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Danno non patrimoniale: la questione

Capitolo III: Le molteplici funzioni del risarcimento del danno non patrimoniale

2- Danno non patrimoniale: la questione

Va rammentato che in coda all’enumerazione degli indici normativi legittimanti un ripensamento circa la tradizionale interpretazione in chiave monofunzionale della responsabilità civile, la Suprema Corte – nel corpo dell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite della questione circa la delibabilità di sentenze comminatorie di punitive damages – chiudeva con un’ultima notazione del seguente tenore: “quando l’illecito incide sui beni della persona, il confine tra compensazione e sanzione sbiadisce, in quanto la

determinazione del quantum è rimessa a valori percentuali, indici tabellari e scelte giudiziali equitative, che non rispecchiano esattamente la lesione patita dal danneggiato”540.

L’individuazione della funzione del risarcimento in parola non è agevole, in ragione di una molteplicità di fattori, tra cui spicca la stessa natura del danno non patrimoniale, la cui essenza mal si presta a concrete concettualizzazioni, e persino a condivise classificazioni definitorie541. Le difficoltà non diminuiscono quando si passa a considerare la tecnica di quantificazione del danno. La configurazione ontologica del danno in parola, invero, rende, da un lato, inapplicabile il risarcimento in forma specifica (eletto dall’art. 2058 c.c. a forma privilegiata di risarcimento) e, dall’altro, inadeguato quello per equivalente, il quale – anche se di consistente ammontare – è di per sé inidoneo a compensare in modo effettivo una lesione permanente all’integrità psico-fisica542.

540 Cass. 16.5.2016, n. 9978, cit.

541 Lo ha rilevato, da ultimo, la stessa Suprema Corte, a detta della quale (sent. 27.3.2018, n. 7513, su cui

vedi infra) “nella materia del danno non patrimoniale, infatti, la legge contiene pochissime e non esaustive definizioni; quelle coniate dalla giurisprudenza di merito e dalla prassi sono usate spesso in modo polisemico; quelle proposte dall’accademia obbediscono spesso agli intenti della dottrina che le propugna. Accade così che lemmi identici vengano utilizzati dai litiganti per esprimere concetti diversi, ed all’opposto che espressioni diverse vengano utilizzate per esprimere il medesimo significato. Questo stato di cose ingenera somma confusione, ed impedisce altresì qualsiasi seria dialettica, dal momento che ogni discussione scientifica è impossibile in assenza d’un lessico condiviso”. Richiamando la motivazione della Cass. sez. un., 15.6.2015, n. 12310, in Foro it., 2015, I, c. 3174, si enfatizza che la “esigenza del rigore linguistico come metodo indefettibile nella ricostruzione degli istituti è stata già segnalata dalle Sezioni Unite di questa Corte, allorché hanno indicato, come precondizione necessaria per l’interpretazione della legge, la necessità di «sgombrare il campo di analisi da (...) espressioni sfuggenti ed abusate che hanno finito per divenire dei «mantra» ripetuti all'infinito senza una preventiva ricognizione e condivisione di significato (...), (che)resta oscuro e serve solo ad aumentare la confusione ed a favorire l’ambiguità concettuale nonché la pigrizia esegetica»”.

542 Proprio per tale ragione, parte della dottrina dubita fondatamente della correttezza del riferimento, anche

linguistico, al “risarcimento”: Cfr., BONILINI, Il danno non patrimoniale, cit., spec. 262; R.SCOGNAMIGLIO,

