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Il possibile conflitto tra l’anima “biologica” e quella “cul turale” del diritto al cibo: il caso della dieta vegana

Nel documento Food Cultures and Law (pagine 83-99)

Le diverse accezioni descritte ai paragrafi precedenti aiutano a chiarire la complessità del problema dell’autonoma configura- bilità di un diritto al cibo nell’ordinamento costituzionale. Dette accezioni sono peraltro estremamente eterogenee, e spaziano da questioni più strettamente “biologiche”, relative alla soddisfa- zione dei bisogni umani legati a funzioni primarie, strettamente connesse alla sopravvivenza dell’organismo, a questioni marca- tamente “culturali”, attinenti a scelte personalissime dell’indivi- duo circa come soddisfare detti bisogni attraverso uno specifico regime alimentare adottato per ragioni morali, filosofiche o re- ligiose. Le due accezioni in esame presentano però un profilo sostanziale di differenziazione: mentre infatti non è possibile scegliere di non soddisfare le esigenze alimentari “biologiche” (scelta qualificabile come patologica o suicida, nonostante essa sia prevista da alcune pratiche rituali controverse, come ad esem- pio il “suicidio per inedia” previsto dalla religione giainista), è

72. Cfr. Cass. Pen., Sez. VI, sentenza n. 28270 del 3 giugno 2008. Gli adepti di detta religione consumano abitualmente l’“erba sacra” a fini meditativi.

invece possibile scegliere come soddisfarle, in particolare facen- do ricorso a un regime di alimentazione che, pur essendo diffe- rente da quello culturalmente preferito, ottenga ugualmente lo scopo di soddisfare il bisogno primario di nutrirsi.

Le posizioni giuridiche che si intrecciano con riferimento alla materia in esame sono quindi tante e tali per cui appare preferi- bile tenerle distinte, nella misura in cui esse risultino riconduci- bili ad altri diritti costituzionalmente rilevanti. In realtà, alcune definizioni del diritto al cibo hanno tentato di tenere insieme le sue diverse anime, sostenendo, ad esempio, che esso sarebbe il diritto al cibo sufficiente, liberamente accessibile, sano, nutriente e culturalmente appropriato73. Un’espansione siffatta della tutela

rischia, tuttavia, di renderla in ultima analisi inefficace, includen- dovi una pluralità di posizioni giuridiche soggettive eccessiva- mente eterogenee, e perciò difficilmente giustiziabili in concreto. Appare pertanto preferibile differenziare dette posizioni quanto- meno tra quelle che afferiscono alla salute dell’individuo e quelle che invece afferiscono alla sua sfera culturale.

A riprova dell’opportunità di operare una distinzione tra la componente “culturale” e quella “biologica” del diritto al cibo, si consideri inoltre che esse sembrano fare riferimento a situazioni giuridiche non omogenee74: infatti il diritto alla vita e alla salute,

73. Si vedano in questo senso: Si vedano in questo senso: S. roDotà, Il di- ritto al cibo, cit.; F. aLicino, Il diritto al cibo. definizione normativa e giustizia- bilità, cit., 2; M. BottigLieri, Il diritto al cibo adeguato. Tutela internazionale, costituzionale e locale di un diritto fondamentale “nuovo”, cit., 33; C. Drigo, Il ruolo degli enti locali nell’implementazione del “diritto al cibo adeguato”, in G. cerrina Feroni, T. E. Frosini, L. Mezzetti, P. L. PetriLLo (a cura di), Ambiente, energia, alimentazione. Modelli giuridici comparati per lo sviluppo sostenibile, cit. 111; A. rineLLa, H. oKoronKo, Sovranità alimentare e diritto al cibo, in Diritto pubblico comparato ed europeo, n. 1, 2015, 104.

74. Sul bilanciamento di situazioni giuridiche eterogenee si veda A. Mor- rone, Bilanciamento (giustizia costituzionale), in Enciclopedia del Diritto, An- nali, Vol. II, Milano, Giuffrè, 2008.

del quale il diritto al cibo quantitativamente e qualitativamente sufficiente e adeguato è presupposto e specificazione, è prope- deutico all’effettiva fruizione di ogni altro diritto dell’individuo, e dovrà pertanto godere di una posizione privilegiata in sede di bilanciamento. La eterogeneità delle due “anime” del diritto al cibo è del resto emersa in modo dirompente in alcuni casi recenti, che hanno evidenziato come il diritto “biologico” al cibo e il di- ritto “culturale” al cibo possano addirittura arrivare a confliggere tra loro, innescando una competizione che prima i medici e, da ultimo e in misura sempre crescente, anche l’autorità giudiziaria, sono stati chiamati a dirimere. Il riferimento è ai numerosi casi di minori che seguono, per volere dei genitori, una dieta vegana ovvero vegetariana, che abbia finito per cagionare, a causa dello scarso apporto di determinati nutrienti, conseguenze anche gravi dal punto di vista medico, al punto da rendere necessario l’inter- vento dei giudici per assicurare la tutela dei fondamentali diritti alla vita e alla salute75.

