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Sebbene nella Costituzione statunitense non sia esplicitamente enunciata la libertà di iniziativa economica - a differenza di quella italiana, il cui riferimento è circonstanziato da limiti e fini - è innegabile che il modello adottato nell’ordinamento statunitense sia unicamente volto a perseguire un sistema di mercato concorrenziale.

La giurisprudenza, sia italiana che statunitense, ha messo in luce come la libertà economica sia strumentale all’esercizio del pluralismo515. Infatti, nella storica sentenza Associated Press v. U.S., 326 U.S. 1, 20 (1945), la Corte suprema ha applicato la

legislazione antitrust alle agenzie di stampa a tutela delle imprese editrici di quotidiani, appunto perchè libertà di iniziativa economica privata significa “libertà di tutti e non di pochi”, perché “la libertà di pochi è potere, non già libertà”516. In tale sentenza fu

ravvisata una copertura costituzionale per quelle intese restrittive della concorrenza in grado di danneggiare non solo la libertà individuale genericamente intesa e la libertà di concorrenza, ma anche la libertà di manifestazione del pensiero riconducibile ai fondamentali valori posti dal I emendamento, perché “injury imposed upon the public”. La legislazione antitrust, quindi, viene letta come la controparte economica del primo emendamento, perché in grado di rendere i mercati liberi come il primo emendamento per il mercato delle idee e dell’espressione verbale. Tuttavia, è stato osservato che – in realtà – il primo emendamento e la legislazione antitrust sono l’uno l’opposto dell’altro, appunto perché il primo emendamento è stato utilizzato quale limitazione al potere del governo di intervenire in materia di manifestazione del pensiero, mentre la legislazione

antitrust non limita il governo, anzi, legittima gli interventi governativi nel mercato517. La

Corte, inoltre, si spinge ad affermare che la negazione dell’opportunità economica sia un

515 La Risoluzione del Parlamento europeo del 25 settembre 2008 sulla concentrazione e il pluralismo dei

mezzi d’informazione nell’Unione europea (G.U. dell’Unione Europea C 8 E del 14.1.2010, 8) evidenzia che «la legislazione in materia di concorrenza debba essere collegata con la legislazione sui mezzi d’informazione, in modo da garantire l’accesso, la concorrenza e la qualità e in modo da evitare conflitti d’interesse tra la concentrazione della proprietà dei mezzi di comunicazione e il potere politico, che sono pregiudizievoli per la libera concorrenza, la parità di condizioni ed il pluralismo».

516 A. Pace, Libertà “del”mercato e “nel”mercato, cit., 329. 517 R. Bork, The Antitrust Paradox, cit., 424.

mostruoso crimine contro il commercio pubblico e contro il diritto dell’individuo all’iniziativa economica518.

La vicenda italiana del pluralismo nel settore dell’informazione è significativa anche in considerazione del fatto che in tale settore economico un monopolio privato costituisce una seria minaccia alla qualità del dibattito democratico. Fino agli anni Ottanta, in Italia, il mercato televisivo era aperto alla libera concorrenza solo a livello locale, sulla scorta della considerazione delle disparità tecnologiche dei mercati e delle conseguenze sulla sfera politica nazionale. Tale cesura tra concorrenza e pluralismo, tra mercati locali e nazionali si riflette e trova giustificazione nella giurisprudenza della Corte costituzionale che, parallelamente, si evolve sino a riconoscere nei limiti legislativi concreti ostacoli al pluralismo dell’informazione519. Già con la sent. n. 231 del 1985 con

cui la Corte costituzionale, pur rimettendo al legislatore la decisione a riguardo, ha considerato la necessità di consentire la trasmissione di pubblicita commerciali col mezzo radiotelevisivo, sia perché essa costituisce «una condizione ritenuta essenziale perché possa aversi pluralismo nell’informazione», sia per tutelare l’utente-consumatore. La libertà di iniziativa economica privata è, quindi, strumentale alla “libera circolazione delle idee” (così, Corte cost., sent. n. 225 del 1974).

Il settore radiotelevisivo ha dato prova delle conseguenze del libero esercizio dell’iniziativa economica, in assenza di una adeguata legislazione a tutela della concorrenza e di una disciplina sui limiti dell’estensione dei poteri statali nell’ambito economico520. Invero, la necessità di un’organica disciplina della concorrenza si è

manifestata nell’ambito della giurisprudenza relativa alla questione della riserva dello Stato nel settore radiotelevisivo, in cui si è affermato il valore positivo della concorrenza e della disciplina diretta a proteggerla come condizione costituzionale per superare il monopolio pubblico521. Specialmente nel settore radiotelevisivo, la Corte ha

ripetutamente sostenuto la necessità costituzionale di una disciplina antitrust522. È stato

opportunamente precisato che, ancorché il parametro formale adottato dalla giurisprudenza costituzionale in materia di concentrazioni radiotelevisive, sia stato l’art. 21 della Costituzione, ma anche l’art. 41 ha influito nell’elaborazione delle decisioni, quale norma garante della libertà economica a livello costituzionale523. Inoltre, il

principio di trasparenza, di cui al comma 5 dell’art. 21 Cost., disponendo la conoscibilità dei mezzi di finanziamento della stampa periodica, è stato inteso come mezzo di tutela

