• Non ci sono risultati.

1 Il risarcimento sanzionatorio nel contesto delle sanzioni di diritto privato

2- Le pene private

La pena privata costituisce la sanzione civile per eccellenza, nonché uno degli istituti maggiormente controversi del diritto privato. Non è un caso che il dibattito dottrinale a riguardo abbia visto momenti di aperta diffidenza alternarsi a periodi di “riscoperta”101 e studio. L’esito ha coinciso con l’edificazione di una categoria di pena privata ampia e dai contorni sfumati, all’interno della quale si fanno usualmente confluire fattispecie eterogenee nella struttura, accomunate soltanto da una caratterizzazione latamente sanzionatoria. È pena privata, secondo la definizione tradizionalmente invalsa102, qualsivoglia “privazione di un diritto o costituzione di un obbligo volta a punire il trasgressore di una specifica norma”103.

A fronte della estrema vaghezza della fattispecie così delineata, si è soliti classificare le singole pene a seconda della fonte. Si distinguono le pene private negoziali, le quali sono previste dalle parti nella propria autonomia privata, da quelle legali, tipizzate dalla legge, e le giudiziali, comminate dal giudice. Tale definizione, a ben vedere, risulta priva di una qualche utilità anche solo dal punto di vista classificatorio, posto che più di una pena civile si presta ad essere qualificata almeno entro due delle suddette categorie. Si pensi alla clausola penale, da sempre considerata pena negoziale per eccellenza, in quanto inserita dalle parti nella propria autonomia all’interno di un regolamento contrattuale; essa risulta, al contempo, suscettibile di essere riguardata quale pena legale, in quanto positivamente prevista e disciplinata agli artt. 1382-84 c.c., nonché quale pena giudiziale, nella misura in cui risulta ri-determinabile nel suo importo dal giudice - anche d’ufficio104 - laddove d’importo eccessivo o nell’ipotesi di parziale adempimento.

L’adozione di una categoria tanto ampia, in quanto responsabile della riconduzione entro una definizione comune di istituti tanto dissimili sotto il profilo strutturale, non giova neppure a delineare una disciplina tendenzialmente uniforme. Non è un caso che le

101 BUSNELLI e SCALFI (a cura di), Le pene private, Milano, 1985.

102 Non sono mancate, ad ogni modo, impostazioni parzialmente dissimili. Cfr. sul punto GALGANO,Alla ricerca delle sanzioni civili indirette: premesse generali, in Contr. impr., 1987, 531 ss; PATTI,Pena privata

(voce), Dig. priv., XIII, XIII, 1995, 349 ss; BRICOLA,La riscoperta delle “pene private” nell’ottica del penalista, in BUSNELLI e SCALFI (a cura di), Le pene private, cit., 29. Per gli A. sarebbero pene private quelle irrogabili dal giudice civile su iniziativa e a favore di un privato.

103 THON,Norma giuridica e diritto soggettivo. Indagini di teoria generale del diritto, trad. di LEVI,Padova,

1951, 35.

trattazioni sul tema non di rado confluiscano nella constatazione della inutilità di una categoria unitaria di pena privata, proprio in ragione della moltitudine delle figure e della peculiarità di ciascuna fattispecie105. A non meno ambiguità, proprio per la sua eccessiva latitudine, si presta la differenziazione, proposta più di recente106, tra pene private da inadempimento, da una parte, e da illecito aquiliano, dall’altra.

Tanto premesso, ai fini del presente studio s’intende impiegare il concetto di pena privata nel senso - senz’altro più ristretto rispetto a quello usualmente impiegato - di sanzione comminabile da un privato nei confronti di un altro privato107. In quanto tale, essa rinviene la propria fonte in un contratto, ovvero in uno status. Ne consegue che, essendo l’irrogazione rimessa alla volontà dei privati, l’intervento dell’autorità giurisdizionale è soltanto eventuale, e sempre subordinato all’espressione dell’autonomia delle parti.

