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I mali della carenza con i mali dell’abbondanza sono com pensabili solo in loco?

Nel documento Food Cultures and Law (pagine 165-170)

Molteplici sono i problemi dell’economia e cultura alimentare in Italia. Tra la Scilla della fame e la Cariddi dello spreco, il legisla- tore ha puntato innanzitutto sulla redistribuzione per mezzo delle

16. Cfr. per la responsabilità relativa ai basic relief supplies l’art. 3 delle convenzioni di Ginevra, artt. 70, 71 del Protocollo Addizionale I e art. 18 (2) del Protocollo addizionale II. Per il diritto consuetudinario ICRC “Rule 53: starvation as a method of warfare”, https://ihl-databases.icrc.org/customary-ihl/ eng/docs/v1_rul_rule53.

onlus, peraltro rafforzata da varie food policies locali18. Mentre la

carenza stenta a essere sradicata in diverse regioni dell’Africa e dell’Asia nonché, in misura minore, nell’America latina, (incluso il Messico) ed esiste ancora i nei paesi BRICS, lo spreco è pro- blema particolarmente sentito in Italia e nell’Unione europea, ma più in generale nei paesi più sviluppati del mondo. Uno studio della FAO del 2013 sul fenomeno del food waste stima comples- sivamente che un terzo del cibo prodotto nel mondo viene perso o sprecato.

L’organizzazione mondiale della sanità ha focalizzato alcuni eccessi particolarmente negativi per la salute, raccomandando una riduzione drastica del consumo di zuccheri che causano non solo costi sproporzionati di cure dentistiche e di cure dell’obesi- tà, ma anche l’aumento del diabete, di malattie cardiovascolari e di molte altre malattie non infettive.

In both adults and children, WHO recommends reducing the intake of free sugars to less than 10% of total energy intake (strong recommenda- tion2). WHO suggests a further reduction of the intake of free sugars to below 5% of total energy intake (conditional recommendation).19

18. Cf. da ultimo L. giacoMeLLi, Diritto al cibo e solidarietà. Politiche e pratiche di recupero delle eccedenze alimentari (2018), in: Osservatorio AIC,; M. BottigLieri, G. Pettenati, A. toLDo (a cura di), Toward a Turin Food Poli- cy. Good practices and visions, Milano, Franco Angeli, 2016; M. BottigLieri, Il diritto al cibo adeguato, Alessandria 2015, 397ss., http://polis.unipmn.it/pubbl/ RePEc/uca/ucapdv/polis0222.pdf; A. caLori, A. Magarini (a cura di), Food and the cities. Food policies for sustainable cities, Milano, Edizioni Ambiente, 2015; F. PizzoLato, Diritto al cibo: politiche, non riforme costituzionali, in: Nutrire il pianeta: per un paradigma di sviluppo inclusivo e sostenibile, n. 1, 2015, 40 ss.

19. WorLD heaLth organisation, Guideline: sugars intake for adul- ts and children, Genève 2015; http://apps.who.int/iris/bitstream/hand- le/10665/149782/9789241549028_eng.pdf?sequence=1

Per attuare queste raccomandazioni servirebbe innanzitutto un adeguato food and nutrition labelling, educazione dei consu- matori anche nell’autoregolamentazione delle azioni pubblicita- rie, una regolazione più rigida della compravendita di dolci e be- vande non alcooliche ad alto tasso di zucchero, incluse specifiche fiscal policies. Il coraggio di tassare ad es. la Coca-Cola e le gaz- zose dolcificate è stato dimostrato nell’UE da Ungheria (2011), Francia (2012), Regno Unito (“Soft Drinks Industry Levy” 2018) e Irlanda, ma la Danimarca ha abolito una simile tassa esisten- te sind dal 1930 nel 2013. Anche l’Italia è stata contraria, forse perché l’obesità è un problema minore, ma si stima che ben 224 mila decessi all’anno in tutta la Penisola, pari al 38,8% del dato complessivo, sono causati dalle malattie in questione20. L’art. 32

Cost. impone misure di prevenzione che dovrebbero adeguare i costumi alimentari al riguardo. Se le raccomandazioni sono scientificamente valide, l’obbligo dello Stato di tutelare la salute vieta di ignorarle, ma lascia ampia discrezionalità nel dosaggio delle misure di prevenzione.

Particolarmente imbarazzante è poi l’impatto ambientale de- gli sprechi. Sempre secondo la FAO, gli sprechi ambientali pro- ducono ca. 3.3 gigatonnellate di CO2, solo poco di meno delle emissioni degli Stati Uniti o della Cina. Il consumo annuale delle risorse di acque è stimato in 250 km3, tre volte il volume del lago di Ginevra. Il cibo prodotto, ma non consumato assorbe il 30 % delle aree di agricoltura21. In Italia finora ogni anno finiscono tra i

rifiuti dai 10 ai 20 milioni di tonnellate di prodotti alimentari, per un valore di circa 37 miliardi di euro. L’Osservatorio sugli spre- chi stima che a livello domestico si sprecano in media il 17% dei

20. https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/alimentazione/ loms-limitare-gli-zuccheri-aggiunti-non-piu-di-12-cucchiaini-al-giorno

21. FAO, Food wastage footprint, 2013, http://www.fao.org/docrep/018/ i3347e/i3347e.pdf

prodotti ortofrutticoli acquistati, il 15% di pesce, il 28% di pasta e pane, il 29% di uova, il 30% di carne e il 32% di latticini. In media, una famiglia perderebbe o sprecherebbe in questo modo ben 1.693 euro all’anno22.

