Nella satira X di Giovenale, si anticipa l’idea della liberazione della plebe dalla paura tramite le istituzioni repubblicane della lex frumentaria e dello spettacolo pubblico, una politica popolare (e populista) che prelevava il grano dalle province delle isole, asiatiche ed africane, in particolare dall’Egitto, e degradava i uo- mini a giocatoli viventi:
[…] duas tantum res anxius optat
panem et circenses [...] due sole cose ansiosamente desidera: pane e giochi circensi
Se si confronta questa massima sarcastica della politica re- pubblicana romana con la serietà delle rivendicazioni di food democracy, qualche dubbio e interrogativo sulle differenze sor- gono. Innanzitutto vi è una differenza del sistema economico di- ventato capitalista e basato sulla libertà di scelta individuale di produttori e consumatori. In secondo luogo vi è una differenza nel sorgere dello Stato territoriale moderno, la cui sovranità è percepita di fatto in crisi multipla, ma non disgregata né dalle società nazionali, né dalle comunità internazionali e solo tra- sformata in forme ritenute maggiormente democratiche. La cd. sovranità alimentare è considerato un nuovo diritto collettivo, apparentemente derivato da quelli allo sviluppo e all’ambiente dell’ultima generazione e tuttora oggetto di lotta politica. Basta ricordare non solo il movimento più culturale di Arcigola fondato da Carlo Petrini nel 1986 e reso internazionale come slow food
a difesa del “diritto al piacere” nel 198926. Sempre nel 1986 vie-
ne fondato anche la Food First Information and Action Network (FIAN) come prima organizzazione mondiale a difesa del diritto al cibo. Altre radici sono quelle di rivendicazione della sovranità alimentare da parte della Via Campesina (1993)27 cui ha fatto eco
“Food Democracy Now” fondato nel 2008 negli Stati Uniti che si definisce «grassroots community dedicated to building a sustai- nable food system that protects our natural environment, sustains farmers and nourishes families»28.
Il nesso funzionale tra democrazia e diritto all’alimentazione adeguata era stato scoperto già da Amartya Sen nel lontano 1981:
No major famine has ever occurred in a functioning democracy with regular elections, opposition parties, basic freedom of speech and a rel- atively free media (even when the country is very poor and in a serious- ly adverse food situation).29
Non si muore semplicemente per la mancanza di cibo, ma per ca- renza di politiche pubbliche (re-)distributive e per disastri umani. Sotto il profilo delle pratiche di ragione e di passione politica, la stessa democrazia si rivela in questa ottica una garanzia procedu- rale del diritto a non morire di fame, e forse anche del più ampio
26. Su cui cf. la critica mite di G. zagreBeLsKy, Due concetti costituzio- nali: sovranità alimentare ed olismo, in: di B. Biscotti,El. LaMarque, Cibo e acqua. Sfide per il diritto contemporaneo, Torino 2015, 1ss., cui ha replicato C. Petrini, Cibo e diritto mite, in: A. giorgis, E. grosso, J. Luther (eds.), Il costituzionalista riluttante, Torino 2016, 159ss.
27. Via Campesina, The right to produce and access to land. Food Soverei- gnty (Statement for World Food Summit), Rome 1996: «the right of each nation to maintain and develop its own capacity to produce its basic foods respecting cultural and productive diversity».
28. https://www.fooddemocracynow.org/about/
29. Cit. da A. sen, The Idea of Justice, London 2009, 338 ss., 389 ss.; id. Poverty and Famines: An Essay on Entitlement and Deprivation, Oxford, 1981.
diritto ad un’alimentazione “adeguata” attraverso gli stessi ra- gionamenti che reggono in modo non meccanico la democrazia.
Si tratta di una visione ottimistica della democrazia alimentare come democrazia anche non asociale, anzi di una democrazia inclu- siva, ma questa visione potrebbe anche privilegiare una prospettiva più “étatiste” o stato-centrica delle politiche alimentari. Le politiche alimentari dell’Unione Europea e i vincoli del commercio interna- zionale sono notoriamente percepite come dotate di minore legitti- mazione democratica e restrittive per gli spazi della responsabilità politica nelle democrazie nazionali. Sen è lucido nel vedere nello Stato non solo il salvatore dalla fame ma anche un malfattore che minaccia con i propri poteri normativi le libertà ed abilità di autoali- mentazione. Poteva prevedere magari l’ascesa dei partiti verdi nelle democrazie europee, ma forse non le insidie della post-democrazia, le difficoltà di legittimazione e di responsabilità democratica delle politiche alimentari che producono montagne di latte, sdoganano OGM e non riescono ad arginare il land grabbing da parte di impre- se multinazionali, anche a livello supra- e internazionale.
