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Risarcimento sanzionatorio: fondamento e limiti di una teoria

Sommario: 1.- Il campo d’indagine del capitolo; 2.- Il principio di integrale riparazione del danno; 3.- Equivalenza dolo colpa: un paradigma da superare; 4.- Tipicità e prevedibilità del risarcimento punitivo

1.- Il campo d’indagine del capitolo

Come anticipato, va, a questo punto, indagato se la responsabilità civile si presti a perseguire finalità sanzionatorie nelle sole ipotesi tipicamente previste – e analizzate compiutamente nella prima parte del lavoro – o se siano ammissibili risarcimenti sanzionatori “innominati”. In via generale, può osservarsi che il risarcimento del danno aquiliano è suscettibile di assumere un connotato sanzionatorio tanto sotto il profilo dell’an respondeatur, quanto su quello del quantum debeatur.

Un risarcimento punitivo potrebbe ravvisarsi, anzitutto, allorquando – con riferimento all’imputazione – il giudice assuma a parametro idoneo a fondare il giudizio di responsabilità non la sussistenza di un danno ingiusto, ma l’illecito in sé considerato, così facendo della punizione del danneggiante (in luogo del ristoro del soggetto leso) la finalità del proprio giudizio. Ciò potrebbe discendere – come si vedrà nel prosieguo – dal primario rilievo attribuito allo stato soggettivo della condotta (dolo/colpa grave), ovvero dal risarcimento di danni presunti, meramente patrimoniali, o non eziologicamente derivanti dall’illecito.

Allo stesso modo, un risarcimento potrebbe, in ipotesi, assumere un connotato sanzionatorio – sotto il profilo del quantum debeatur – allorquando sia evidente (anche se non dichiarato dal giudice expressis verbis) il sistematico ricorso alla ultracompensazione: quando, in altri termini, il risarcimento venga misurato, non sulla entità dei pregiudizi residuati in capo al soggetto leso, ma su indici altri: la considerazione della “condotta del danneggiato”, della “gravità del fatto”, della “intensità del dolo o della gravità della colpa”, o delle “condizioni economiche delle parti”, in particolare, costituiscono spie di una finalizzazione più che compensativa del risarcimento, nella misura in cui fanno pesare, nella liquidazione, il grado di antigiuridicità della condotta, piuttosto che quello della gravità del danno.

2.- Il principio di integrale riparazione del danno

L’ammissibilità di un risarcimento ultracompensativo di stampo giudiziale parrebbe scontrarsi (a) con il principio di mera riparazione del danno, fondato sulla previsione di cui all’art. 1223 c.c.; (b) sul connesso dogma della equivalenza tra dolo e colpa (che esclude qualsivoglia accentuazione soggettiva del risarcimento), nonché (c) con il vincolo di tipicità predicato dalle Sezioni Unite, nella sentenza n. 16601/2017, cit.

Partendo dalla prima delle possibili confutazioni circa la compatibilità col sistema di un risarcimento punitivo, va osservato che l’obiezione rappresentata dal parametro per la liquidazione del danno di cui all’art. 1223 c.c. non appare risolutiva: ciò in quanto non sembra che tale norma possa trovare una piana applicazione con riferimento a tutte le fattispecie di danno aquiliano. Sussistono, invero, pregiudizi (quali quelli relativi ai diritti della persona aventi fondamento costituzionale) che, consistendo in una mera lesione, risultano irriducibili alla categoria del “danno conseguenza”, e che – in quanto tali – non appaiono “compensabili” ai sensi della suddetta disposizione (sul punto, si rinvia a quanto si dirà al par. 6, capitolo terzo, seconda parte).

Per altro verso, va vagliata la consistenza del principio di compensazione all’interno del nostro ordinamento376. E infatti l’art. 1223 c.c. – nella parte in cui statuisce che il risarcimento deve comprendere il danno emergente come il lucro cessante – potrebbe rappresentare un ostacolo, rispetto alla configurazione di un risarcimento ultracompensativo, nel solo caso in cui il carattere della mera riparazione ivi codificato fosse un limite invalicabile per il legislatore e l’interprete377. Così, tuttavia, non è.

Va considerato che, da tempo, il Giudice delle leggi ha evidenziato che il principio di integrale riparazione del danno è sprovvisto di copertura costituzionale. Ne consegue la

376 QUARTA, Risarcimento e sanzione, cit., spec. 52 ss, rileva che il principio di compensazione è il frutto di

una scelta politica risalente al contesto francese di fine Settecento, di cui bisognerebbe pertanto valutare la perdurante compatibilità con l’ordinamento odierno.