Il problema è innanzitutto un problema morale e una questio- ne di educazione familiare a tavola ben nota ai più. Lo spreco individuale di per sé non comporta una violazione diretta del di- ritto altrui al cibo adeguato, almeno fino a quando i mercati sono in grado di produrre e commercializzare più cibo23. Semmai può

costituire una violazione di qualche dovere di solidarietà mora- le trasformabile in dovere giuridico. Nulla vieterebbe, ad es., di multare il trattamento come rifiuto di cibi ancora non scaduti. Nulla vieterebbe di ridurre le tasse sui rifiuti in ragione della quantità di cibo ancora commestibile ceduto ai banchi alimen- tari. E nulla vieterebbe di ordinare la cessione alle onlus di cibi non consumati e non riciclabili nelle mense pubbliche. Eventuali sanzioni, obblighi di prestazione o privilegi tributari potrebbero semmai esigere una sufficiente base legislativa (art. 23 Cost.).

Per quanto riguarda le politiche alimentari locali, si potrebbe innanzitutto sostenere che la lotta agli sprechi alimentari richiede una raccolta separata dei rifiuti alimentari come parte dei rifiu- ti organici. Al riguardo, la politica più efficace sarebbe tuttavia una riforma dell’art. 182 ter del d.lgs. 192/2006, come modifi- cato dall’art. 9 del d.lgs. n. 205/2010 e integrato dall’art. 38 l. n. 221/2015. A distanza di 10 anni, la raccolta differenziata non andrebbe più solo disciplinata ed incoraggiata, ma imposta e san- zionata. Non bastano più le ipocrisie di chi si appella al senso di responsabilità del singolo e delle comunità locali, perché ha pau- ra di non riuscire a costringere le città metropolitane a governare

22. Dati tratti da L. giacoMeLLi, op. cit., 14. 23. Contrario invece L. giacoMeLLi, op. cit., 16.

i propri rifiuti. In tempi di risorse finanziarie strangolate da un debito pubblico insostenibile, non è “cibo adeguato” quello per il quale la lotta agli sprechi è delegata ad alleanze di volontari che necessitano di fondi pubblici, se è possibile a costi minore disporre divieti e farli osservare.

Senza sanzioni effettive non è nemmeno pensabile una preven- zione efficace, cioè la diffusione di pratiche che evitino o riduca- no i rifiuti alimentari. Al riguardo, il Ministero dell’Ambiente ha prodotto nel 2013 un Piano Nazionale di Prevenzione dello Spreco Alimentare (PINPAS) che punta su educazione, formazione, co- municazione, ricerca, donazioni, accordi volontari nonché «criteri premianti nei badi di gara pubblica» secondo gli schemi del Green Public Procurement. Questo piano di prevenzione è significativa- mente privo di obiettivi concreti di riduzione degli sprechi.

La Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli alimenti e la Nutrizione (ufficio 5) (DGISAN) del Ministero della salute ha avviato alla fine del 2016 un accordo di collaborazione tra pubbliche amministrazioni per la realizzazione di un Progetto di ricerca pilota denominato “SPAIC- Cause dello spreco alimentare ed interventi correttivi”, progetto illustrato anche al G 7 della salute nel 2017.

L’approccio metodologico del Progetto fa riferimento al concetto di “nudging” per il quale la spinta verso un comportamento corretto dev’essere gentile per non essere ricusata, e dunque efficace e acqui- sibile culturalmente; tale approccio al contrasto agli sprechi alimenta- ri tratta di un modello psico-comportamentale da applicare alle scelte consapevoli dei consumatori, percorso orientato su un modello educa- tivo, che stimoli l’adozione di buone pratiche e comportamenti virtuosi nella quotidianità: il ricorso a semplici, piccoli aggiustamenti, che pos- sono però portare impatti enormi e influenzare le scelte delle persone.24

Dal punto divista strettamente giuridico, tali politiche nazionali di prevenzione si affidano allo Stato funzioni educative non del tutto coerenti con la ripartizione sociale delle funzioni di istru- zione pubblica e di educazione famigliare e civile. Anche l’edu- cazione scolastica più civile delle generazioni future non potrà sostituire l’amministrazione di quelle governanti la democrazia. Inoltre non consentono alcun monitoraggio pubblico sui risultati e sull’efficienza della prevenzione degli sprechi. Il realismo re- pubblicano fa presagire che non saranno queste cartacee a cam- biare le consuetudini dello spreco.

Resta infine il problema che gli sprechi in loco difficilmente possono essere trasformati in donazioni che arrivino ai luoghi delle carenze. Il World Food Programme, che ha sin dal 1963 quartiere generale a Roma, come anche la Croce Rossa e la Mezzaluna o le organizzazioni internazionali di aiuti umanitari, in particolare delle varie confessioni (Caritas, Brot für die Welt), difficilmente possono accettare donazioni di cibo. Ed i banchi alimentari locali non sono finora nodi di reti transnazionali di cooperazione internazionale allo sviluppo di sovranità alimentari nei paesi delle carenze.

Nel documento Food Cultures and Law (pagine 165-170)