4. La giurisprudenza costituzionale dopo la riforma del Titolo V: verso il
5.3. Orari di apertura degli esercizi commerciali e vendite promozionali
Nel corso degli ultimi anni, le Regioni sono state sempre più coinvolte nella regolazione della disciplina del settore del commercio. Basti pensare ad alcuni interventi legislativi, quali il d. lgs. n. 114 del 1998, la riforma del Titolo V, il c.d. decreto Bersani e le ultime proposte del governo Monti tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012.
Infatti, il d.lgs. n. 114 del 1998 ha introdotto alcune liberalizzazioni in determinati settori commerciali, nel 2001 si è assistito alla devoluzione della competenza esclusiva regionale in materia di commercio, successivamente, con il d.l. 223 del 2006, convertito nella l. n. 248 del 2006 (c.d. decreto Bersani), sono state abbattute delle restrizioni al commercio. Recentemente sono intervenuti il d.l. n. 98 del 2011, convertito nella legge n. 111 del 2011, il d.l. n. 138 del 2011, convertito nella l. n. 148 del 2011, ed il d.l. n. 1 del 2012 (Decreto Sviluppo, Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e
la competitività), introduttivi di ulteriori elementi di liberalizzazione. Infatti, il d.l. n. 98 del
2011, convertito nella legge n. 111 del 2011 ha consentito la liberalizzazione degli orari di apertura e chiusura, limitatamente agli esercizi commerciali “ubicati nei Comuni inclusi
negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte”. Successivamente, il d.l. n. 138 del
2011 ha esteso a tutti i Comuni l’eliminazione dei vincoli di orario di apertura e chiusura, nonché dell’obbligo della chiusura domenicale e di quella infrasettimanale per tutti gli
esercizi. La legge di conversione del citato decreto, tuttavia, ha ripristinato il testo originario della norma come contenuta nel d.l. n. 98 del 2011, riducendo quindi consistentemente la portata liberalizzatrice della norma del d.l. n. 138 del 2011, che si sarebbe applicata ai circa ottomila comuni italiani344.
Nella materia del commercio la regolazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali è stato uno dei principali oggetti delle sentenze della Corte costituzionale. Nella sent. n. 243 del 2005 il Giudice di legittimità costituzionale ha dichiarato la questione in parte qua inammissibile per carenza dei requisiti di chiarezza ed univocità del quesito in quanto il giudice a quo non ha distintamente individuato il parametro costituzionale di riferimento, avendo affermato che la tutela della concorrenza, in materia di deroghe agli orari di vendita degli esercizi commerciali poste dal legislatore regionale, «viene certamente in rilievo in relazione alla libertà di iniziativa economica», così prospettando l’indissolubile correlazione che legherebbe ogni fenomeno incidente sulla libertà di iniziativa economica alla materia della tutela della concorrenza, nella quale lo Stato ha potestà legislativa esclusiva, a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Per un altro verso, tuttavia, lo stesso Tribunale rimettente asserisce, subito dopo, che tale tesi “parrebbe provare troppo”, implicando una eccessiva restrizione dell’ambito della competenza residuale delle Regioni».
Con la sent. n. 288 del 2010 la Corte è stata chiamata a valutare la legittimità costituzionale delle disposizioni delle Regione Lombardia relative agli orari di apertura degli esercizi commerciali le quali, secondo il Tribunale rimettente, inciderebbero sull’assetto concorrenziale all’interno del mercato regionale ponendo ulteriori limiti rispetto a quelli previsti dal legislatore statale col d.lgs. n. 114 del 2008, violando la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza ed il principio comunitario di proporzionalità, perché introduttive di una disciplina differenziata rispetto alle altre parti del territorio nazionale. Per la Corte la normativa regionale sull’apertura domenicale e festiva degli esercizi commerciali per la vendita al dettaglio non si pone in contrasto con il d.lgs. n. 114 del 1998, «in quanto introduce una disciplina di settore di sostanziale liberalizzazione che, in conformità con quella statale,
344 A. Argentati, La giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di “tutela della concorrenza”, cit., 29. In
materia di limiti all’accesso di nuovi operatori nel mercato, da ultimo, è intervenuta la Corte costituzionale con la sent. n. 18 del 2012, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 15-bis, comma 4, della legge della Regione autonoma Sardegna n. 5 del 2006, che ha subordinato «la cessione di attività commerciali su aree pubbliche al decorso di un triennio dalla data del rilascio del titolo abilitativo, ostacola l’accesso a quelle attività e condiziona, restringendolo, il libero esplicarsi dell’attività imprenditoriale». Pertanto, per avere tale norma imposto una limitazione temporale alla cessione di attività commerciali, ha ristretto – conseguentemente - la possibilità di accesso di nuovi operatori, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Tale restrizione è, infatti, possibile ai sensi dell’art. 16 della direttiva CE 12 dicembre 2006, n. 123 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), recepita nell’ordinamento italiano con decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno), solo quando sia giustificata «da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente». La materia «commercio» retrocede in favore dell’accesso alle attività commerciali laddove la disciplina di tale materia sia in grado di restringere il libero esplicarsi dell’attività imprenditoriali. In tal modo, si comprime la libera circolazione dei servizi, la garanzia costituzionale in tema di iniziativa economica e, in definitiva, il principio della libera concorrenza.