Un caso di questo tipo è stato deciso dal Tribunale di Roma nel 201676, e aveva ad oggetto il ricorso di un padre che lamenta-

va, tra le altre cose, il fatto che la moglie avesse unilateralmente sottoposto la figlia minore (affidata a entrambi i coniugi nell’am- bito della loro separazione) a una dieta di tipo vegano, che si estendeva anche all’ambiente scolastico. L’uomo produceva pe- raltro certificati medici che evidenziavano uno sviluppo ponde- rale e in altezza della figlia inferiore alla media per la sua età. La madre, dal canto suo, replicava di seguire una dieta vegetariana e

75. Per un’approfondita rassegna della giurisprudenza in esame si veda A. MUSIO, Scelte alimentari dei genitori e interesse del minore, in Rivista di di- ritto alimentare, n. 2, 2017.

76. Cfr. Tribunale di Roma, Sez. I, ordinanza del 19 ottobre 2016. Sul caso si veda anche E. ANDREOLA, Dieta vegana per il figlio tra interesse del mino- re e responsabilità genitoriale, in Famiglia e diritto, n. 6, 2017, 578 ss.

non vegana, e che la scelta era dovuta a ragioni etico-morali oltre che alla convinzione che la dieta “normale” fosse meno salubre per la minore, e produceva dei certificati medici che evidenziava- no il buono stato di salute complessivo di quest’ultima.

Il Tribunale, nel risolvere la questione, ha mosso dalla pre- messa per cui la scelta del regime alimentare del figlio minore rientra certamente tra quelle scelte di «maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore» che, ai sensi dell’articolo 337 ter comma 3 c.c., devono essere necessariamente assunte in accordo tra i genitori77. Detta impostazione appare del resto co-

erente con un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma in esame, in particolare alla luce dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi di cui all’articolo 29 Cost., del dovere di mantenere, educare e istruire i figli di cui all’articolo 30 Cost., oltre che del diritto dei genitori a educare i figli secondo le pro- prie convinzioni filosofiche, morali e religiose di cui all’articolo 14 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea e all’articolo 2 del Protocollo addizionale alla Convenzione Euro- pea dei Diritti dell’Uomo78. Non essendo la scelta condivisa tra

i genitori nel caso di specie, è il Tribunale a dover provvedere,

77. Così il comma 3 dell’articolo 337 ter: La responsabilità genitoriale è eserci- tata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’i- struzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del mino- re sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separata- mente. Qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà detto comportamento anche al fine della modifica delle modalità di affidamento.

78. Pur non essendo espressamente riconosciuto dalla Costituzione italiana, l’articolo in esame è stato ricondotto dalla dottrina al combinato disposto degli articoli 2, 3, 8, 19, 21 e 30 Cost. Si veda, per tutti, F. CUOCOLO, Lezioni di diritto pubblico, IV ed., Milano, Giuffrè, 2006, 190.

dichiarandosi peraltro vincolato al criterio della scelta migliore per la tutela del diritto alla salute del minore.

Sotto questo profilo veniva rilevato che, in effetti, nonostante uno stato generale di salute buono, la minore presentava un ac- crescimento ponderale e in altezza inferiore alla media. In assen- za di particolari indicazioni mediche (quali ad esempio allergie o intolleranze) che possano indurre a preferire la dieta vegana, il Tribunale riteneva pertanto di doversi conformare a un criterio di normalità statistica, per cui la scelta operata dalla maggioran- za dei genitori è quella della dieta senza restrizioni. Il Tribunale corroborava detta impostazione rilevando che la dieta “normale” è altresì quella ritenuta corretta sia dal Ministero della Salute che dal Ministero della Pubblica Istruzione, con una sorta di “pre- sunzione di salubrità” delle scelte operate dagli enti statali, tale da scongiurare “i rischi prospettati dalla resistente che la minore possa essere pregiudicata nella corretta crescita inserendo nella dieta carne, pesce o cibi confezionati, poiché aderendo a tale pro- spettazione dovrebbe ritenersi che nelle mense scolastiche venga compromessa la salute di tutti i bambini che seguono un «norma- le» regime alimentare”.

