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I molti possibili volti del diritto al cibo

Nel documento Food Cultures and Law (pagine 47-55)

Alimentarsi non è un fatto meramente biologico: al contrario, si tratta di un fatto anche (e forse soprattutto), sociale e culturale, al punto che si è sostenuto che ogni attività umana che abbia a che fare con il cibo, dalla produzione dello stesso fino alla sua con- sumazione, rappresenti una pratica culturale1. Del resto, il modo

in cui ci si approccia al cibo e all’alimentazione contribuisce alla definizione dell’identità culturale della persona in una duplice prospettiva: interna soggettiva, rafforzando il senso di apparte- nenza a un gruppo attraverso la condivisione delle scelte alimen-

1. Si veda: M. MOLINARI, Food is culture, New York, Columbia University Press, 2006. Sul rapporto tra cibo, filosofia e cultura, si vedano, senza alcuna pre- tesa di esaustività, almeno: M. HARRIS, Good to eat: Riddles of food and cultu- re, London, Allen & Unwin, 1986; P.G. KITTLER, K.P. SUCHER, M. NELMS, Food and culture, Belmont, Wadsworth, 2012; C. COUNIHAN, P. VAN ESTE- RIK, Food and culture: a reader, New York, Routledge, 2013; M. FIORILLO, S. SILVERIO (a cura di), Cibo, cultura, diritto, Modena, Mucchi, 2017.

tari2, ed esterna comunicativa, contribuendo a determinare come

gli altri ci percepiscono3.

A partire dal Secondo Dopoguerra, il cibo è divenuto l’oggetto di uno specifico diritto umano, generalmente noto come “diritto al cibo”, riconosciuto in numerose fonti del diritto internazionale convenzionale. Nonostante la locuzione “diritto al cibo” possa apparire, a prima vista, sufficientemente chiara, essa nasconde in realtà un’ampia gamma di possibili significati, a seconda di come si ritenga di aggettivare la parola cibo: il cibo può infatti esse- re inteso come cibo sufficiente, cibo adeguato, cibo qualificato, cibo particolare, così mutando la portata e il contenuto del diritto in esame. Ciò che si intende indagare in questa sede non è quindi certo il complesso rapporto tra cibo e diritto, tema amplissimo e già oggetto di approfonditi studi dottrinali, ma piuttosto se lo stretto legame tra alimentazione e cultura possa fondare l’ascri- vibilità del diritto al cibo (o almeno di una delle sue possibili forme) alla categoria dei diritti culturali oltre o prima che a quelle dei diritti economici e sociali.

Occorre peraltro precisare in via preliminare che, nonostante nell’ambito dottrinale italiano si utilizzi prevalentemente la lo- cuzione “diritto al cibo”, appare corretto intendere il diritto in esame come riferito non soltanto al “cibo” in senso stretto, ma altresì all’acqua e a ogni altro tipo di sostanzia abitualmente in- gerita dall’essere umano.

L’origine del riconoscimento del diritto al cibo viene storica- mente ricondotta all’articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, per cui ogni individuo ha diritto

2. Si veda V. PACILLO, Nutrire l’anima. Cibo, diritto e religione, in Qua- derni di diritto e politica ecclesiastica, n. speciale 1, 2014, 3.

3. Si vedano: P. G. KITTLER, K. P. SUCHER, M. NELMS, Food and cul- ture, cit., 3; G. FILORAMO, A tavola con le religioni, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, n. speciale 1, 2014.

a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere propri e della sua famiglia, “con particolare riguardo all’alimen- tazione”4. Come noto, la Dichiarazione non è strumento giuridico

vincolante, ma il diritto al cibo nel senso appena menzionato ha nondimeno fatto il suo ingresso nel diritto internazionale conven- zionale a partire dal patto sui Diritti Economici, Sociali e Cultu- rali del 1966, che all’articolo 11 riconosce, oltre al diritto a un’a- limentazione adeguata, il «diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla fame»5. Negli anni successivi, alla tutela inter-

nazionale generalizzata di cui al Patto si sono affiancati livelli di tutela più elevati per determinate categorie di individui ritenute meritevoli di una più solida protezione, come ad esempio le don- ne in stato di gravidanza (articolo 12 della Convenzione sull’eli- minazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle

4. Così l’articolo 25: «Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita suf- ficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà».

