – rubricato “clausola penale” – che pone in capo al traente, nel caso di mancato pagamento di un assegno bancario privo di provvista, la corresponsione di una somma pari al dieci per cento dell’importo del titolo. Anche in tale caso, l’efficacia sanzionatoria emerge dalla possibilità di condannare al pagamento della prestazione a prescindere dalla deduzione di un pregiudizio (art. 3, L. 386/90), e comunque in via ulteriore rispetto agli interessi (art. 8), oltre che dal rilievo pubblicistico del bene tutelato dalla normativa (la fede pubblica)134.

Quanto alle prestazioni sanzionatorie discendenti da atti leciti dannosi, si consideri – a titolo esemplificativo – l’art. 938 c.c. che, per l’ipotesi di accessione invertita, grava il costruttore che occupi in buona fede una porzione del fondo attiguo dell’obbligo di corrispondere al proprietario una somma pari al doppio del valore della superficie occupata135.

In quanto predeterminate dal legislatore in ipotesi predeterminate, e quindi irrogate dal giudice, le multe civili non pongono i problemi – già rilevati con riferimento alle pene private – sotto il profilo della ammissibilità di varianti atipiche.

3.1- L’art. 12 L. 8.2.1948, n. 47

136

Tra le disposizioni che, a detta della Cass. 16601/2017, cit., avrebbero introdotto nell’ordinamento risarcimenti sanzionatori tipici, rientra anche la disposizione in epigrafe. L’analisi della fattispecie rivela, tuttavia, che non di risarcimento (ultracompensativo) si tratti, bensì di una ipotesi di multa civile.

133 L’articolo prevede che “Nei casi previsti dall’articolo 2 il mancato pagamento, anche solo parziale,

dell’assegno bancario presentato in tempo utile obbliga l’emittente a corrispondere al prenditore o al giratario che agisce nei suoi confronti per il pagamento del titolo una penale pari al dieci per cento della somma dovuta e non pagata. L’assegno bancario ha gli effetti di titolo esecutivo anche per la somma rappresentante la penale”.

134 Si consideri, in tal senso, la Relazione accompagnatrice del D.D.L. 501/87 in cui si precisa che “questa

sanzione civile è introdotta […] al duplice scopo di disincentivare il pagamento dilazionato come ricorso ad un’anomala forma di credito e di disporre comunque una conseguenza patrimoniale negativa correlata al mero fatto del mancato pagamento”. In argomento, GIACONA, Nuovo reato di emissione senza provvista,

beni giuridici e individuazione del momento consumativo, in Foro it., 1992, 590.

135 Va precisato che, se l’importo della misura (pari al doppio del valore di mercato del fondo, in aggiunta al

risarcimento) orienta all’attribuzione di una funzione sanzionatoria, la presenza della buona fede in capo all’occupante ha indotto taluno a qualificare la disposizione alla stregua di un mero corrispettivo per la sottrazione del fondo. Così, FAVARA, Indennità e risarcimento del danno nell’accessione invertita, in Riv.

giur. ed., 1970, I, 753. Qualifica la disposizione come una “penalizzazione del costruttore del tutto

ingiustificata”, invece, BIANCA, Diritto civile, IV, La proprietà, Milano, 1999, 379.

136 Legge in materia di “Disposizioni sulla stampa, diffamazione, reati attinenti alla professione e processo

L’art. 12 della Legge sulla stampa – rubricato “Riparazione pecuniaria” – legittima la persona offesa dal reato di diffamazione commesso col mezzo della stampa a chiedere, in aggiunta al risarcimento dei danni di cui all’art. 185 c.p., “una somma a titolo di riparazione”; precisa che, al fine della quantificazione, la somma “è determinata in relazione alla gravità dell’offesa ed alla diffusione dello stampato”.

Dunque, la persona offesa dal reato diffamazione, costituendosi parte civile, potrà vedersi ristorata mediante: (a) il risarcimento dei danni subiti per la lesione del proprio diritto, ai sensi degli artt. 185 c.p., 2043 e 2059 c.c.; (b) la pubblicazione della sentenza di condanna, come previsto dall’art. 186 c.p.; (c) una ulteriore somma a titolo di riparazione pecuniaria. L’individuazione della natura di tale riparazione è stata a lungo oggetto di dibattito giurisprudenziale e dottrinale.