Il Tribunale disponeva pertanto che la minore dovesse seguire una dieta priva di restrizioni alimentari.

Una decisione del Tribunale per i minorenni di Milano del 2014 è giunta, in un caso analogo, a conclusioni sostanzialmente equiparabili79.

Caso simile ma soluzione diversa invece per la vicenda giun- ta all’attenzione del Tribunale di Bergamo nel 2015, in cui due genitori separati sottoponevano il figlio minorenne a due distinti regimi alimentari nei periodi che egli passava con loro: dieta ma-

79. Cfr. Tribunale per i minorenni di Milano, decreto del 18 novembre 2014.

crobiotica (priva di carne) durante la settimana, con la madre, e dieta a base di carne nel fine settimana, con il padre80. Quest’ul-

timo si rivolgeva al Tribunale denunciando che la dieta imposta dalla madre avrebbe privato il figlio di alcuni nutrienti essenziali: il Tribunale (a quanto risulta ratificando un accordo sopravvenu- to tra i coniugi), disponeva che il minore avrebbe dovuto consu- mare almeno un pasto a base di carne nei giorni settimanali con la madre, mentre non più di due pasti a base di carne nei fine settimana con il padre81.

Di tenore analogo il caso, ben più grave, deciso nel 2016 dal Tribunale per i minorenni di Milano82, in cui un infante veniva

cresciuto, sin dalla nascita, secondo una rigida dieta vegana, che lo portava al ricovero ospedaliero d’urgenza (peraltro contro la volontà dei genitori e su iniziativa della Procura), in condizioni di forte sottopeso (il bambino di un anno pesava come uno di tre mesi) e di valori del sangue “ai limiti della sopravvivenza”, oltre ad essere afflitto da “grave ipotonia, ipotrofia generalizzata e ritardo psicomotorio”83. La dieta vegana in questo caso era pe-

raltro controindicata per via di una malformazione cardiaca del minore, e non era stata integrata dai genitori con calcio e ferro come invece prescritto dai medici. Il Tribunale, anche alla luce del rifiuto dei genitori di collaborare con la struttura ospedaliera, disponeva l’affido del minore ai servizi sociali del Comune di Milano, collocandolo presso la casa dei nonni materni.

Quest’ultimo caso è peraltro rappresentativo di numerosi epi- sodi simili, con bambini in tenera età, sottoposti dai genitori a

80. Cfr. Tribunale di Bergamo, Sez. I, ordinanza del 16 aprile 2015. 81. Cfr. sul caso V. ATTANÀ, Per la dieta del figlio vanno in Tribunale, in L’Eco di Bergamo, 29 maggio 2015.

82. Cfr. Tribunale per i minorenni di Milano, decreto del 16 luglio 2016. 83. Cfr. sulla vicenda E. ANDREIS, Il dilemma del bimbo sottopeso sottrat- to ai genitori vegani, in Corriere della sera, 9 luglio 2016.

diete “vegane”, giunti in condizioni anche gravissime negli ospe- dali, a causa di gravi carenze di nutrienti necessari per un corretto sviluppo. E così a Genova, nel 2016, una bambina di due anni veniva ricoverata in rianimazione a causa di bassi livelli di emo- globina nel sangue, sottopeso e scarsa reattività84, a Belluno nel

2015 un bambino di due anni veniva ricoverato a causa di “gra- vi carenze” nutrizionali in “condizioni difficili”85, a Firenze nel

2015 un bambino di neppure un anno veniva ricoverato a causa di una “grave carenza di vitamine”, con possibili danni perma- nenti86. In molti di questi casi sono state effettuate dalle strutture

sanitarie segnalazioni agli assistenti sociali e al Tribunale per i minorenni, e in alcuni i genitori sono stati addirittura iscritti nel registro degli indagati per la verifica della sussistenza di eventua- li reati in virtù dei danni provocati ai figli con la loro condotta.

Va comunque rilevato che, in quasi tutti i casi sopraccitati, le conseguenze negative per la salute dei minori erano cagionate da un’applicazione scorretta della dieta vegana, la cui lesività in assoluto non è scientificamente dimostrata, specie laddove essa venga attuata con i debiti accorgimenti.