377 In argomento, PINORI, Il principio generale della riparazione integrale dei danni, in Contr. impr., 1998,

1144; SMORTO, Il danno da inadempimento, Padova, 2005, 14; GRISI, Il principio generale dell’integrale

riparazione del danno, in Le tutele contrattuali e il diritto europeo. Scritti per A. di Majo, Napoli, 2012, 170,

per il quale il principio in parola risponderebbe ad un elementare principio di giustizia, per il quale il diritto deve “assicurare a ciascuno ciò che gli spetta, nulla di più e nulla di meno di quello che è giusto ed equo che sia lui attribuito”; PONZANELLI, Riparazione integrale del danno senza danno esistenziale, in AA.VV., Il

danno non patrimoniale. Guida commentata, cit., 331; ID., La irrilevanza costituzionale del principio di

riparazione integrale del danno, in BUSSANI (a cura di), La responsabilità civile nella giurisprudenza

costituzionale, Napoli, 2006, 6; PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, Il danno da perdita della vita e il «nuovo

legittimità di previsioni normative che limitino il risarcimento (tanto nella responsabilità contrattuale quanto in quella extracontrattuale) al di sotto della soglia dell’effettivo pregiudizio sofferto, sempre che la scelta sia stata assunta all’esito dell’equo contemperamento degli opposti interessi in gioco.

In effetti, nello stesso codice civile sono rinvenibili plurime disposizioni che arretrano rispetto al principio della totale compensazione del danno. Si consideri, con riferimento alla responsabilità contrattuale, l’art. 1783 c.c., il quale pone una limitazione della responsabilità, in favore dell’albergatore, quanto al danno derivante al cliente dal deterioramento, distruzione o sottrazione delle cose portate in albergo378. Ulteriori limitazioni della responsabilità son previste anche nel codice della navigazione: si vedano l’art. 275, che limita la responsabilità dell’armatore per le obbligazioni contratte per i bisogni del viaggio o i bisogni dello stesso viaggio379, nonché gli artt. 412380 e 423381 con riferimento alla responsabilità del vettore.

Ad ogni modo, sul punto, è necessario confrontarsi con la giurisprudenza della Corte costituzionale. Una siffatta analisi consente di affermare che sistemi di c.d. undercompensation possano giustificarsi solo all’esito positivo del vaglio di ragionevolezza382.

378 In particolare, il terzo comma dell’art. 1783 c.c. limita la responsabilità di cui sopra “al valore di quanto

sia deteriorato, distrutto o sottratto, sino all’equivalente di cento volte il prezzo della locazione dell’alloggio per giornata”. Si rammenti, tuttavia, che a norma dell’art. 1785-bis c.c. la limitazione non opera allorquando il danno sia dovuto alla colpa dell’albergatore ovvero della di lui famiglia o ausiliari.

379 L’articolo, al comma 1, prevede che “Per le obbligazioni contratte in occasione e per i bisogni di un

viaggio, e per le obbligazioni sorte da fatti o atti compiuti durante lo stesso viaggio, ad eccezione di quelle derivanti da proprio dolo o colpa grave, l’armatore di una nave di stazza lorda inferiore alle 300 tonnellate può limitare il debito complessivo ad una somma pari al valore della nave e all’ammontare del nolo e di ogni altro provento del viaggio”.

380 Ai sensi del primo comma dell’art.: “Il vettore è responsabile, entro il limite massimo di euro 6,19 per

chilogrammo o della maggiore cifra risultante dalla dichiarazione di valore, della perdita e delle avarie del bagaglio, che gli è stato consegnato chiuso, se non prova che la perdita o le avarie sono derivate da causa a lui non imputabile”.

381 Il primo comma dell’art. prevede che “Il risarcimento dovuto dal vettore non può, per ciascuna unità di

carico, essere superiore a euro 103,29 o alla maggior cifra corrispondente al valore dichiarato dal caricatore anteriormente all’imbarco”.

382 Circa il significato e l’operatività della ragionevolezza, non può che rinviarsi a G.PERLINGIERI, Profili applicativi della ragionevolezza, cit., 22 ss. L’A evidenzia che trattasi, non di una “delega in bianco”

all’interprete, bensì di un “criterio che, nel rispetto del principio di legalità, contribuisce a individuare nel momento applicativo la soluzione – tra quelle astrattamente e giuridicamente possibili – più di tutte conforme non soltanto alla lettera della legge, bensì alla logica complessiva del sistema e dei suoi valori normativi, in modo da evitare abusi dell’interprete e far sì che la ragione giuridica della decisione sia sempre «prevedibile» e «definibile», nonché conforme all’ordine giuridico espresso in un dato momento storico”.