Il danno morale, cit., 277; BENEDETTI, Sanzionare compensando, cit., 231; MAZZAMUTO, Il rapporto tra gli

artt. 2059 e 2043 c.c. e le ambiguità delle Sezioni Unite a proposito della risarcibilità del danno non patrimoniale, in Contr. impr., 2009, 593 ss, a detta del quale il più vistoso dei “tanti paradossi del danno non

patrimoniale” consiste nel “vedere affidato ad uno strumento intrinsecamente coerente a logiche di mercato qual è quello che si realizza” mediante “la condanna del responsabile al pagamento di una somma di denaro, il compito impegnativo di assicurare la tutela piena dei valori della persona”; MESSINETTI, Pluralismo dei

modelli risarcitori. Il criterio di «ingiustizia» tradito, in La funzione deterrente della responsabilità civile,

cit., 2, il quale osserva che “i valori personali, una volta lesi, in definitiva, non sono ricostruibili attraverso la traduzione e la rappresentazione di una prestazione pecuniaria o attraverso qualsiasi altro valore equivalente. […]. Sicché – come si evince facilmente – l’enunciato risarcitorio, visto nel peculiare campo degli enunciati normativi, non può svolgere alcuna funzione direttamente riparatoria, nella misura in cui detto termine è deputato a designare sostituzione e scambio di enunciati corrispondenti ed equivalenti”. Rilevava l’impossibilità di calcolare il danno non patrimoniale in modo compiuto e oggettivo già DE CUPIS, Il danno,

In ogni caso, trattandosi di danni insuscettibili di essere provati nel loro esatto ammontare, resta inteso che, nella quantificazione giudiziale, non potrà che farsi ricorso alla valutazione equitativa di cui all’art. 1226 c.c., applicabile anche all’illecito extracontrattuale in virtù del rinvio di cui all’art. 2056 c.c. Ne consegue che la mera constatazione – di cui all’ordinanza sopra citata – del ricorso a “valori percentuali, indici tabellari e scelte giudiziali equitative” nella determinazione del quantum, anziché rappresentare il punto d’emersione di una (ancorché non esclusiva) funzione sanzionatoria del risarcimento del danno non patrimoniale, costituisce un dato irrinunziabile della prassi liquidatoria in sede giudiziale, posto che, data la ineffabile natura del pregiudizio non patrimoniale, la sua traduzione in termini monetari non potrebbe che realizzarsi mediante lo strumento equitativo543. Il ricorso all’equità, dunque, è cifra caratteristica della liquidazione del danno non patrimoniale e, di per sé considerato, non importa necessariamente la finalità sanzionatoria, mirando (al contrario) proprio ad offrire compensazione per tutti quei pregiudizi che, per la loro natura, sarebbero altrimenti destinati a restare privi di ristoro544.

543 In argomento, Cfr., PONZANELLI, Lo sconvolgimento della vita nelle macrolesioni: rapporto tra tabelle e potere equitativo del giudice, in Foro it., 2011, I, c. 2723; ID.,Tabelle, prova del danno e concezione unitaria del danno non patrimoniale, in Danno resp., 2013, 597; ID.,Risarcimento giusto e certo tra giudici e legislatore, in Riv. dir. civ., 2010, II, 556; FRANZONI, Tabelle nazionali per sentenza, o no?, in Corr. giur., 2011, 1087; VISINTINI,Cos’è la responsabilità civile, cit., 277. Si veda anche CASTRONOVO, Sentieri di

responsabilità civile europea, in Eur. dir. priv., 2008, 805, il quale osserva che “l’innesto del danno non

patrimoniale nelle strutture della responsabilità civile significa l’ascrizione alla logica risarcitoria anche di tale danno, nonostante esso sia di per sé insuscettibile della liquidazione per equivalente. L’aporia nella quale è venuto a trovarsi il danno non patrimoniale nel momento in cui, per diventare risarcibile, ha dovuto tradursi in una somma di denaro, ha suggerito, di quando in quando, letture penalistiche della responsabilità che lo riguarda, le quali sono potute sembrare lo sbocco coerente di un danno di per sé non suscettibile dell’apprezzamento patrimoniale consustanziale al risarcimento. Esse sono però frutto del non adeguato apprezzamento del significato dell’innesto del danno non patrimoniale nelle strutture della responsabilità civile con la totale depurazione di esso delle scorie originarie dell’actio iniuriarum e della sua natura penalistica. Tale significato consiste nel considerare il danno non patrimoniale come se esso fosse traducibile per equivalente in una somma di denaro negli stessi termini del danno patrimoniale. Equiparato, cioè, il danno non patrimoniale a quello patrimoniale, da sempre apprezzabile in danaro e perciò risarcibile, anche il primo diventa risarcibile. L’organo di tale transustanziazione diventa inevitabilmente il giudice, al quale viene affidato il compito di trasformare quella riparazione del danno non patrimoniale in risarcimento, il quale in essenza esigerebbe la patrimonialità”.