518 J. Note, The So-called “Trusts”, in 21 Am. L. Rev. 976, 977 (1887).

519 Così, M. Dani, Economic Constitutionalism(s) in a Time of Uneasiness, cit., 205, 242 ss.

520 Le sentenze storiche della Corte costituzionale in materia di concorrenza e sistema radiotelevisivo

sono: nn. 59 del 1960; 225 e 226 del 1974; 202 del 1976; 148 del 1981; 153 del 1987; 826 del 1988; 112 del 1993; 420 del 1994.

521 A. Lalli, op. cit., 432.

522 M. Giampieretti, Pluralismo e concorrenza nel caso Seat-Tmc, in Giur. cost., 2001, 828, 833. 523 A. Lalli, op. cit., 367.

dell’informazione pluralistica del cittadino, anche al fine di evitare il pericolo di formazione di oligopoli. Tale principio costituisce un punto di equilibrio, da un lato, tra la libertà di stampa e la libertà di essere informati e, dall’altro lato, tra la libertà di stampa e la libertà di iniziativa economica privata524.

Sugli effetti del finanziamento pubblico dei mezzi d’informazione la Corte suprema degli Stati Uniti, in Federal Communications Commission v. League of Women Voters of

California, 47 U.S. 399 (1984), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di un

provvedimento legislativo del Congresso che vietava l’espressione di opinioni politiche nei programmi delle televisioni non commerciali finanziate dalla Federazione, proprio in considerazione dello “speciale vantaggio” da esse goduto. La Corte, al contrario, sostenne l’incomprimibilità del I emendamento e della conseguente libertà di manifestazione del pensiero.

In Italia, con la sentenza n. 112 del 1993 la Corte costituzionale ha ribadito di avere «da tempo affermato che il “diritto all’informazione” va determinato e qualificato in riferimento ai principi fondanti della forma di Stato delineata dalla Costituzione, i quali esigono che la nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale» caratterizzata «dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie - che comporta, fra l’altro, il vincolo al legislatore di impedire la formazione di posizioni dominanti e di favorire l’accesso nel sistema radiotelevisivo del massimo numero possibile di voci diverse - in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti». Nella sent. n. 466 del 2002 la Corte costituzionale ha evidenziato il legame tra il pluralismo dei mezzi di informazione e la concorrenza, nonché messo in luce il consequenziale aggravamento delle concentrazioni in presenza di restrizioni delle condizioni di pluralismo (Considerato in diritto, n. 7). Sulla necessità della regolazione, con la sent. n. 420 del 1994, la Corte ha sostenuto che «condizione indefettibile per il superamento della riserva statale dell’attività di radiodiffusione è costituita da un’idonea disciplina che prevenga la formazione di posizioni dominanti le quali in questo settore possono non solo alterare le regole della concorrenza, ma anche condurre ad una situazione di oligopolio, che in sé pone a rischio il valore fondamentale del pluralismo delle voci, espressione della libera manifestazione del pensiero; pluralismo “esterno” che condiziona il carattere misto del sistema delle radiodiffusioni come attività di preminente interesse generale e che si coniuga - risultandone rafforzato - con il pluralismo “interno”». La libertà di accesso al mercato radiotelevisivo è assicurata alle imprese sia dall’art. 41 che dall’art. 21 Cost., determinando, come ineludibile imperativo costituzionale, la necessità di garantire «il massimo di pluralismo esterno, onde

524 F. Gambini, voce Art. 21, in Commentario breve alla Costituzione, a cura di S. Bartole, R. Bin, V. Crisafulli,

L. Paladin, Padova, 2008, 179. Sul rapporto tra pluralismo dell’informazione e necessità del servizio pubblico, nonché sulla vicenda dei finanziamenti pubblici erogati alle emittenti concessionarie di servizi pubblici, qualificati a livello comunitario come aiuti di Stato, si veda: M. Manetti, Pluralismo dell’informazione