Così, con riferimento alle occupazioni appropriative, la Corte costituzionale ha ritenuto che “sussistono in astratto gli estremi giustificativi di un intervento normativo ragionevolmente riduttivo della misura della riparazione dovuta dalla pubblica amministrazione al proprietario dell’immobile che sia venuto ad essere così incorporato nell’opera pubblica”383; sicché, va affermata384 la legittimità dell’art. 5-bis, D.L. 333/1992, 7-bis, convertito, con modificazioni, nella L. 359/92, che calcola il risarcimento del danno da occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilità sulla scorta dei criteri per la determinazione dell’indennità da esproprio.

Il principio è stato ribadito anche più di recente, nel giudizio relativo alla discussa legittimità costituzionale385 dell’art. 139 cod. ass., nella parte in cui la norma, prevedendo, per le lesioni di lieve entità (c.d. micropermanenti) derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, un risarcimento del danno biologico (permanente o temporaneo) basato su rigidi parametri fissati da tabelle ministeriali, non consentirebbe di giungere ad un’adeguata personalizzazione del danno. Anche in tale occasione, la Corte ha chiarito che il diritto all’integralità del risarcimento del danno alla persona non va considerato come assoluto e intangibile, ma necessita di essere bilanciato – e, se del caso, limitato – con i diversi interessi rilevanti nella fattispecie. Da ciò, l’affermazione della legittimità della disciplina oggetto di censura, posto che “in un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata - in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici, e nel quale l’interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi - la disciplina in esame, che si propone il contemperamento di tali contrapposti interessi, supera certamente il vaglio di ragionevolezza”.

Il vaglio di ragionevolezza impone all’interprete, dunque, un’adeguata considerazione degli interessi lesi.

383 Corte Cost. 17.10.1996, n. 369, in Giur. cost., 1996, 335.

384 Corte cost., 30.4.1999, n. 148, in Foro it., 1999, I, c. 1715; in Giur. it., 1999, 1499; in Corriere giur.,

1999, 697, con nota di CARBONE.

385 Corte Cost., 16.10.2014, n. 235, in Foro it., 2014, I, c. 3345, con nota di CUOCCI;P.PERLINGIERI,Il diritto di accesso alla giustizia e non interpretazione funzionale dell’art. 134, in Giusto proc. civ., 2016, 719

Così, ad esempio, con riferimento al giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 22 della Convenzione di Varsavia del 12.10.1929, avente ad oggetto la prevista limitazione della responsabilità del vettore, la Corte ha avvertito la necessità di valutare se la “denunciata disciplina pattizia riesca a comporre gli interessi del vettore con un sistema di ristoro del danno non lesivo della norma costituzionale di raffronto”. Di talché “la limitazione della responsabilità del vettore si appalesa giustificata solo in quanto siano al tempo stesso predisposte adeguate garanzie di certezza od adeguatezza per il ristoro del danno” 386. Da ciò, la necessità di garantire la riparazione integrale del danno, nel caso in cui il rango inviolabile degli interessi renda irragionevole una diversa previsione limitativa. Evocativa in tal senso è la nota pronuncia avente ad oggetto il recepimento nell’ordinamento interno della norma internazionale pattizia, relativa alla estensione della immunità degli Stati anche agli atti ritenuti iure imperii in violazione del diritto internazionale e dei diritti fondamentali della persona387. Nel rimarcare la primazia del diritto a conseguire una tutela giurisdizionale nel caso di lesione di diritti inviolabili, la Corte rilevava che il combinato disposto degli artt. 2 e 24 Cost. comportasse l’affermazione della giurisdizione del giudice italiano nella causa civile di risarcimento del danno per crimini contro l’umanità, non potendosi garantire immunità allo Stato straniero responsabile di “crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona”388. Tanto, sulla scorta dell’affermazione per cui “il diritto al giudice ed a una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti inviolabili è sicuramente tra i grandi principi di civiltà giuridica in ogni sistema democratico del nostro tempo”389.