5. Così l’articolo 11: «Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la propria famiglia, che includa un’alimentazione, un vestiario, ed un alloggio adeguati, nonché al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita. Gli Stati parti prende- ranno misure idonee ad assicurare l’attuazione di questo diritto, e riconoscono a tal fine l’importanza essenziale della cooperazione internazionale, basata sul libero consenso. Gli Stati parti del presente Patto, riconoscendo il diritto fonda- mentale di ogni individuo alla libertà dalla fame, adotteranno, individualmente e attraverso la cooperazione internazionale, tutte le misure, e fra queste anche programmi concreti, che siano necessarie: a) per migliorare i metodi di pro- duzione, di conservazione e di distribuzione delle derrate alimentari mediante la piena applicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche, la diffusione di nozioni relative ai principi della nutrizione, e lo sviluppo o la riforma dei regi- mi agrari, in modo da conseguire l’accrescimento e l’utilizzazione più efficaci delle risorse naturali; b) per assicurare un’equa distribuzione delle risorse ali- mentari mondiali in relazione ai bisogni, tenendo conto dei problemi tanto dei Paesi importatori quanto dei Paesi esportatori di derrate alimentari».

donne del 1979)6 e i minori (articoli 24 e 27 della Convenzione

sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989)7. Il diritto in

esame è stato successivamente riconosciuto in un ampio numero di fonti ulteriori del diritto internazionale e, soprattutto, in varie fonti di soft law8.

Con riferimento al diritto costituzionale, è stato osservato come il diritto al cibo abbia trovato riconoscimento prevalente- mente nelle Costituzioni degli Stati nati dalla dissoluzione de- gli imperi coloniali ottocenteschi, caratterizzati da bassi livelli di reddito e di sviluppo economico (i cosiddetti Stati “in via di sviluppo”), mentre esso di norma non viene di norma menziona- to nelle Costituzioni degli Stati appartenenti al cosiddetto “Oc- cidente”, che evidentemente avvertivano il problema in misura

6. Così il comma 2 dell’articolo 12: «Nonostante quanto disposto nel pa- ragrafo 1 del presente articolo, gli Stati parti forniranno alle donne, durante la gravidanza, al momento del parto e dopo il parto, i servizi appropriati e, se necessario, gratuiti, ed una alimentazione adeguata sia durante la gravidanza che durante l’allattamento».

7. Così l’articolo 24: «Gli Stati parti riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione. Essi si sforzano di garantire che nessun minore sia privato del diritto di avere accesso a tali servizi. Gli Stati parti si sforzano di garantire l’attuazione integrale del summenzionato diritto e in particolare adottano ogni adeguato provvedimento per: [...] c) lottare contro la malattia e la malnutri- zione, anche nell’ambito delle cure sanitarie primarie, in particolare mediante l’utilizzazione di tecniche agevolmente disponibili e la fornitura di alimenti nu- tritivi e di acqua potabile, tenendo conto dei pericoli e dei rischi di inquinamen- to dell’ambiente naturale”. Così il comma 3 dell’articolo 27: “Gli Stati parti adottano adeguati provvedimenti, in considerazione delle condizioni nazionali e compatibilmente con i loro mezzi, per aiutare i genitori e altre persone aventi la custodia del fanciullo ad attuare questo diritto e offrono, se del caso, un’as- sistenza materiale e programmi di sostegno, in particolare per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario e l’alloggio».

8. Per una ricognizione delle diverse fonti del diritto internazionale che riconoscono il diritto al cibo si veda M. BOTTIGLIERI, Il diritto al cibo ade- guato. Tutela internazionale, costituzionale e locale di un diritto fondamentale “nuovo”, in POLIS Working Papers, n. 222, 2015, 69 ss.

molto inferiore9. Pertanto, il fondamento del diritto al cibo è stato

storicamente ricondotto, nel costituzionalismo europeo, all’am- bito di applicazione di altri diritti fondamentali espressamente riconosciuti.