105 Cfr., quanto alla inutilità di una categoria unitaria, MOSCATI,Pena (diritto privato), Enc. dir., XXXII,

Milano, 1982, 770.

106 BARATELLA,Le pene private, Milano, 2006, 16 ss.

107 Suggerisce l’impostazione GALGANO, Alla ricerca delle sanzioni civili indirette, in Contr. impr., 1987,

Costituiscono pene private, nell’accezione da noi impiegata, la clausola penale108, la caparra confirmatoria109 - ovviamente nella misura in cui si intenda ricostruirne la natura in chiave

108 Come noto, la natura della clausola penale è ampiamente discussa in dottrina. Vi è chi ne ha ricostruito la

funzione in chiave esclusivamente sanzionatoria: MAGAZZÙ, voce «Clausola penale», in Enc. dir., VII, Milano, 1960, 189, per il quale “con la clausola penale l’ordinamento offre alle parti il mezzo per predisporre una sanzione dell’inadempimento, diversa da quella (normale) di risarcimento del danno. Al riguardo, anzi, senza peraltro scendere a più specifiche considerazioni, è possibile ritenere che la clausola dia vita ad una pena privata”. Evidenzia la funzione sanzionatoria della clausola MARINI, La clausola penale, Napoli, 1984, 2 ss, osservando che “la clausola penale appare funzionalmente indirizzata a reprimere la trasgressione di uno specifico dovere di condotta posto a carico di un soggetto determinato”. Annoverano la clausola penale tra le pene private anche PONZANELLI voce «Pena privata», in Enc.giur. Treccani, XXII, Milano, 1990, 1 ss.; GALLO, Pene private e responsabilità civile, Milano, 1996, 33 ss.; MOSCATI, Pena privata e autonomia

privata, in BUSNELLI e SCALFI (a cura di) Le pene private, Milano, 1985, 235 ss. Altri, invece, attribuiscono

alla clausola una funzione risarcitoria, quale determinazione anticipata e forfettaria del danno da inadempimento: BIANCA, La responsabilità, cit., 222;MAZZARESE, Clausola penale, in Comm. al Cod. Civ. diretto da P. Schlesinger, Milano, 1999, 159; MESSINEO, Dottrina generale delle obbligazioni, Milano, 1964, 131 ss; BARASSI, La teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1964; DE CUPIS, Il danno, cit., 520 ss. La dottrina maggioritaria attribuisce alla clausola una duplicità di funzioni (risarcitoria, nella parte in cui la pattuizione realizza una liquidazione forfettaria del danno; ma al contempo sanzionatoria, nella parte in cui si prevede l’esonero dalla prova del danno ex art. 1384 c.c.). Cfr., in tema, G.GORLA, Il contratto. Problemi

fondamentali trattati con il metodo comparativo e casistico, I, Lineamenti generali, Milano, 1955, 240. V.

M.TRIMARCHI, La clausola penale, Milano, 1954, 89 ss (il quale osserva che “la funzione punitiva ci sembra insopprimibile. Essa ricorre sia nel caso in cui le parti dalla clausola (e più precisamente il creditore) vogliono ottenere l’adempimento dell’obbligazione principale e comminano, per la ipotesi in cui non si dovesse verificare, una situazione punitiva, e sia in quello in cui le stesse parti considerano l’eventuale risarcimento del danno”); ZOPPINI, La pena contrattuale, Milano, 1991, 99 ss; GALGANO, Art. 1382-1384, in Comm. del

cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1993, 166 ss; MIRABELLI, Dei Contratti in generale, in Commentario del cod.civ., Torino, 1980, 343; per un quadro delle opinioni dottrinali in tema, si rinvia anche a PERFETTI, Riducibilità d’ufficio della clausola penale e interesse oggettivo dell’ordinamento: un

rapporto da chiarire, in NGCC, 2006, 4, 20187.