soddisfare, attraverso una pluralità di voci concorrenti, il diritto del cittadino all’informazione» (sent. n. 826 del 1988), appunto perché il fine dell’utilità sociale, di cui all’art. 41 della Costituzione, si collega ad un diritto sicuramente fondamentale: il pluralismo dell’informazione ex art. 21 Cost. (sent. n. 231 del 1985). Infatti, la «posizione di preminenza di un soggetto o di un gruppo privato non potrebbe non comprimere la libertà di manifestazione del pensiero di tutti quegli altri soggetti che, non trovandosi a disporre delle potenzialità economiche e tecniche del primo, finirebbero con il vedere progressivamente ridotto l’ambito di esercizio delle loro libertà» (sent. n. 148 del 1981), né la presenza della concessionaria pubblica - che pur si colloca in una posizione particolare in ragione della doverosa maggiore realizzazione del pluralismo interno nel servizio pubblico - è di per sé sola e sufficiente a bilanciare una posizione dominante nel settore privato essendosi già posto in evidenza come «il pluralismo in sede nazionale non potrebbe in ogni caso considerarsi realizzato dal concorso tra un polo pubblico ed un polo privato che sia rappresentato da un soggetto unico o che comunque detenga una posizione dominante nel settore privato» (sent. n. 826 del 1988). Nella sent. n. 206 del 2009 la Corte ha dichiarato illegittimo costituzionalmente l’art. 2, comma 2-bis, della legge n. 78 del 1999, nella parte in cui vieta con effetto retroattivo alle emittenti locali di utilizzare un marchio che richiami, anche in parte, quello di una emittente nazionale, in quanto «riduce l’effettività dell’accesso al mercato delle comunicazioni alle emittenti non aventi dimensioni nazionali». Da ultimo, la sent. n. 255 del 2010 ha confermato che la normativa statale in tema di «sistema integrato delle comunicazioni» attiene alla materia della tutela della concorrenza nel settore economico delle comunicazioni.

Anche nella Federazione americana, lo Stato ha attuato nei confronti della televisione un approccio regolatorio a livello nazionale. Infatti, il Congresso assorbì la materia delle comunicazioni radiotelevisive tra le proprie competenze, in quanto beni pubblici bisognevoli di una regolamentazione al di là dei confini statali. Ciò nonostante, la fondazione delle stazioni radiotelevisive fu affidata all’iniziativa privata, nonchè istituita una Commissione federale indipendente (Federal Communications Commission) avente il potere di distribuire le limitate assegnazioni dei canali. Inoltre, tale Commissione predispose dei particolari obblighi in capo ai privati titolari delle trasmissioni diretti a perseguire un’equa comunicazione televisiva, tra cui: l’obbligo di fornire un’informazione completa ed equilibrata su materie di interesse collettivo; concedere adeguato spazio ai vari punti di vista; ospitare, a parità di condizioni, la propaganda delle varie parti politiche; concedere richieste di rettifica525.

Il venir meno dei limiti fisici dei canali e l’ampliamento delle possibilità di trasmissione grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie ha determinato un riadattamento alla lettura del I emendamento526, per cui l’intervento regolatorio è

525 G. Bognetti, Lo spirito del costituzionalismo americano. La Costituzione liberale, vol. II, Torino, 2000, 94. 526 I emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America: «Congress shall make no law respecting

giustificato solo qualora le condizioni del mezzo non consentono materialmente il pluralismo degli operatori della comunicazione. In tal senso, Columbia Broadcasting System,

Inc. v. Federal Communications Commission, 453 U.S. 367 (1981), si esprime sulla Section 312

(a) (7) del Communications Act of 1934, aggiunta dal Titolo I del Federal Election Campaign

Act del 1971, che autorizza la Federal Communications Commission (FCC) a revocare la

licenza televisiva «for willful or repeated failure to allow reasonable access to or to permit purchase of reasonable amounts of time for the use of a broadcasting station by a legally qualified candidate for Federal elective office on behalf of his candidacy». Secondo la Corte, la limitazione al diritto di accesso ai mezzi di comunicazione non viola il I emendamento per circoscrivere illegittimamente la discrezionalità dell’editore, bensì svolge una neceessaria operazione di bilanciamento tra i diritti dei candidati, il pubblico e le emittenti concorrenti. A riguardo, la Corte ricorda che Columbia Broadcasting

System, Inc. v. Democratic National Committee, 412 U.S. 110 (1973), evidenzia che «is the

right of the viewers and listeners, not the right of the broadcasters, which is paramount».

La piena e libera concorrenza dei mezzi di comunicazione è fondamentale per la democrazia. Infatti, attraverso l’industria dei media il libero flusso delle informazioni consente ai cittadini di partecipare al processo democratico527. Già James Madison

affermò che «un governo popolare senza un’informazione popolare, o senza gli strumenti per acquisirla, non è nient’altro che il prologo di una farsa o di una tragedia, o forse di entrambi». Pertanto, più il potere mediatico è concentrato, più sarà difficile avere un ampio ventaglio di punti di vista e di opinioni e che, di conseguenza, i media rispondano alle loro responsabilità.

In definitiva, la tutela della concorrenza nel settore delle comunicazioni costituisce la necessaria garanzia del pluralismo dell’informazione all’interno di un ordinamento democratico, proprio perché economia sociale di mercato e democrazia interagiscono al meglio quando l’opinione pubblica è fluida e plurale.

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