Olivier de Schutter ha cercato di approfondire ulteriormente gli ideali della food democracy, individuando alcune caratteristi- che e tendenze di sviluppo dei sistemi alimentari sviluppatesi30.
Innanzitutto, costruirebbe ponti comunicativi tra il mondo degli agricoltori e dei consumatori attraverso sistemi locali autodeter- minati e opposti alle logiche della globalizzazione. Le scelte dei consumatori partecipano al disegno di sistemi alimentari («Pe- ople seek to co-design food systems, to participate in shaping them, to recapture them»). Attraverso le scelte delle politiche alimentari a scuola e nei consigli locali si creerebbe una nuova
30. O. De schutter, Food Democracy North and South (2015), reperibile all’indirizzo: http://www.milanfoodlaw.org/wp-content/uploads/2015/03/15- 03-22-Food-Democracy-South-And-North1.pdf
cittadinanza sociale, si premierebbe la resilienza al posto dell’ef- ficienza e si compierebbe una sorta di rivoluzione verde “agro-e- cologica”. Se i cittadini reclamano e riprendono il controllo sui sistemi alimentari, «Food democracy is both an end in itself, a way to deepen democracy beyond the ritual of elections, and a means to ensure that the general interest shall not be sacrificed on the altar of narrowly defined economic interests.»31.
Forse la realtà politica globale non può non rimanere indie- tro rispetto a questi ideali ottimisti di una democrazia verde da costruirsi come democrazia partecipativa oltre che elettorale e identitaria, non solo in loco ma su tutti i livelli di governo.
De Schutter aveva esaltato un “modello romano” realizzato dalla riforma del “Committee on World Food Security” del 2009 che aveva riconosciuto il cibo come un nuovo bene pubblico globale, creando un apposito “Civil Society Mechanism” come strumento di monitoraggio. e apprendimento collettivo. La food democracy sembrava una conseguenza del diritto allo sviluppo e del progresso nella realizzazione di tre garanzie dei diritti umani anche sul piano del diritto internazionale:
1. l’elaborazione di indicatori di standards sostanziali di tu- tela, da implementare anche agli obblighi extraterritoriali degli Stati e alle responsabilità delle imprese,
2. la istituzionalizzazione di discorsi e dialoghi idonei a pro- muovere la realizzazione piena dei diritti,
3. una governance capace di elaborare concreti piani di azione32.
31. O. De schutter, A Food Policy for Europe (26.9.2017), reperibile all’indirizzo: https://www.greeneuropeanjournal.eu/a-food-policy-for-europe/
32. O. De schutter, The Reform of the Committee on World Food Securi- ty: the Quest for Coerence in Global Governance, in: N. LaMBeKetaL. (eds.), Rethinking Food Systems, Dordrecht 2015, 219ss.
L’ideale della multilevel food democracy sembra implica- re una democrazia partecipativa, terza o mista rispetto a quelle rappresentative ed identitarie, e una democrazia potenzialmen- te anche “transnazionale”. Si può istituzionalizzare attraverso strumenti di indirizzo e controllo di un “pubblico” di cittadini con vocazioni anche cosmopolitiche, volonterosi di partecipare attivamente al disegno dei sistemi alimentari in loco, statu vel mundo, capaci di decifrare indices e linguaggi tecnici, con una rappresentanza istituzionale di interessi mediati in consigli aperti ad associazioni ed alleanze di piccoli produttori e consumatori. Una rappresentanza che forse potrebbe farsi anche senza o contro i partiti politici, superare le ineguaglianze e la frammentazione delle istituzioni, snellire le istituzioni e prevenire la corruzione dei politici e professori che fanno buffet a spese della collettivi- tà? Forse anche questo “ottimismo di scopo” della democrazia alimentare rischia di fidarsi troppo della volontà della pancia e di non riuscire a scardinare lo scetticismo della ragione.
Infatti, la “democrazia alimentare” rischia di illudere. Non solo la democrazia da sola non nutre, anche il diritto al cibo non neces- sariamente alimenta la democrazia. Il diritto al cibo “adeguato” lascia margini di discrezionalità alla democrazia, ma difficilmente l’adeguatezza del cibo potrà essere decisa a maggioranza. La stes- sa democrazia può adeguarsi alla fame, ma l’esperienza romana insegna che la fame non necessariamente alimenta la democrazia.