In questo senso, il Tribunale di Monza ha statuito, nel 2016, che laddove sia accertato con consulenza tecnica d’ufficio che la dieta vegana, pur dannosa nelle modalità attuate in concreto dai genitori, consentirebbe invece un buono stato di salute per il minore se inte- grata debitamente, essa non debba essere vietata87. Nel caso di specie

il minore presentava un valore di prealbumina insufficiente e una

84. Cfr. sul caso M. BOMPIANI, M. PREVE, Genova, bimba di due anni in rianimazione per la dieta vegana, è salva, in Repubblica, 29 giugno 2016.

85. Cfr. sul caso A. CIPRIAN, Dieta vegana per il bimbo di 2 anni. Ricove- rato in ospedale e salvato, in Il Gazzettino, 15 ottobre 2015.

86. Cfr. sul caso Firenze, fuori pericolo il neonato figlio di vegani ricovera- to per denutrizione, in Il Messaggero, 3 luglio 2015.

malnutrizione proteica dovute proprio a un’applicazione scorretta della dieta vegana: il Tribunale tuttavia, evidenziando che il perito da esso nominato aveva escluso uno stato generale di malnutrizione e fornito rassicurazioni circa la positiva risoluzione delle problema- tiche sopraccitate previa integrazione della dieta, disponeva che il minore potesse seguire detto regime alimentare anche a scuola, atte- nendosi strettamente alle indicazioni del perito stesso, e sottoponen- dosi a regolari controlli con cadenza semestrale.

In senso analogo una recente decisione del Tribunale per i minorenni di Cagliari, che ha ritenuto che non sussista violazio- ne dei doveri inerenti alla responsabilità genitoriale da parte dei genitori che scelgano una dieta vegana per il figlio, ove questa sia correttamente eseguita secondo le indicazioni degli specialisti, sì da non creare alcun pregiudizio per la crescita del minore88.

In definitiva, l’approccio giurisprudenziale sembra essere perve- nuto a un bilanciamento ragionevole tra le due diverse accezioni del diritto al cibo, individuando nella sua anima “biologica” il limite all’anima “culturale”. L’imposizione di una dieta vegetariana, ve- gana o macrobiotica ai figli minori da parte dei genitori è pertanto sicuramente legittima, essendo riconducibile al diritto (culturale) dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni morali e filosofiche, a patto che da detta imposizione non scaturisca la le- sione di un diritto fondamentale del minore stesso, e dunque che la dieta non provochi un danno per il diritto alla vita o il diritto alla salute, sulla base di specifici accertamenti medici. Il bilanciamento operato risulta del resto coerente con quello di norma adottato, più in generale, con riferimento al diritto a mantenere la propria cultura, che ha costantemente trovato il proprio limite nel rispetto del nucleo incomprimibile dei diritti fondamentali dell’individuo89.

88. Cfr. Tribunale per i minorenni di Cagliari, decreto del 9 giugno 2017. 89. Sia consentito sul tema il rinvio a G. CAVAGGION, Diritto alla liber-

Non sembra pertanto potersi condividere la tesi per cui i ge- nitori dovrebbero astenersi dall’imporre ai figli regimi alimenta- ri fondati sulle proprie convinzioni culturali nel corso dei primi anni di vita90. Laddove infatti sia accertato che detti regimi ali-

mentari non sono pregiudizievoli per il minore, e laddove essi siano adottati sotto l’osservazione di un medico esperto (quale è ad esempio il pediatra di fiducia), non si vede perché essi do- vrebbero essere vietati, in assenza di una lesione o finanche di un rischio per un diritto fondamentale del bambino.

Se è certamente vero che in un ordinamento come il nostro, animato da un vero e proprio “principio puerocentrico”, l’inte- resse superiore del minore deve sempre assumere rilievo premi- nente91, e che pertanto i genitori non sono pienamente liberi nella

scelta del regime alimentare dei figli92, non si può giungere sino

alla totale compressione dei diritti culturali dei genitori in virtù di una presunzione di lesività di tutte le pratiche divergenti da ciò che è considerato statisticamente normale. Diverso sarebbe ovviamente il discorso nel caso in cui detta presunzione fosse fondata su di un consolidato orientamento della scienza medica, caso in cui risulterebbe ragionevole il divieto di diete potenzial- mente pregiudizievoli.

tà religiosa, pubblica sicurezza e “valori occidentali”. Le implicazioni della sentenza della Cassazione nel “caso kirpan” per il modello di integrazione italiano, in Federalismi.it, n. 12, 2017.