Anche con riferimento all’ordinamento costituzionale italia- no le intersezioni tra diritto al cibo e diritti costituzionali fonda- mentali sono molteplici, al punto che non risulta del tutto chiaro fino a che punto esso possa essere considerato come diritto prov- visto di una sua autonomia ontologica e, per converso, se esso non possa essere invece ricondotto, a ben vedere, a situazioni giuridiche già tutelate da diritti costituzionali espressamente ri- conosciuti. In questo, senso, secondo un approccio riduzionista, il diritto al cibo potrebbe essere ricondotto, a seconda delle di- verse accezioni secondo le quali esso viene inteso, al diritto alla vita, al diritto alla salute, al diritto alla libertà di espressione, al diritto alla libertà religiosa.

In primo luogo, il diritto al cibo può essere ricondotto al diritto alla vita laddove esso venga inteso come diritto al cibo sufficiente per il mantenimento delle funzioni vitali dell’essere umano. Il di- ritto alla vita non è espressamente menzionato dalla Costituzione repubblicana, ma il suo riconoscimento nell’ordinamento è rite- nuto pacifico nella misura in cui esso rappresenta il presupposto per il godimento di ogni altro diritto umano o fondamentale10. Se

9. In questo senso F. ALICINO, Il diritto al cibo. definizione normativa e giustiziabilità, in Rivista AIC, n. 3, 2016, 3. Per un’ampia rassegna dei livelli di tutela costituzionale del diritto al cibo nelle diverse Costituzioni si vedano: L. KNUTH, M. VIDAR, Constitutional and legal protection of the right to food around the World, Roma, FAO, 2011; M. BOTTIGLIERI, Il diritto al cibo ade- guato. Tutela internazionale, costituzionale e locale di un diritto fondamentale “nuovo”, cit., 117 ss.

10. Cfr., per tutte: Corte Cost., n. 54/1979; Corte Cost., n. 223/1996. La Consulta ha precisato che il diritto alla vita è “il primo dei diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti dall’art. 2 della Costituzione”.

così configurato, il diritto al cibo dovrebbe essere quindi inter- pretato come il diritto “a non morire di fame”, e dunque configu- rerebbe in capo allo Stato un obbligo positivo di attivarsi affinché ogni individuo disponga del nutrimento necessario e sufficiente per vivere. È evidente che tale accezione rappresenta il limite assolutamente minimo della possibile tutela del diritto in esame, il suo nocciolo duro e incomprimibile che, se dovesse essere vio- lato, finirebbe per privarlo di ogni significato, trasformandolo in un “diritto di carta”, dichiarato ma non implementato.

In secondo luogo, il diritto al cibo può essere ricondotto al diritto alla salute di cui all’articolo 32 Cost. laddove esso venga inteso come diritto al cibo adeguato ai fini della conservazione di uno stato di salute accettabile per l’essere umano11. Esso non

coprirebbe pertanto solo quel quantum di alimentazione neces- sario per il mantenimento delle funzioni vitali, ma tutelerebbe altresì il diritto dell’individuo a nutrirsi con alimenti di qualità sufficiente a garantire la permanenza in un buono stato di salute. L’interpretazione in esame complica evidentemente il quadro, se si considera che da un lato si pone in capo allo Stato un obbligo positivo considerevolmente aggravato rispetto a quello di cui al livello di tutela minimo sopradescritto, e dall’altro che quale sia il livello di alimentazione adeguato per una piena implementa- zione del diritto alla salute è questione che si presta necessaria- mente a valutazioni di tipo soggettivo e relative a contesti storici, sociali ed economici, oltre che (e forse soprattutto) geografici. Se inteso nel senso appena descritto, il nucleo incomprimibile del diritto al cibo subisce una evidente espansione: va peraltro osser-

11. In questo senso T. CERRUTI, La tutela del diritto ad un cibo adeguato nella costituzione italiana, in G. Cerrina Feroni, T. E. Frosini, L. Mezzetti, P. L. Petrillo (a cura di), Ambiente, energia, alimentazione. Modelli giuridici compa- rati per lo sviluppo sostenibile, vol. I, tomo II, Firenze, Fondazione CESIFIN Alberto Predieri, 2016, 80 ss.

vato che le due letture sinora analizzate non si pongono necessa- riamente in antitesi, nella misura in cui si potrebbe ipotizzare il diritto al cibo sufficiente come livello minimo della tutela che lo Stato deve necessariamente accordare, e il diritto al cibo adegua- to come livello di tutela ulteriore suscettibile di bilanciamento (e dunque comprimibile) in sede legislativa e giurisdizionale.