544 Sul carattere della valutazione equitativa, che non si traduce in arbitrio del giudice, ma mira ad assicurare

una adeguata valorizzazione delle peculiarità (irriducibili a standardizzazione) della persona umana, e che deve essere orientata dai criteri di proporzionalità e ragionevolezza: P.PERLINGIERI, L’art. 2059 c.c. uno e

bino: una interpretazione che non convince, in Rass. Dir. civ., 2003, 3, 573; G. PERLINGIERI, Profili

applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015, spec. 85 ss; G.PERLINGIERI –G.ZARRA, Ordine pubblico interno e internazionale, cit., 166 ss.

La sanzione, in definitiva, non può risiedere nella semplice impossibilità di stabilire una esatta correlazione tra estensione del danno e misura del suo risarcimento. Una curvatura sanzionatoria potrebbe, invece, ravvisarsi allorquando – sotto il profilo dell’imputazione (fase dell’an respondeatur) – il giudice assuma a parametro idoneo a fondare il giudizio di responsabilità non la sussistenza di un danno ingiusto, quanto, invece, l’illecito in sé considerato, così facendo della punizione del danneggiante (in luogo del ristoro del soggetto leso) la finalità del proprio giudizio; allo stesso modo – sotto il profilo del quantum debeatur – allorquando sia evidente (anche se non dichiarato dal giudice expressis verbis) il sistematico ricorso alla ultracompensazione: quando, in altri termini, il risarcimento venga misurato, non sulla entità dei pregiudizi residuati in capo al soggetto leso, ma, invece, su indici altri, quali la “condotta del danneggiato”, la “gravità del fatto”, la “intensità del dolo o della gravità della colpa”, o, infine, le “condizioni economiche delle parti”.

Il panorama dottrinale sul tema risulta variegato. Taluno ha ribadito la esclusiva funzione compensativa del rimedio in questione, “trattandosi del medesimo risarcimento che consegue al danno patrimoniale, al quale è sistematicamente assimilato all’interno del lib. IV, tit. IX, c.c.”545. Altri, ravvisando l’inconciliabilità ontologica del danno non

Mette in guardia dal rischio dello sconfinamento, per via giudiziale, in liquidazioni contraddistinte da una “equità individuale” del singolo giudicante, il quale rischia di essere “tendenzialmente insofferente a limiti o a condizionamenti e più propenso a aumentare che ridurre il livello del risarcimento”, PONZANELLI, Alcune

considerazioni sul livello italiano del risarcimento del danno alla persona, in NGCC, 2019, 3, 558; ID.,

Risarcimento del danno alla persona: San Martino 2019 si allontana da San Martino 2008 e conferma gli equilibri risarcitori del 2018, in Danno resp., 2020, 1, 65.

