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Conclusione La sacralizzazione del cibo

Nel documento Food Cultures and Law (pagine 178-187)

L’alimentazione si adegua ai contesti economici e culturali non solo attraverso la democrazia, ma anche attraverso processi la- vorativi e culturali autonomi. Le diverse lavorazioni e le diverse culture alimentari hanno peraltro da sempre radici religiose, tan-

to profondi quanto ignorate. Anche per questa ragione, le partico- lari fonti religiose del diritto alimentare sono state fatte rientrare sotto l’ombrello della libertà religiosa dell’art. 9 CEDU33. Non

solo per effetto delle religioni, anche per effetto dei diritti umani, la sacralizzazione del cibo può dare luogo a controversie giu- ridiche. Questo è evidente quando i precetti religiosi rischiano di collidere con un’altra sacralizzazione, quella dei diritti della natura e del welfare degli animali. In una visione più globale dei problemi del diritto al cibo in una umanità ancora destinata a cresce demograficamente fino alla soglia dei 10 miliardi, anche lo sviluppo delle tecnologie agroalimentari genera conflitti tra nuove profezie apocalittiche che paventano la distruzione della terra e dell’ambiente naturale e nuove magie di miracoli mefi- stofelici sul modello degli organismi geneticamente modificati34

che promettono la fine delle paure e i conflitti di distribuzione del cibo stesso.

Nell’induismo, l’alimento è sin dall’epoca vedica simbolo della materia organica prima dalla quale le creature nascono, si mantengono e nella quale ritornano. L’uomo è ciò che mangia. Il cibo condiviso si moltiplica, ma più si sale nella gerarchia so- ciale, più esige segregazione… e apre le cucine dei tempi Sikh. La purezza del brahmano si basa sulla pratica vegetariana e l’a- stensione dall’alcool, mentre chi mangia carne sarà esso stesso mangiato nell’aldilà. Il sacrificio è oblazione nel fuoco di sostan- za alimentare e gli uomini mangiano solo i resti del pasto delle divinità. Si può scegliere un percorso ascetico che può portare fino alla sua morte, altrimenti occorre farsi cremare come se fos- se una cottura per i dei35.

33. Corte EDU, sent. 17 marzo 2014, Vartic c. Romania, ric. 14150/08. 34. Cf. da ultimo P. costanzo (a cura di), Organismi geneticamente modifi- cati, Genova University Press, 2016.

Nell’ebraismo, il cibo è dono di Dio (Gen, 1, 29; Es 16, 14- 15) che esige una benedizione (berakah). La terra promessa d’I- sraele è «dove scorre latte e miele». Le norme di quello che è kasher, cioè del cibo “adatto” nei libri del Levitico e del Deute- ronomio impongono una dettagliata disciplina del mangiare e del digiunare, vietando innanzitutto di mangiare la carne con la sua vita, cioè con il suo sangue, e il grasso degli animali36. La ritua-

lità della macellazione ebraica fu oggetto nel 1855 di un primo processo penale a carico di un macellaio ebreo per crudeltà nei confronti degli animali37.

Nel cristianesimo, il padrenostro invoca il dono divino del pane quotidiano, ma vede nel Vangelo di Giovanni (Gv. 6) anche Cristo come «pane vivo disceso dal cielo». Le regole alimentari sono superate attraverso la loro critica: «Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può contaminarlo, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna?» Si degradano in raccomandazioni sociali quando si offrono carni sacrificate agli idoli da altre religioni (Cor. 8, 9-13). «Perciò è bene non mangiare carne, né bere vino, né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi» (Rom. 14, 21). Si rafforza invece il dovere sociale della condivisione del cibo nell’unico miracolo cristiano – forse ripetuto per i pagani – della moltipli- cazione dei pani e dei pesci (Mt 15, 32-39, Marco 8, 1-10). Si sacralizza infine nell’eucarestia di pane e vino, nella tradizione duismo, in: P. Macchia (a cura di), La persona e l’alimentazione, Roma 2014, 183ss.

36. Cf. C. Martone, Le norme alimentari ebraiche, P. Macchia (a cura di), La persona e l’alimentazione, Roma 2014, 161ss.

37. Cit. da A. Ferrari, Cibo, diritto, religione. Problemi di libertà religiosa in una società plurale, in: Stato, Chiese e pluralismo confessionale 15/2016; www.statoechiese.it; A.G. chizzoniti, La tutela della diversità: cibo, diritto, religione, in: A.G. chizzoniti e M. taLLacchini (a cura di), Cibo e religione: diritto e diritti, Roma 2010, 19ss.

ebraica del sedere sul modello dell’ultima cena (Mt 26, 26-28; Mc. 14, 22-24; Lu 22, 19-20; 1 Corinzi 11, 23-25), sulla cui inter- pretazione si sono successivamente divisi i riti cattolici, bizantini e protestanti38.