90. Tesi sostenuta, ad esempio, da A. MUSIO, Scelte alimentari dei genitori e interesse del minore, cit., 12.

91. Si veda P. BILANCIA, Società multiculturale: i diritti delle donne nella vita familiare, in Astrid rassegna, n. 2, 2010, 10.

92. Come condivisibilmente osserva A. MUSIO, Scelte alimentari dei geni- tori e interesse del minore, cit., 13.

6. Conclusioni

La ricostruzione sinora svolta restituisce un quadro complesso, che potrebbe addirittura indurre a dubitare che il diritto al cibo, per come esso viene tradizionalmente definito, sia provvisto di una sua piena autonomia ontologica rispetto ad altri diritti già pienamen- te riconosciuti dalla Costituzione repubblicana. In particolare, si evidenzia come il cibo potrebbe essere ritenuto non già l’oggetto della tutela, bensì il mezzo attraverso cui detta tutela si invera in concreto. In questo senso, la posizione giuridica tutela non sarebbe il diritto al cibo ma, di volta in volta, il diritto alla vita attraverso un’alimentazione sufficiente, il diritto alla salute attraverso un’ali- mentazione adeguata, il diritto alla libertà di espressione attraver- so la produzione artistica o scientifica di cibo, il diritto alla cultura attraverso il mantenimento di pratiche alimentari particolari.

Se inteso come strumento per la piena espansione di altri di- ritti costituzionalmente riconosciuti, il cibo viene del resto in gio- co altresì con riferimento al godimento di alcuni diritti sociali, e si pensi ad esempio al diritto all’istruzione, e dunque ai servizi di refezione scolastica, che consentono agli studenti di fruire appie- no della prestazione positiva che lo Stato eroga ai sensi dell’arti- colo 31 Cost. E ancora, il cibo viene in gioco con riferimento ai delicati temi del cosiddetto “fine vita”, per cui il diritto alla salute nella sua componente negativa (il diritto a rifiutare le cure) e il diritto all’autodeterminazione dell’individuo non possono che evocare le altrettanto complesse questioni, per molti versi ancora aperte, circa la configurabilità di un diritto a rifiutare (o sospen- dere, laddove essa sia già iniziata) l’alimentazione artificiale93.

93. Si veda sul tema F. G. PIZZETTI, Alle frontiere della vita. Il testamento biologico tra valori costituzionali e promozione della persona, Milano, Giuffrè, 2008, 272 ss.

D’altro canto, il riconoscimento di un diritto al cibo quale diritto autonomo presenta delle indubbie potenzialità con riferi- mento alla giustiziabilità di situazioni giuridiche che, come si è visto, vengono troppo spesso ignorate o sottovalutate dal legisla- tore e dall’autorità giudiziaria. Detto riconoscimento presuppor- rebbe, evidentemente, la lettura del catalogo dei diritti costituzio- nali come catalogo aperto, poiché la Costituzione repubblicana non riconosce, almeno espressamente, un diritto siffatto94. In que-

sto senso il diritto al cibo sarebbe un diritto fondamentale a rango costituzionale, recepito nell’ordinamento attraverso l’articolo 2 Cost. Laddove si opti per questa soluzione ermeneutica, tuttavia, appare indispensabile operare una distinzione tra le componenti “biologica” e “culturale” del diritto al cibo, attesa la profonda diversità delle posizioni giuridiche soggettive ad esse sottese, e in particolare ai fini di garantire la prevalenza della prima sulla seconda in caso di contrasto.

Una soluzione intermedia potrebbe essere il riconoscimento del diritto al cibo quale specificazione di altri diritti costituzional- mente riconosciuti, finalizzata all’innalzamento del livello mini- mo di tutela riservato ad alcune loro manifestazioni qualificate, in virtù della centralità dell’alimentazione con riferimento a tutte le attività umane. Se inteso in questo senso, il diritto al cibo può sicuramente integrare un diritto (anche) culturale, nell’accezione di diritto a scegliere liberamente il proprio regime alimentare. Un diritto culturale siffatto risulterebbe recessivo rispetto alla neces- sità di tutelare il nucleo incomprimibile del diritto alla salute e

Nel documento Food Cultures and Law (pagine 83-99)