545 CASTRONOVO, Responsabilità civile, cit., 190. L’A. afferma che “l’associazione del danno non

patrimoniale a un’idea sanzionatoria della responsabilità civile ebbe storicamente come sua seconda caratteristica un atteggiamento antagonistico all’appiattimento della colpa nell’unità della figura che nel caso del codice civile italiano, secondo quanto ci dice la Relazione, faceva piazza pulita dei gradi diversi della colpa stessa: in contrasto con tale livellamento, la funzione sanzionatoria della responsabilità civile fu teorizzata come inscindibilmente legata all’idea che proprio al diverso grado della colpa dovesse essere commisurato il risarcimento, in questo senso elogiandosi la soluzione del codice delle obbligazioni svizzero contenuta in quell’art. 43, co. 1. Se però questa poté essere la logica, in senso contrario se ne dovrebbe inferire che in un sistema come quello italiano, che non distingue più tra i diversi gradi della colpa, la pretesa funzione sanzionatoria della responsabilità civile ne risulta implicitamente rifiutata. Non si vede allora come, ove si consideri la totale inclusione nella disciplina unitaria del tit. IX, libr. IV c.c., questa funzione possa riguardare il danno non patrimoniale secondo una pretesa coincidenza, con tale funzione, dell’insuscettibilità di valutazione economica che lo caratterizza originariamente. Se dunque il risarcimento del danno patrimoniale, nel ripagare il danneggiato per la perdita inflittagli con il fatto illecito, svolge un’indubbia funzione riparatoria, così non può non essere anche per il danno non patrimoniale, ove l’irriducibilità originaria in somma di denaro di ciò che è altro dal patrimonio significa soltanto che la funzione riparatoria viene svolta in maniera diversa”. ID., Del non risarcibile aquiliano: danno meramente patrimoniale, c.d. perdita di

patrimoniale con l’idea del risarcimento misurato secondo il criterio dell’equivalenza economica, evoca la finalità eminentemente satisfattiva del rimedio in parola546. La soddisfazione si spiegherebbe, in certe ipotesi, in un’ottica solidaristica: in tali casi, l’ordinamento valuterebbe l’opportunità che la vittima riceva un beneficio economico, da intendersi quale espressione della solidarietà nei suoi confronti, da parte del soggetto cui il danno sia riferibile (come accade nel caso del danno biologico), ovvero quale riconoscimento del diritto della vittima, offesa dal comportamento lesivo (come accade nel caso della lesione dei diritti della personalità)547. Solo nel caso della responsabilità civile da reato – nella quale il grado di antigiuridicità della condotta diviene criterio esclusivo di

chance, danni punitivi, danno c.d. esistenziale, cit., 334, definisce il risarcimento punitivo un “ossimoro”, giacché al risarcimento punitivo “per definizione non corrisponde una perdita del danneggiato”.

Esclude che il risarcimento del danno non patrimoniale possa perseguire una funzione punitiva anche P. TRIMARCHI, Responsabilità civile punitiva?, cit., 700 ss, il quale assume che – semmai – si potrebbe “dire che la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale ha un effetto punitivo (ma ciò può dirsi anche per il risarcimento del danno patrimoniale); non è corretto, invece, parlare di carattere, o funzione, punitiva, perché la responsabilità in questione, che la legge (art. 2059 c.c.) configura come responsabilità per un «danno» non patrimoniale, non è strutturata come una punizione”. Pur riconoscendo che “quando si tratta di illeciti lesivi dell’onore, o che incidano nella sfera degli affetti, la sofferenza morale può dipendere anche dalla malignità del responsabile, o dalla reiterazione dell’illecito” l’A. assume che “qui la «punizione» è aggravata perché è aggravato il danno, il che rientra nella normale logica della responsabilità civile per danni e non attiene alla proposta innovazione di una pena civile pagata al soggetto leso, al di là del danno che questi abbia subito, a scopo afflittivo e esemplare”. Cfr. anche ID., La responsabilità civile, cit., 9 ss. L’opinione

monofunzionale è condivisa da MONTANARI, Del «risarcimento punitivo» ovvero dell’ossimoro, in Eur. Dir.

priv., 2019, 2, 378; SPOTO, Risarcimento e sanzione, ivi, 2018, 495.