Un risalente filone giurisprudenziale riconosceva alla riparazione pecuniaria in parola una natura penalistica. Frequente era l’affermazione per la quale la misura fosse “una sanzione destinata a rafforzare la repressione penale” 137. Ne discendeva, quale ineludibile conseguenza applicativa, che la sua irrogazione fosse preclusa al giudice civile, essendo demandata esclusivamente a quello penale. A partire da un fondamentale revirement del 1986138, tuttavia, è oramai invalsa l’opinione per cui l’istituto analizzato abbia natura civilistica, e sia pertanto irrogabile anche dal giudice civile qualora il danneggiato non abbia presentato la querela, o qualora, pur avendola presentata, non si sia costituito parte civile, ovvero, pur essendosi costituito, non abbia avuto la possibilità di richiederla, essendo stato il fatto qualificato come diffamazione soltanto nel giudizio di Cassazione.

Quanto alla natura della riparazione, sin dalle primissime applicazioni giurisprudenziali, le Corti hanno puntualizzato la differenza sussistente tra il risarcimento e la riparazione in esame139, per mezzo dell’accento posto sulla funzione spiccatamente sanzionatoria della seconda, il cui importo non è suscettibile di essere detratto da quanto liquidato a titolo di ristoro del danno140 .

Che tale fosse il carattere della prestazione anche nelle intenzioni del legislatore è reso evidente dalla Relazione governativa alla legge n. 47/48, in cui la riparazione è definita

137 In questi termini, Cfr. Cass. 29.10.1965, in Giur. it., 1996, I, 1, 726.

138 Si tratta della Cass. 16.1.1986, in Dir. inf., 1986, 459 con note di LARICCIA e ZENO-ZENCOVICH. 139 Così, Cfr. Cass. 29.10.1965, cit.

come sanzione di carattere civile, al pari dalla Relazione redatta della sottocommissione ad hoc, che impiega nei suoi riguardi la definizione di pena privata141.

Venendo alle interpretazioni dottrinali, il panorama si presenta piuttosto variegato.

Secondo un orientamento minoritario e risalente, la misura in esame sarebbe priva di pratica utilità, risultando “strana”142 o “incomprensibile”143, in quanto sostanzialmente coincidente con la riparazione del danno144. Stando a tale interpretazione, l’art. 12 rappresenterebbe una mera duplicazione del risarcimento del danno, così risolvendosi in una “elargizione alla parte civile non giustificabile con l’esigenza di severità nella repressione”145. Variante di tale interpretazione è quella per la quale la riparazione costituirebbe una forma di risarcimento, ma non determinerebbe duplicazioni, mirando piuttosto a compensare quelle voci di danno “morale, patrimoniale e non patrimoniale, futuro, di cui si può ipotizzare l’entità attraverso la valutazione della gravità del fatto e della diffusione della stampa”146 e che, in quanto tali, non rientrano nella copertura di cui all’art. 185 c.p.

141 La sottocommissione, a tal proposito, rievocava l’evoluzione normativa in tema di riparazione pecuniaria,

chiarendo che, ai sensi dell’art. 38 del codice penale del 1889 “la riparazione, non comminata nell’interesse dello Stato e non considerata dalla legge come pena, si differenziava dal risarcimento del danno, anche solo morale, perché si poteva applicare senza la sussistenza di danno. Tanto premesso, la sottocommissione precisava che la reintroduzione della norma dipendesse dalla “necessità, vivamente sentita, di colpire con efficaci sanzioni, anche di carattere civile, la stampa libellistica contraria al costume della libertà civile, e perciò considera la riparazione come una aggiunta, non solo ai danni patrimoniali, ma anche a quelli non patrimoniali”. La commissione si dichiarava - al contempo - consapevole del “carattere più accentuato di pena privata che potrebbe assumere la riparazione pecuniaria nel sistema del codice penale che concede anche il danno non patrimoniale”, ma tuttavia considerava la misura opportuna “per il criterio che si devono rendere più sensibili le conseguenze per l’offensore della diffamazione libellistica”.

142 MANZINI, Trattato di diritto processuale penale italiano, Torino, 1956, 313. 143 In questi termini JANNITTI-PIROMALLO, La legge sulla stampa, Roma, 1957, 121.

144 Così CANTARANO, Codice della legislazione sulla stampa, Roma, 1976, 208. In tal senso, si osserva che,

considerato che anche al risarcimento del danno non patrimoniale è riconosciuto un carattere (anche) punitivo, potrebbe determinarsi “una sovrapposizione, anche parziale, tra i due istituti”, posto che, ai fini della liquidazione del primo, si prenderanno in considerazione criteri sostanzialmente coincidenti con quelli dettati dall’art. 12, determinando una situazione prossima alla violazione del ne bis in idem. Sicché, proprio per evitare un simile rischio, si è proposto di confinare il risarcimento del danno non patrimoniale entro una dimensione eminentemente satisfattiva e/o consolatoria, quale ristoro della sofferenza patita dalla sfera morale del soggetto leso, da quantificarsi sulla base delle condizioni soggettive della vittima; funzioni punitive andrebbero, invece, attribuite all’art. 12, per la cui valutazione potrebbe attribuirsi rilievo proprio alle modalità concrete dell’offesa. Cfr. sul punto PINO,nota alla sentenza Trib. Venezia 29.02.2000, in Danno

e Resp., 2001, 5, 539. 145 Ibidem.