Alla luce della peculiarità della disciplina positiva, sembra potersi affermare che la clausola penale è idonea a perseguire una molteplicità di funzioni, a seconda delle modalità in cui l’autonomia privata si sia esplicata nella determinazione della clausola: si va dalla liquidazione convenzionale del danno (laddove l’interesse sia quello di operare una forfettizzazione del risarcimento, onde evitare le lungaggini e le incertezze processuali), a quella satisfattiva (nel caso in cui le parti reputino che il risarcimento non sia adeguato a ristorare adeguatamente gli interessi lesi; Così, GORLA, op. loc. ult. cit.) sino a quella più marcatamente sanzionatoria, nel caso in cui lo scopo della clausola sia quello di stimolare la parte all’adempimento e, dunque, sanzionarla nel caso contrario.

109 Come noto, la caparra confirmatoria si caratterizza per la pluralità delle sue funzioni. GORGONI, Caparra confirmatoria, in Commentario del codice civile diretto da Gabrielli, Dei contratti in generale, vol. II, Torino,

2011, 1015 ha evidenziato l’«affanno» della dottrina, “che continua ad enumerare e sottoarticolare le funzioni della caparra: tutela preventiva del credito, rafforzamento del contratto, coazione psicologica, preventiva convenzionale forfettaria liquidazione del danno, anticipazione del prezzo, patto sanzionatorio, autotutela, congegno negoziale per agevolare il recesso unilaterale”. Taluno ha voluto attribuire una funzione sanzionatoria anche alla caparra confirmatoria: MAZZARESE, op. cit., 117 ss, parla all’uopo di una funzione sanzionatoria “elastica”; la centralità della funzione sanzionatoria della caparra è evidente anche nelle ricostruzioni di quanti collocano la caparra confirmatoria nell’ambito della categoria delle pene private:

non esclusivamente risarcitoria - gli interessi moratori convenzionali110 , le pene endoassociative111, la previsione di cui all’art. 70 disp. att. c.c112, nonché – ma la configurabilità è discussa – le clausole penali testamentarie113.

PADOVANI, Lectio brevis sulla sanzione, in Le pene private, cit., 60. Contra, BIANCA, Le autorità private, cit., 33; DE CUPIS, Tradizione e rinnovamento nella responsabilità civile, in Riv. dir. civ., 1979, II, 320.

110 Vi è stato chi ha ricostruito la funzione degli interessi moratori ex art. 1224, comma I, c.c., in chiave

eminentemente sanzionatoria, sulla base del rilievo che gli stessi risultano dovuti nella misura del tasso legale anche se non precedentemente convenuti dalle parti e a prescindere dalla prova del danno, alla stessa stregua della penale convenuta per il ritardo: Cfr., in argomento, MARINI, La clausola penale, cit., 54; MAZZARESE,

Clausola penale, cit., 234; GABRIELLI, Clausola penale e sanzioni private nell’autonomia contrattuale, in

Rass. Dir. civ., 1984, 4, 913. L’opinione si contrappone a quella di quanti ne hanno ravvisato la funzione

prettamente risarcitoria, connessa alla naturale fecondità del denaro: ASCARELLI, Obbligazioni pecuniarie, in Comm. Cod. civ. Scialoja-Branca, 581; E.QUADRI, Le obbligazioni pecuniarie, in Trattato di diritto

privato, diretto da Rescigno, Torino, 1984, 525.

111 La dottrina è solita distinguere tra le misure che comportano l’esclusione del socio (o associato), le

sospensioni o privazioni di diritti, l’imposizione di prestazioni pecuniarie, nonché le pene morali, quali le ammonizioni. In argomento RUBINO, Le associazioni non riconosciute, Milano, 1952, 208. Discute circa il fondamento del potere sanzionatorio dei gruppi privati BIANCA, Le autorità private, cit., 18, il quale – nell’escludere un simile potere in capo alle autorità private in ragione del principio imperativo di uguaglianza, rileva che tale principio “non preclude [...] all’individuo di rimettere ad altri il potere di decidere riguardo a situazioni o attività che non siano di suo esclusivo interesse. [...] Ma il conferimento del potere deve riguardare pur sempre oggetti disponibili e determinati. [...] Un conferimento che assoggettasse genericamente alla competenza del gruppo attività patrimoniali o personali si tradurrebbe in una menomazione del singolo nei confronti della potestà del gruppo e pertanto in una violazione di tale principio”.