546 Questa è l’opinione di FRANZONI, Il danno risarcibile, cit., 626 ss. L’A. osserva che la nozione normativa

di danno consente di catalogare come perdita anche quella non patrimoniale; preso atto che quest’ultimo in senso tecnico non può essere compensato, egli ravvisa nella funzione solidaristica la finalità sottesa al relativo risarcimento. Invero “qui non è possibile riportare la situazione nelle medesime condizioni esistenti prima del fatto; si può soltanto soddisfare pecuniariamente la vittima per il disagio patito in conseguenza di quel fatto. Ciò sul presupposto che, nella comune considerazione, per garantire la solidarietà sociale nei rapporti interpersonali (art. 2 Cost.), occorre tutelare l’interesse della persona di non vedere violata la sfera della propria personalità o la possibilità di realizzarla in futuro, dunque di non subire la perdita della qualità della vita”. La funzione solidaristico-satisfattiva del risarcimento in parola, in sostanza, “non intende ridare alla vittima il controvalore della perdita, ciò sarebbe impossibile: ma intende consegnarle una somma che le consentirà di vivere meglio”. Ciò non implica, tuttavia, l’attribuzione al rimedio di una finalità punitiva della condotta dell’autore del fatto, posto che “la pronuncia di condanna resta sempre ritagliata a misura del disvalore subito dalla vittima, socialmente non accettabile, non della particolare gravità della condotta dell’autore”. Una funziona prettamente – ma non esclusivamente – sanzionatoria è attribuita dall’A. al solo

pretium doloris di cui all’art. 185 c.p., risarcibile ex art. 2059 c.c. Al risarcimento del danno morale

conseguente al reato l’A. riconosce la natura di sanzione civile punitiva, “espressione di un potere di autoregolamentazione dei privati che si attua in conseguenza del potere di iniziativa lasciato alla vittima, ma realizza altresì lo scopo di scoraggiare certi comportamenti attraverso la punizione”.

imputazione – il risarcimento si caratterizzerebbe per una funzione eminentemente punitiva548.

Non mancano voci – anche consistenti nel numero – inclini a qualificare il risarcimento del danno non patrimoniale quale “pena privata”549, o “danno punitivo”550, o che, più in generale, esprimono l’irriducibilità del danno non patrimoniale alla logica compensativa551;

548 Ibidem. L’A. conclude osservando che, a fronte della unitarietà ontologica e funzionale (compensativa)

del risarcimento del danno patrimoniale, quello non patrimoniale “esprime una forma di tutela differenziata rispetto all’altra non solo nei presupposti normativi, ma anche nella funzione; che si rivela poi eterogenea, oltre il dato normativo unitario costituito dalla circostanza che la riparazione si presenta come peculiare tecnica di tutela successiva nei confronti della lesione di interessi protetti”. BENEDETTI, Sanzionare

compensando, cit., 227 reputa difficile “negare che il danno non patrimoniale rechi una componente

sanzionatoria”, anche “con riferimento alla più moderna lettura costituzionalmente orientata”, sicché si potrebbe ben dire che “il danno non patrimoniale (…) compensa e sanzione, o, forse, sanziona e compensa; in tema, anche G.PERLINGIERI, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015, 85, il quale, considera l’art. 2043 come “norma centrale” relativa a qualsiasi danno (patrimoniale e non, purché ingiusto) e limita “la funzione dell’art. 2059 c.c. a quella sanzionatoria e il suo ambito applicativo alle sole ipotesi di danno morale soggettivo”; AFFERNI, La riparazione del danno non patrimoniale nella

responsabilità oggettiva, in Resp. civ., 2004, 862; AGRIFOGLIO, Risarcimento e quantificazione del danno da

lesione della privacy: dal danno alla persona al danno alla personalità, in Europa dir. priv., 2017, 1265;

SIRENA, Dalle pene private ai rimedi ultracompensativi, in Studi in onore di Cesare Massimo Bianca, Milano 2006, IV, 825; F.SCA BENATTI, Correggere e punire, cit., spec. 348 ss; EAD., La circolazione dei danni

punitivi: due modelli a confronto, in Contr., impr., 2012, 263 ss; C.SCOGNAMIGLIO, La funzione deterrente

della responsabilità civile, cit., 295, argomenta circa la funzione sanzionatoria del risarcimento del danno

morale nel caso di fatto illecito doloso, rilevando che – negli altri casi – il risarcimento del danno morale è deputato al “riconoscimento simbolico del valore attribuito alla persona e di riconoscimento sul piano sociale della ingiustizia della sua violazione”; M. ASTONE, Responsabilità civile e pluralità di funzioni nella

prospettiva dei rimedi, cit., 287.