146 LONGO, La valutazione del danno nel reato di diffamazione, in Tutela dell’onore e mezzi di comunicazione di massa, Milano, 1979, 96.

Isolatamente, si è anche sostenuto che l’istituto costituisca una “penalità civile di diritto pubblico”147: avrebbe, dunque, natura civile, per il fatto di poter essere applicato solo su istanza di parte ed essere comminato in favore dell’offeso; sarebbe, tuttavia, “di diritto pubblico” in quanto riflettente “l’incontro dell’interesse privato con l’interesse pubblico nel punto in cui cade l’offesa arrecata dalla diffamazione col mezzo di stampa”, interesse pubblico avvertito come particolarmente forte proprio nel reato di diffamazione a mezzo stampa, in virtù della rilevanza “del quarto potere nei rapporti sociali”, della particolare diffusione della stampa, e della imponderabilità degli effetti lesivi.

L’opinione prelevante si attesta, comunque, sul piano della differenza tra i due rimedi, riconducendo l’istituto al genus delle sanzioni civili, in ragione del “posto particolarmente alto che il bene colpito occupa nella scala di valori dell’ordinamento, nonché, alternativamente o cumulativamente, il carattere particolarmente riprovevole e intollerabile della condotta tenuta dall’agente”148.

Verso tale direzione si è mossa anche la giurisprudenza più recente, che qualifica la riparazione in esame espressamente come una pena privata149. Si giustifica, in tal senso,

147 BONFIGLIO, nota a sentenza App. Bologna 16 aprile 1950, in Arch. Ric. Giur., 1951, 558. Per una critica

a tale impostazione, si rinvia a CHINDEMI, Diffamazione a mezzo stampa (Radio-Televisione-Internet), Milano, 2006, 237 ss.

148 CENDON,Pena privata e diffamazione, in Pol. Dir., 1979, 150 ss. L’A. ritiene che la pena privata

ricorrerebbe ogni qualvolta “alla base di un certo rapporto giuridico fatto sorgere dal legislatore, alla base cioè dell’obbligo per un soggetto di corrispondere una determinata somma ad un altro soggetto, vi sia un motivo esclusivamente o prevalentemente sanzionatorio”. ZENO-ZENCOVICH,Revirement della Cassazione sulle sanzioni civili punitive contro la stampa, in Dir. inf., 1986, 473 ss. ravvisato nell’istituto una pena privata. A far scaturire l’esigenza della sanzione, sarebbero “casi in cui, per essere il danno di difficile prova

nel suo esatto ammontare, o, nella sua esatta misura, insufficiente fronte del contegno illecito, si introduce «un obbligo, una indennità, una riparazione, la cui misura non è più agganciata alla rigida componente economica del danno»”. In tali casi, si evidenzia pure come l’istituto assuma i caratteri di un risarcimento esemplare “la cui ragion d’essere è il comportamento dell’agente, non il danno subito dal soggetto passivo”, utile nei casi in cui casi nei quali la condanna risarcitoria non esplichi efficacemente una funzione deterrente, perché - ad esempio - la misura del risarcimento è inferiore di poco o di molto ai guadagni che egli può trarre dando corso alla sua iniziativa. Così ZENO-ZENCOVICH,Il risarcimento esemplare per diffamazione nel diritto americano e la riparazione pecuniaria ex art. 12 della Legge sulla stampa, in Resp. civ. Prev., 1983,

I, 55. Qualifica la riparazione pecuniaria ex art. 12 come pena privata anche DE RADA,La riparazione pecuniaria ex art. 12 legge n. 47/48 tra il ruolo di sanzione civilistica accessoria al reato di diffamazione a mezzo stampa e quello di pena privata, in Resp. civ. prev., 1998, II, 1455 ss.