386 Così, con riferimento alla responsabilità del vettore, la Corte cost., con sentenza 6.5.1985, n. 132 (in Foro it., 1985, I, c. 1585; in Corriere giur., 1985, 722, con nota di SCOTTI) ha affermato che “l’aver comunque sancito un limite alla responsabilità del vettore non basta ad integrare la prospettata ipotesi di illegittimità costituzionale, sebbene importi una deroga al principio del risarcimento integrale del danno; principio che, in stretta connessione con l'altro della responsabilità colpevole, informa la disposizione dettata in via generale, per quanto qui interessa, dall’art. 1681 del codice civile, sotto il capo del contratto di trasporto. Ma tale rilievo non esaurisce l’indagine rimessa alla Corte. Occorre vedere, più da vicino, se la limitazione dell’obbligo risarcitorio sia giustificata dallo stesso contesto normativo in cui essa si colloca, nel senso che la denunciata disciplina pattizia riesca a comporre gli interessi del vettore con un sistema di ristoro del danno non lesivo della norma costituzionale di raffronto (…). La limitazione della responsabilità del vettore si appalesa giustificata solo in quanto siano al tempo stesso predisposte adeguate garanzie di certezza od adeguatezza per il ristoro del danno”.

387 Trattasi della Corte Cost., 22.10.2014, n. 238, in Foro it., 2015, I, 1152, con note diPALMIERI e SANDULLI.

In argomento, P.PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, IV, cit., spec. 406 ss.

388 Ibidem.

389 Ibidem. Precisa il Giudice delle Leggi che “D’altra parte, in una prospettiva di effettività della tutela dei

Alla luce di quanto premesso, appare potersi concludere che il principio compensativo non rappresenta un dogma irrinunciabile nel sistema della responsabilità civile. Lo stesso si presta, invero, ad arretrare, nel caso in cui il bilanciamento degli interessi renda ragionevole una soluzione di “undercompensation”. Simmetricamente, non può escludersi la configurabilità di fattispecie in cui, proprio in ragione della natura del diritto leso, ovvero per il carattere riprovevole dell’illecito – si imponga, quale risposta rimediale “effettiva”, una soluzione più che compensativa di stampo giudiziale390.

3.- Equivalenza dolo colpa: un paradigma da superare

S’insegna che la responsabilità civile è retta dal c.d. dogma dell’equivalenza tra il dolo e la colpa. Fondandosi sulla centralità del danno, il risarcimento sarebbe insensibile – per ciò che concerne la misura della sua liquidazione – al grado di antigiuridicità della colpevolezza dell’agente. Ne consegue che anche l’intento manifesto di nuocere, se causa di un danno irrisorio, non potrebbe esporre l’agente a conseguenze più afflittive rispetto a quelle gravanti su colui che abbia provocato un danno di trascurabile entità per lieve negligenza391. Il citato paradigma ha un fondamento certo nell’art. 2043 c.c., che pone l’obbligo risarcitorio in capo all’autore di un atto – alternativamente – “doloso o colposo”, senza che il carattere dell’elemento soggettivo possa influire sulla quantificazione (essendo peraltro estraneo ai criteri per la risarcibilità del danno di cui all’art. 1223 c.c.).

non accompagnarsi il riconoscimento del potere di farli valere innanzi ad un giudice in un procedimento di natura giurisdizionale»: pertanto, «l’azione in giudizio per la difesa dei propri diritti (…) è essa stessa il contenuto di un diritto, protetto dagli articoli 24 e 113 della Costituzione e da annoverarsi tra quelli inviolabili e caratterizzanti lo stato democratico di diritto» (sentenza n. 26 del 1999, nonché n. 120 del 2014, n. 386 del 2004 e n. 29 del 2003).

390 Diffusamente, sul punto,P.PERLINGIERI, Il diritto civile nella nella legalità costituzionale, cit., IV, 324

ss; MALOMO, op. cit., 109 ss; MONATERI –ARNONE –CALCAGNO, Il dolo, la colpa, cit., spec. 73 ss, i quali rilevano che “se è legittima la undercompensation, dovrà esserlo anche la overcompensation”.

391 Per la verità, va precisato che taluno tenta di criticare tale assunto, affermando che il dolo, nei fatti,

inciderebbe sul quantum risarcitorio. La tesi si fonda sul dato per cui, quanto più intenso è il grado di antigiuridicità della condotta, tanto maggiori sono anche le conseguenze pregiudizievoli patite dal danneggiato. Il che è un dato empirico di indubbia verità. E tuttavia, in tali circostanze, non può ammettersi che la responsabilità civile persegua una funzione sanzionatoria. L’entità del rimedio, invero, sarebbe pur sempre collegata alla estensione del danno, sicché il primo mirerebbe pur sempre a reintegrare il leso della perdita.