112 La disposizione prevede che “Per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo

di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800. La somma è devoluta al fondo di cui l’amministratore dispone per le spese ordinarie. L’irrogazione della sanzione è deliberata dall’assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma dell'articolo 1136 del Codice”. In argomento, DE TILLA, Sanzioni pecuniarie e regolamento condominiale, in Riv. giur. ed., 1996, I, 300; DEL

PRATO, I regolamenti privati, Milano, 1988, 105.

113 ANDREOLI, Le disposizioni testamentarie a titolo di pena, in Riv, trim. dir. proc. Civ., 1949, 331 definisce

le disposizioni testamentarie a tiolo di pena come quelle con le quali “il testatore si propone di esercitare una pressione psicologica sull’erede […] o sul legatario, per indurli all’adempimento di una particolare volontà […] dietro la comminatoria […] di un determinato svantaggio patrimoniale”; critico nei confronti della eccessiva latitudine della definizione MOSCATI, voce «Pena privata», cit., 775. Critico quanto alla possibilità di qualificare tali previsioni alla stregua di pene private è DAMIANI, Disposizioni testamentarie

«sanzionatorie», in PERFETTI (a cura di) Il punto sui così detti danni punitivi, cit., 57 ss., il quale – nel respingere recisamente la tesi di quanti ritengono ammissibile la riduzione officiosa anche della clausola penale testamentaria – avanza dubbi circa la natura effettivamente sanzionatoria di un simile istituto. L’A, invero, osserva che “la previsione di scenari alternativi da parte del testatore non è di per sé indice di una volontà di «sanzionare», non è valutabile sulla scorta di parametri economici in quanto espressione di una volontà del de cuius slegata da qualsiasi considerazione di carattere patrimoniale”. Sicché “pur nelle ipotesi in cui l’ereditando sia mosso da scopi «punitivi» per l’inattuazione spontanea di obbligazioni testamentarie, le singole disposizioni contenute nella scheda svolgerebbero comunque la propria funzione tipica a prescindere dal motivo soggettivo che le ha ispirate”.

Ne risultano escluse, conseguentemente, tutte le sanzioni che, previste dalla legge, siano irrogabili soltanto per via giudiziale, anche se previa esplicita domanda di parte (per le quali vedi infra, par. successivo); la pena privata si distingue, ancora, da quelle disposizioni codicistiche in cui l’effetto sanzionatorio, conseguente ad una data condotta antigiuridica, consista, non nel pagamento di una somma di denaro, ma nella privazione di (o decadenza da) un diritto114.

Parimenti da differenziare risultano quelle fattispecie di autotutela privata finalizzate non già a sanzionare la controparte, a fronte di un inadempimento o nel caso di situazioni predeterminate, ma a fungere da garanzia per l’adempimento di un’obbligazione, quali le ipotesi di ritenzione115 nonché i patti marciani116.

L’utilità della categoria di pena privata, come da noi intesa, è ravvisabile nella misura in cui, data la sua specificità, è idonea a raccogliere fattispecie caratterizzate da peculiarità davvero unificanti, così rendendo possibile l’inquadramento delle peculiarità delle pene private, nonché delle questioni problematiche sottese alla categoria117.

Ciò che connota le pene private così intese è, sotto il profilo strutturale, la loro riconduzione ad una dimensione interamente negoziale. Andranno, conseguentemente, indagati i limiti e

114 Si consideri la previsione di cui all’art. 1015 c.c., che prescrive la decadenza dall’usufrutto per

l’usufruttuario che abusi gravemente del suo diritto. In argomento, CARNACINI, Sull’abuso dell’usufruttuario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, I, 466; VENEZIAN, Dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione, in FIORE- BRUGI (diretto da) Il diritto civile italiano, II, Torino, 1936, 859. La dottrina appare incline a riconoscere alla disposizione un carattere eminentemente sanzionatorio, essendo la relativa irrogazione sganciata dalla deduzione di un pregiudizio in capo al nudo proprietario: BIGLIAZZI GERI, Usufrutto, uso, abitazione, in A. CICU-F.MESSINEO (diretto da) Tratt. dir. civ. comm., XI, Milano, 1979, 9.