In queste prime due accezioni il diritto al cibo è riconducibi- le al tema del diritto a un’esistenza libera e dignitosa, e dunque alla presa di coscienza del fatto che, a prescindere dalla pretesa universalità dei diritti fondamentali e dall’eguaglianza dichiarata tra gli individui, una molteplicità di fattori economici, sociali e culturali ancora oggi ostano ad un pieno godimento dei diritti e ad un’eguaglianza effettiva tra le persone12. In questo senso, la

lotta alla fame (che del resto non è altro che una delle manifesta- zioni, se non la manifestazione principale, della lotta alla pover- tà) diviene scopo quasi necessario dello Stato e del legislatore, nella misura in cui essa è imposta ai fini di una reale rimozione, ai sensi dell’articolo 3 Cost., di quegli ostacoli di ordine econo- mico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese13.

Si potrebbe pertanto argomentare che, ai fini di garantire ap- pieno la dignità dell’essere umano, non basti il riconoscimento del diritto al minimo vitale dell’alimentazione: se una vita digni- tosa impone che l’essere umano sia in salute, il diritto al cibo non

12. Si veda S. RODOTÀ, Il diritto al cibo, Milano, Corriere della Sera, 2014.

13. Si veda A. MORRONE, Ipotesi per un diritto costituzionale dell’ali- mentazione, in G. Cerrina Feroni, T. E. Frosini, L. Mezzetti, P. L. Petrillo (a cura di), Ambiente, energia, alimentazione. Modelli giuridici comparati per lo sviluppo sostenibile, cit., 40.

può che essere un diritto al cibo adeguato. Tramite una lettura del diritto al cibo attraverso il prisma della dignità umana si addivie- ne, pertanto, a un ampliamento del suo nucleo incomprimibile, all’innalzamento del livello minimo di tutela che ricomprenda non solo il cibo necessario a sopravvivere, ma anche il cibo ne- cessario a vivere pienamente (dignitosamente). In questo senso sembra del resto essere inteso il diritto al cibo nel diritto inter- nazionale convenzionale, come chiarito dallo UN Committee on Economic, Social and Cultural Rights, che ha precisato che il diritto in esame non può dirsi tutelato tramite l’accesso a livelli minimi di sostanze nutrienti (calorie, proteine, ecc.), ma solo tra- mite l’accesso a cibo che sia realmente adeguato secondo canoni economici, sociali, sociali, climatici ed ecologici14.

La Corte Costituzionale ha assunto una posizione analoga ri- tenendo, con la sentenza n. 10/2010, che il «diritto a conseguire le prestazioni imprescindibili per alleviare situazioni di estremo bisogno in particolare, alimentare» sia riconducibile nel novero dei diritti sociali «di cui deve farsi carico il legislatore naziona- le». È quindi preciso compito dello Stato «garantire il nucleo irri- ducibile di questo diritto fondamentale», «che comprende anche la previsione della appropriata e pronta erogazione di una deter- minata provvidenza in favore dei singoli», anche individuando i livelli essenziali di prestazione di cui all’articolo 117 comma 2 lettera m) Cost. La Consulta peraltro, dopo avere condivisibil- mente rinvenuto il fondamento del diritto in esame negli articoli

14. Cfr. UN Committee on Economic, Social and Cultural Rights (CESCR), General Comment No. 12: The Right to Adequate Food (Art. 11 of the Cove- nant), 12 maggio 1999, per cui «the right to adequate food is realized when every man, woman and child, alone or in community with others, have physical and economic access at all times to adequate food or means for its procurement. The right to adequate food shall therefore not be interpreted in a narrow or re- strictive sense which equates it with a minimum package of calories, proteins and other specific nutrients».

2 e 3 Cost. (e dunque nei principi personalista, solidarista e di eguaglianza sostanziale), abbastanza sorprendentemente non lo riconduce al diritto alla salute di cui all’articolo 32 Cost., bensì al diritto all’assistenza sociale di cui all’articolo 38 Cost.

2. Cibo e diritti culturali: la libertà di scegliere come alimen-

Nel documento Food Cultures and Law (pagine 47-55)