549BONILINI, Il danno non patrimoniale, cit., 272 e ss. e 296 e ss., il quale, accertata la funzione prettamente

sanzionatoria del danno in questione, rileva la necessità di misurarne la liquidazione con riferimento alla “gravità dell’elemento psicologico che informa l’illecito e le condizioni patrimoniali del danneggiante”, così da realizzare una “riparazione idonea a realizzare la funzione affittiva, ma, prima ancora, a coadiuvare quel fine di deterrenza che gli istituti giuridici dovrebbero perseguire in via primaria” (pag. 88); BUSNELLI, Verso

una riscoperta delle “pene private”?, cit., 26 e ss.; GALGANO, Alla ricerca delle sanzioni civili indirette:

premesse generali, cit., 531 e ss.; CENDON, Il profilo della sanzione nella responsabilità civile, in Contr.

impr., 1989, 886 e ss.; PONZANELLI, voce “Pena privata”, cit.,, 1 e ss.; GALLO, Pene private e responsabilità

civile, cit., 96; BARATELLA, Le pene private, cit., 85 e ss.; LANDINI, La condanna a danni punitivi tra penale

e civile: la questione rimane attuale, in Dir. pen. proc., 2017, 262 e ss.

550 GRONDONA, L’auspicabile “via libera” ai danni punitivi, il dubbio limite dell’ordine pubblico e la politica del diritto di matrice giurisprudenziale, in Dir. civ. Cont., 31 luglio 2016, per il quale “il danno

punitivo è già presente, forse sotto mentite spoglie, nel nostro ordinamento, se non altro rispetto al pregiudizio non patrimoniale” Così anche PALISI, Il danno morale soggettivo: il vaso di coccio nel nuovo danno non

patrimoniale? in Resp. civ. prev., 2005, spec. 798 ss.

551 C. SCOGNAMIGLIO, Le Sezioni Unite ed i danni punitivi: tra legge e giudizio, cit., 1109 rileva che

nell’ambito in esame “la concezione monofunzionale della responsabilità civile pare davvero insuscettibile di essere affermata”, in considerazione del rilievo per il quale “un risarcimento inteso come un «rimettere

né può tacersi l’opinione di quanti – in una posizione intermedia – valutata la inadeguatezza della Differenztheorie552, rileva l’impossibilità di ricondurre il risarcimento del danno in parola ad un paradigma unitario, osservando come le regole della responsabilità civile, rispondendo ad esigenze differenti (da quella retributiva a quella distributiva) impongano soluzioni rimediali plurime, compresa quella autenticamente afflittiva553.

Stante la eterogeneità delle posizioni, si ravvisa la necessità di tentare una sistematizzazione del panorama giurisprudenziale (che, soprattutto con riferimento al danno non patrimoniale, è di consistenza notevole)554.

insieme» l’unità strutturale e funzionale del bene, incisa dal fatto lesivo non è neppure in astratto configurabile quando il bene soppresso o alterato sia intrinsecamente refrattario a quest’operazione e, più in generale ancora, quando il pregiudizio che si è verificato non è immediatamente riconducibile ai circuiti valutativi propri di un'economia di mercato e, dunque, non può trovare in essi componimento”.

552 Per un quadro di tale teoria – per la quale il danno consisterebbe nella mera differenza tra l’ammontare

del patrimonio antecedentemente e successivamente all’illecito – si rinvia a A.GRAZIANI, Appunti sul lucro

cessante, in ID., Studi di diritto civile e commerciale, Napoli, 1953, 249 ss.

553 P.PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-europeo delle fonti,

IV, cit. 317, il quale puntualizza che “la varietà delle esigenze, pertanto, in chiave teleologico-funzionale, implicherà in alcuni casi un bilanciamento, in altri una neutralizzazione, in altri ancora una reazione alla