115 Si pensi al diritto di ritenzione del riparatore per il saldo delle spese di riparazione e di manutenzione della

cosa, del carrozziere esercitato sul veicolo riparato ed in generale dell’artigiano nei confronti del committente inadempiente (fattispecie espressamente previste dall’art. 2756 c.c.); al diritto del locatore a trattenere le addizioni eseguite dal locatario, salvo la corresponsione a quest’ultimo di un’indennità di legge (art. 1593 c.c.); al diritto dell’usufruttuario nei confronti del proprietario che non saldi le spese sostenute dal primo per il mantenimento della cosa in usufrutto, per quanto di competenza del proprietario (art. 1011 c.c.); al diritto dello spedizioniere nei confronti del mandante nel contratto di trasporto; del mandatario nei confronti del mandante; del depositario nei confronti del depositante (in quest’ultimo caso, ad esempio, l’istituto di credito può impedire l’accesso alla cassetta di sicurezza del cliente che non saldi i canoni periodici: art. 2761 c.c. in combinato disposto con l’art. 2756 c.c.); al diritto dell’albergatore sui beni degli ospiti sino a che il conto non sia saldato (art. 2760 c.c.).

116 Su cui, ex multis, CIPRIANI, Patto commissorio e patto marciano. Proporzionalità e legittimità delle garanzie, Napoli, 2000.

117 Resta inteso, invero, che lo sforzo di sintesi in una categoria unitaria ha senso (e può essere di una qualche

utilità pratica) soltanto nella misura in cui essa (categoria) sia in grado di selezionare istituti caratterizzati da similitudini tali da connotarsi per i medesimi problemi di carattere applicativo, e quindi da rendere possibile l’applicazione di una disciplina uniforme.

l’estensione dell’autonomia privata, con riferimento alla sua idoneità a ideare delle pene private atipiche, nonché alla sindacabilità, per via giudiziale, del regolamento posto dai privati.

Non potendo, nella presente sede, approfondire compiutamente tali questioni, basti qui accennare che la potestà sanzionatoria dei privati è stata a lungo oggetto di valutazioni critiche da parte della dottrina. L’impostazione tradizionale era incline a negare poteri sanzionatori all’autonomia privata, al di fuori delle ipotesi già tipizzate dal legislatore118, paventandosi in caso contrario il rischio della lesione del principio di “parità reciproca”119. Superata tale diffidenza, la dottrina maggioritaria appare attualmente incline a riconoscere spazi per l’esplicazione di una potestà sanzionatoria dei privati120. Il problema diviene, allora, quello della individuazione dei relativi limiti.

Occorre all’uopo prendere le mosse dall’art 1321 c.c. che, come noto, consente ai privati, non solo di costituire ed estinguere, ma anche di “regolare” rapporti giuridici patrimoniali121, come l’esperienza della regolamentazione della società civile dimostra (si considerino gli statuti delle associazioni o delle società, ovvero i regolamenti condominiali, o ancora i contratti collettivi di lavoro)122. Tale legittimazione incontra, tuttavia, il limite della “patrimonialità della prestazione” di cui all’art. 1174 c.c., oltre che quello generale della necessaria disponibilità dei diritti oggetti di contrattazione, e, più in generale, i principi costituzionali di uguaglianza e solidarietà123. Dal principio di cui all’art. 3 Cost., dunque, si ricava la necessaria bilateralità della pena privata negoziale (che non può essere unilateralmente imposta), graduata secondo diverse intensità, a seconda dell’ambito in cui

118 MARINI, op. ult. cit., 9 ss.

119 Così, BIANCA, La responsabilità civile, cit., 127, il quale esclude l’ammissibilità di qualsivoglia pena

privata nel nostro ordinamento, siccome lesiva del principio di uguaglianza.