Pure a fronte del dato letterale, può rilevarsi che il dolo extracontrattuale è in grado di esplicare una qualche autonoma influenza nella fattispecie di responsabilità392.

Giova precisare che, in ambito aquiliano, il concetto di dolo - essendo privo di definizione legislativa, e anzi a fronte della pluralità di espressioni impiegate dal codice (fraudolenza, inganno, animus nocendi, preordinazione in danno, violenza, malafede, scientia dell’evento) - è tradizionalmente interpretato alla stregua dell’art. 43 c.p., a mente del quale il delitto è doloso, o secondo intenzione, allorquando l’evento dannoso sia “dall’agente preveduto e volto come conseguenza della propria azione od omissione”. A seconda dello specifico illecito, poi, la giurisprudenza si limita a richiedere il mero dolo generico, e dunque la sola consapevolezza di agire contro il diritto, ovvero un vero e proprio animus nocendi, da intendersi come volontà di arrecare un danno ad altri per effetto del proprio atto illecito393.

Vanno, in tal senso, annoverate le ipotesi in cui il dolo rileva ai fini dell’imputazione della responsabilità. Sono questi i casi in cui, ai fini della configurabilità di una fattispecie di responsabilità, non è sufficiente la mera colpa del danneggiante, richiedendosi piuttosto che l’illecito sia commesso in stato di dolo (c.d. illeciti di dolo). In tali casi ben potrà dirsi che tale qualificato elemento soggettivo funga da criterio di rilevanza giuridica di un danno che, se compiuto solo colposamente, non potrebbe dirsi ingiusto394.

Il riferimento è, anzitutto, ai casi in cui viene in rilievo la mala fede soggettiva dell’agente: si consideri l’art. 937 (che presuppone, ai fini della condanna al pagamento del valore dei materiali e al risarcimento del danno, la mala fede del proprietario che abbia permesso al

392 Sul tema, non può prescindersi dal contributo di CENDON,Il dolo nella responsabilità extracontrattuale,

Torino, 1974.

393 Il mero dolo generico è richiesto, ad esempio, nei casi di doppia vendita immobiliare; è invece richiesto

un vero e proprio animus nocendi nel caso degli atti emulativi ex art. 833 c.c., ovvero in talune fattispecie di concorrenza sleale, quali il dumping, il rifiuto a contrarre, il boicottaggio, nonché nel caso di proposizione di una denuncia infondata. FRANZONI,L’antigiuridicità del comportamento, in SIRENA (a cura di) La funzione

deterrente della responsabilità civile, cit., 73; per una analisi circa il coefficiente psicologico in grado di

integrare gli stati soggettivi del dolo e della colpa, si rinvia alla attenta analisi di ZAMPONE, La condotta

temeraria e consapevole nel diritto uniforme dei trasporti (Ipotesi di illecito tra dolo e colpa), Padova, 1999,

spec. 132 ss.

394 Sul punto, si veda FRANZONI, L’antigiuridicità del comportamento, cit., che dimostra l’assunto con

riferimento alla evoluzione giurisprudenziale relativamente agli illeciti della seduzione con promessa di matrimonio, doppia alienazione immobiliare, divulgazione di informazioni menzognere. In tali casi, si è assistito in giurisprudenza ad una attenuazione, ovvero ad una maggiore intensità, dell’elemento soggettivo, in corrispondenza dell’evoluzione del giudizio espresso dall’ordinamento circa l’ampiezza della libertà di azione dell’agente.

terzo di effettuare sul suo terreno costruzioni con materiali altrui), gli artt. 2920 e 2925 quanto alla mala fede del creditore procedente (al fine di conseguire la sua condanna nei confronti dei terzi titolari di diritti reali su cose mobili sottoposte a esecuzione forzata o fatte assegnare a terzi), l’art. 2476 (con riferimento allo stato di malafede del socio di una società di capitali che decida o autorizzi il compimento, da parte degli amministratori, di un fatto dannoso per la società, i soci o i terzi). Si consideri, ancora, l’animus nocendi richiesto dall’art. 833 c.c. ai fini della integrazione dell’atto emulativo, o la condotta di colui che abbia tenuto il coniuge all’oscuro dell’esistenza di una causa di invalidità del matrimonio,