149 Cass., 26.6.2007, n. 14761, in Rep. Foro it., 2007, voce «Responsabilità civile», n. 226. In tal senso,

appaiono censurabili quelle pronunce che hanno rigettato la domanda intesa a conseguire la riparazione pecuniaria, sulla base dell’affermazione della mancanza di prova degli ulteriori danni, differenti da quelli non patrimoniali, ristorabili dalla riparazione pecuniaria (Trib. Bologna, 17.12.1996, n. 20289, www.leggiditalia.it).

l’accento – quale parametro per la quantificazione – su aspetti connessi a grado di antigiuridicità della condotta: la notorietà del diffamante, l’eventuale carica/ruolo pubblico/istituzionale ricoperto dal diffamato, la natura della condotta diffamatoria (dunque, la sua estensione, reiterazione, l’uso del turpiloquio, se sia circostanziata o generica), l’elemento soggettivo del diffamante (se sia ravvisabile il dolo e, dunque, l’animus diffamandi), la collocazione dell’articolo e dei titoli nel contesto dello stampato, la natura e le conseguenza sulla vita professionale del soggetto diffamato.

Proprio al fine di conseguire una maggiore uniformità, e dunque prevedibilità, della somma liquidata, alcuni Tribunali hanno “spesso ritenuto corretto, ai fini del computo, stabilire un rapporto di 1 a 5 rispetto al danno non patrimoniale liquidato. Tale impostazione è sostanzialmente confermata dai criteri indicati dall’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano - Edizione 2018, che fa riferimento a un calcolo tendenziale tra 1/3 e 1/8 del danno liquidato.”150

Chiarito che la prestazione sia volta a rafforzare non la sanzione penale, bensì la condanna al risarcimento dei danni (cui si cumula), ne discendono conseguenze significative con riferimento alla possibilità di irrogare la sanzione civile anche in capo al direttore responsabile – la cui responsabilità sia dichiarata non in concorso con l’autore del reato, ma ex art. 57 c.p., per omesso controllo colposo – nonché all’editore civilmente responsabile, in solido con l’autore della diffamazione, ai sensi dell’art. 11, L. 47/48. Di talché, ai fini della condanna alla riparazione in esame, sarebbe sufficiente dover rispondere civilmente dei danni da reato di diffamazione, o avere la veste di responsabile civile. Si è sostenuto151, invero, che tale soluzione potrebbe essere esclusa solo optando per la natura punitiva di matrice pubblicistica, indefettibilmente collegata al reato di diffamazione152. Qualora, all’opposto, si optasse per la natura di “sanzione civile rafforzativa e cumulabile con altra

150 Trib. Milano, Sez. I, 25.6.2018, in www.leggiditalia.it

151 CHINDEMI, Diffamazione a mezzo stampa: applicabilità della sanzione pecuniaria al direttore responsabile ed all’editore, in NGCC, 2004, I, 505 ss, cui si rinvia per la rassegna dei diversi orientamenti,

giurisprudenziali e dottrinali, in tema.

152 Secondo un preesistente orientamento (volto ad interpretare la riparazione quale rafforzativa della

sanzione penale), “in materia di reati a mezzo stampa, è ben diversa la responsabilità del direttore, a titolo di colpa, per non aver impedito la commissione del reato, da quella a titolo di concorso, la quale sussiste solo se sono presenti tutti gli elementi generalmente occorrenti a norma dell’art. 110 c.p., derivandone quindi che, se nel direttore manca il dolo, può configurarsi nei suoi confronti solo una responsabilità ai sensi dell’art. 57 c.p.”. Tanto, in ragione dello stretto (la Corte parla a riguardo di “indefettibile”) collegamento tra il reato di diffamazione a mezzo stampa e riparazione. Cfr., ex multis, Cass. 24 settembre 1997, in Resp. civ. prev., 1998, 1461.

sanzione civile”, la responsabilità dei suddetti soggetti si fonderebbe sull’art. 11 L. stampa, e non sull’art. 2049 c.c. Ricorrerebbe, dunque, una responsabilità solidale per l’obbligazione civile da reato, a carico del soggetto responsabile, nonché del direttore, il proprietario della pubblicazione e l’editore, in quanto soggetti civilmente responsabili ex lege153.

La previsione per cui la riparazione ex art. 12 Legge stampa vada liquidata in aggiunta al risarcimento del danno da reato, unitamente al riferimento a criteri di liquidazione riferiti alla gravità dell’offesa, rimarca la funzione evidentemente ultracompensativa (e, dunque, sanzionatoria) dell’istituto; la circostanza, poi, che la prestazione venga prevista dal legislatore “in aggiunta” al quantum liquidabile a titolo di risarcimento del danno conduce ad espungere l’istituto dal perimetro della responsabilità civile, e ad includerlo nel novero delle multe civili.

Alla luce di quanto premesso, non pare – dunque – che l’art. 12 in esame abbia introdotto un risarcimento polifunzionale. Tuttavia, la circostanza che il legislatore abbia avvertito l’opportunità di prevedere la liquidazione di una somma a scopo chiaramente sanzionatorio