120 In materia, si ritiene oramai inconferente il richiamo all’art. 23 Cost., per mezzo del quale in passato si è

negato uno spazio all’autonomia sanzionatoria dei privati, siccome in contrasto col principio di tipicità costituzionalmente garantito. Di tipicità delle sanzioni civili discorrono: MARINI, op. ult. cit., 7; MAZZARESE,

op. ult. cit., 200, i quali rinviano a REDENTI, Diritto processuale civile, I, Milano 1952, 12, secondo cui “tutte le sanzioni, siano penali o civili, non si possono pensare come applicabili, se non in quanto comminate (e quindi prevedute) da norme giuridiche”.

121 In argomento, DEL PRATO, I regolamenti dei privati, Milano, 1988; CRISCUOLO, L’autodisciplina. Autonomia privata e sistema delle fonti, Napoli, 2000, 27 ss.

122 In argomento, GALGANO, Regolamenti contrattuali e pene private, in Contr. impr., 2001, 2, 509. 123 Circa i limiti della autonomia privata, nel quadro dell’assiologia del sistema anche sovranazionale delle

si manifesta la potestà punitiva negoziale124; dagli ulteriori principi si deduce, poi, l’inammissibilità delle pene private c.d. “morali”, le quali incidano sul diritto all’onore o alla reputazione della parte125, e quindi sugli indisponibili diritti della personalità di questa126.

Per tali ragioni, non è da considerare ammissibile la c.d. clausola penale c.d. pura, con la quale l’inadempiente è assoggettato al pagamento, tanto del risarcimento del danno, quanto della somma stabilita a titolo di penale127. Tale pattuizione, risolvendosi in un mezzo di sopraffazione del debitore inadempiente, è da ritenersi invalida128.

Diversamente deve concludersi con riferimento alla clausola penale c.d. successiva (con la quale le parti si vincolano a determinare i danni risarcibili in caso di inadempimento, escludendo il ricorso all’autorità giudiziaria), alla c.d. impropria (con cui si predetermina la prestazione in capo all’inadempiente, rimettendone la esigibilità alla produzione del

124 Così, la bilateralità è massima nell’ambito contrattuale (ove l’accettazione delle sanzioni si realizza per

mezzo dell’accettazione della clausola), intermedia in quello associativo (ove l’accettazione delle sanzioni è attuata nelle forme del metodo assembleare) e minima in quello testamentario (in cui essa si realizza per mezzo dell’accettazione dell’eredità o del mancato rifiuto del legato).

125 ZOPPINI, op. ult. cit., 220 ss.; GALGANO, Regolamenti contrattuali e pene private, cit., il quale rileva che

“non sono diritti disponibili il diritto all’onore e il diritto alla reputazione, siccome diritti della personalità, per loro natura indisponibili. Il contraente all’opposto ne dispone allorché si assoggetta all’applicazione di pene “morali”, come il rimprovero, il richiamo, la censura, l’ammonizione e simili, la afflittività delle quali sta proprio nella loro idoneità ad incidere sulla considerazione sociale della persona, sia essa persona fisica o persona giuridica, che è alla base dei predetti diritti della personalità, e tanto più idonee ad incidere sulla considerazione sociale della persona in quanto siano irrogate in forma pubblica e destinate ad essere divulgate con apposite forme di pubblicità.”

126 Solo la legge può derogare al limite, come fa, ad esempio, nel caso dell’art. 2106 c.c., che legittima il

“rimprovero verbale” del datore di lavoro.

127 V.M.TRIMARCHI, La clausola penale, cit., 11 ss, il quale ritiene che la clausola penale “pura” e quella

“non pura” costituirebbero un tipo unitario; MAGAZZÙ, op. cit., 187, il quale ammette la clausola penale pura, nel caso in cui le parti abbiano inteso derogare all’art. 1382 c.c., nella parte in cui riconosce un effetto