prende in considerazione una serie di parametri, quali il settore merceologico di appartenenza, la dimensione dell’esercizio commerciale e gli effetti sull’occupazione». Inoltre, la disciplina regionale lombarda produce effetti pro-concorrenziali in via marginale ed indiretta, «poiché evita che vi possano essere distorsioni determinate da orari di apertura significativamente diversificati, in ambito regionale, nei confronti di esercizi commerciali omogenei».
Con la sent. n. 232 del 2010 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 113, comma 2, della legge della Regione Liguria 2 gennaio 2007, n. 1 (Testo unico in materia di commercio), come sostituito dall’art. 27 della legge della Regione Liguria 3 aprile 2007, n. 14 (Disposizioni collegate alla legge finanziaria 2007), il quale, imponendo il divieto di vendite promozionali nei quaranta giorni antecedenti i saldi stagionali, aveva invaso la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza e si era posta in aperto contrasto con l’art. 3, comma 1, della legge n. 248 del 2006 volta ad eliminare la fissazione di divieti ad effettuare vendite promozionali al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato.
L’ordinanza n. 12 del 2011, in materia di restrizione di apertura facoltativa degli esercizi di vendita al dettaglio a posto fisso per gli esercizi della grande distribuzione (l.r. Abruzzo n. 11 del 2008), ha considerato che tale disposizione lederebbe anche «il diritto di libera iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., in quanto l’apertura domenicale o festiva di una grande struttura di vendita in occasione del contestuale mercato o fiera non comporta alcun pregiudizio per la sicurezza, l’utilità sociale, la libertà o la dignità umana e, pertanto, costituirebbe un limite alla libera iniziativa economica privo di una ragionevole giustificazione». Inoltre, tale «norma si porrebbe in contrasto anche con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. che riserva allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di tutela della concorrenza, trattandosi di una misura legislativa che incide “sull’accesso al mercato”, condizione essenziale per la realizzazione della concorrenza, in modo difforme da quanto previsto dall’art. 11 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59)».
Pertanto, la Corte costituzionale bilancia casu concreto la necessità dell’uniforme funzionamento del mercato sul territorio nazionale con la considerazione del mercato rilevante e dell’incidenza territoriale delle misure adottate dai legislatori regionali, oggetto dei giudizi di legittimità costituzionale in materia di orari di apertura degli esercizi commerciali e di vendite promozionali.
La già citata sent. n. 150 del 2011 evidenzia come sia necessario valutare se la disciplina degli orari «determini o meno un vulnus alla tutela della concorrenza, tenendo presente che è stata riconosciuta la possibilità, per le Regioni, nell’esercizio della potestà legislativa nei loro settori di competenza, di dettare norme che, indirettamente, producano effetti pro-concorrenziali». La Corte, nel caso de quo, ammette una disciplina regionale di carattere ancora più concorrenziale di quanto vigente a livello nazionale purchè «tali effetti siano marginali o indiretti e non siano in contrasto con gli obiettivi
delle norme statali che disciplinano il mercato, tutelano e promuovono la concorrenza». Tale assunto è stato ribadito anche nella sent. n. 18 del 2012 (v. supra), per cui «è illegittima una disciplina che, se pure in astratto riconducibile alla materia commercio di competenza legislativa delle Regioni, produca, in concreto, effetti che ostacolino la concorrenza, introducendo nuovi o ulteriori limiti o barriere all’accesso al mercato e alla libera esplicazione della capacità imprenditoriale»
Anche la Regione può adottare discipline incisive della concorrenza, purchè a sostegno della concorrenza e, comunque, ad effetto indiretto.