Per l’islam infine, vanno rifiutati sia i precetti ebraici, criticati perché non di fonte divina, ma sostituiti da altri quale il divieto di carne di maiale (Corano II, 173), di sangue (II, 174) e di vino (V, 90s.). A questi divieti si aggiunge l’obbligo di digiuno del ra- madan (II, 183ss) e l’obbligo della certificazione halal, anche se il Corano riconosce che «Vi è lecito il cibo di coloro cui fu dato il libro» (V, 5). Il principio generale del diritto alimentare islamico è sempre la moderazione: «Mangiate e bevete ma senza eccessi, ché Allah non ama chi eccede» (VII, 31)39. Se si prescinde dai

datteri mangiati alla fine del Ramadan, forme di cibo sacralizzate si trovano tuttavia più nelle culture islamiche asiatiche.

Sotto il denominatore multiculturale comune del “diritto al cibo” (e dell’acqua) coesistono non solo varie consuetudini pa- gane e precetti religiosi più o meno ortodossi, ma anche visioni religiose e filosofie laiche, a partire da quelle del cibo biologico. Il cibo può essere strumento di una felicità immateriale, ma an- che di un semplice piacere materiale. Il diritto all’alimentazione adeguata deve garantire non già il successo, ma la libertà inte- sa come possibilità effettiva della ricerca di felicità e di piacere. Questa garanzia deve pertanto offrire paletti robusti contro gli ostacoli che rendono questa ricerca impossibile e che causano l’infelicità della fame o i disagi dell’alimentazione inadeguata. In ultima analisi, il diritto all’alimentazione “adeguata” così inteso

38. Cf. S. sicarDi, Protestantesimo ed alimentazione: libertà del cristiano e morigeratezza, in: P. Macchia (a cura di), La persona e l’alimentazione, Roma 2014,123ss.

39. R. aLuFFi, L’alimentazione nell’Islam, in: P. Macchia (a cura di), La persona e l’alimentazione, Roma, 2014, 173ss.

sembra concorrere a quella sacralizzazione della persona che è intesa dal riconoscimento della sua pari dignità sociale e che ha come conseguenza procedurale lo stesso riconoscimento della democrazia e un minimo di ottimismo nel suo consolidamento.

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hiLaL eLver

soMMario: 1. Introduction; 2. Hunger and War; 3. Food as a Weapon of War, Famine as a Crime against Humanity; 4. Humanitarian Emergency System

1. Introduction

Despite decades of economic growth and development, the world continues to be haunted by the specter of mass starvation. Food insecurity and malnutrition remain a universal challenge for rich as well as poor countries. In conflict-torn regions, famine is the most severe form of food insecurity. Last year, the United Nations added South Sudan to northeast Nigeria, Somalia and Yemen as countries with catastrophic famine conditions. This marked the first time since World War II that four countries were simultane- ously under such threat. The number rose to five in 2018 when the Democratic Republic of Congo was added to the list, along with Burmese Rohingya in Bangladesh refugee camps. Accord- ing to the 2018 Global Report of Food Crises, current food crises requiring urgent humanitarian action reached 124 million people in 51 countries, an increase of 40 percent since 2015.

While the nature of food crises differ greatly, they all stem from man-made causes, such as armed conflict, political turmoil, or extreme weather events. Hunger and starvation kill approxi- mately nine million people every year, more than malaria, tuber- culosis and HIV/AIDS combined. More than 1.5 million children

are at imminent risk of death, and five to six million children die every year from malnutrition and related diseases. Child malnu- trition, even for a short period, has lifelong consequences.

Famine is only the tip of the hunger and malnutrition iceberg. Even in the richest countries, food insecurity is pervasive. For instance, in the United States, 49 million people are food inse- cure and in the United Kingdom, after recent austerity measures were instituted, food insecure people increased to approximately five million. Obesity, misconstrued as the opposite of hunger, re- cently has come to be recognized as a form of malnutrition and a universal epidemic. Approximately 1.9 billion people are obese, and this is increasing in all regions, including Africa; in the Unit- ed States, 40 percent of adults are obese.

Ironically, while hunger and malnutrition increase globally, per capita food availability has also increased significantly. The world produces enough to feed ten billion people—more than 1.5 times the food to feed everyone on the planet. But people making less than $2 a day—most of whom are resource-poor farmers cultivating small, unviable plots of land and fisher folks living in highly vulnerable coastal zones—can’t afford to buy this food.

In a world of plenty, hunger and poverty are intertwined. In poor countries, 60 to 80 percent of family budgets go to food, as opposed to ten to 15 percent in richer countries. The poor suffer not only the lack of money but also higher food costs. Half of the world’s extreme poor live in rural areas of Sub-Saharan Africa, mostly employed in the agricultural sector, and over half are un- der 18 years of age. Further, over 75 percent of the world’s poor- est depend on natural resources to sustain their livelihoods, and most of them are subsistence farmers, making them especially vulnerable to climate change-related natural disasters. They are typically more exposed to natural hazards, lose a greater portion of their wealth, and are unable to draw on support from fam-

ily, friends, financial systems or even their governments. As a result, natural disasters may exacerbate gender-based violence, including sexual violence and the risk from diseases. The direct and indirect impacts of extreme weather events such as floods, droughts, desertification, hurricanes, wildfires, tsunamis and earthquakes contribute to hunger and malnutrition. Almost 80 percent of the weather-related disasters are associated with cli- mate change. The frequency and intensity of such disasters has almost doubled in the past decade, now averaging 335 events annually.

Nel documento Food Cultures and Law (pagine 178-187)