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La giurisprudenza costituzionale anteriore alla legge n 287 del 1990: dalla

pubblico “paladino” dell’utilità sociale. - 2.2. Un revirement isolato: la sent. n. 223 del 1982 tra mercato concorrenziale ed interesse collettivo. - 2.3. Alla vigilia della legge n. 287 del 1990: la sentenza n. 241 del 1990. - 3. Passi incerti tra legge antitrust e riforma del Titolo V della Costituzione. - 4. La giurisprudenza costituzionale dopo la riforma del Titolo V: verso il modellamento della nozione, della collocazione della materia e del principio di concorrenza. – 4.1. La trasversalità delle materie tra àmbiti materiali ed interessi territorialmente sovraordinati. – 4.2. Le ragioni della “trasversalità” della tutela della concorrenza. – 4.3. L’actio finium regundorum della materia operata dalla giurisprudenza costituzionale. – 5. Settori concorrenziali all’incrocio tra competenze statali e regionali. - 5.1. Servizi pubblici locali. – 5.2. Contratti pubblici. – 5.3. Orari di apertura degli esercizi commerciali e vendite promozionali. – 6. Uniformità, trasversalità e tutela della concorrenza. - 7. Il contenuto della tutela della concorrenza e “l’irrompere del principio nel gioco della concorrenza”. – 7.1. La nozione. – 7.2. Il principio e gli interessi protetti. – 8. L’“arresto” del caso Alitalia.

1. La Corte costituzionale e l’affermazione del principio di concorrenza

Prima che la concorrenza venisse riconosciuta quale canone costituzionale fondante la libertà di iniziativa economica e lo stesso sistema economico, la Corte aveva mantenuto una posizione di distanza da qualsiasi assunto suscettibile di deriva liberista. Anzi, questioni concernenti la politica industriale e la tutela del consumatore rimanevano ai margini del giudizio di costituzionalità, ove prevaleva l’esigenza di non sovrapporre valutazioni proprie della Corte al merito delle norme poste dal legislatore217.

Pertanto, sino alla revisione dell’art. 117 Cost. ad opera della l.c. n. 3 del 2001, con cui per la prima volta viene inserito un esplicito riferimento alla concorrenza in Costituzione, l’elaborazione della giurisprudenza costituzionale è stata concentrata sui rapporti tra la garanzia della sfera privata di libertà e della simmetrica garanzia dell’intervento pubblico, di cui all’art. 41 della Costituzione218. Dopo alcune rilevanti

pronunce in senso liberista negli anni’60 (sentenze n. 46 del 1963, n. 5 del 1962, n. 103 del 1957), la Corte costituzionale ha prevalentemente considerato l’intervento pubblico,

217 Così M. Dani, Costituzione e integrazione europea: dalle “limitazioni della sovranità” alla trasformazione del diritto

costituzionale, cit., 334.

attraverso una interpretazione estensiva della clausola dell’utilità sociale, al fine di dare tutela ad un ampio novero di interessi (sentenze n. 30 del 1965 e n. 111 del 1974)219.

Una delle principali ragioni delle poche – e comunque non incisive (perché spesso le questioni venivano dichiarate manifestamente infondate) - pronunce della Corte risiederebbe proprio nella considerazione della massima discrezionalità adottata dal legislatore nel dare contenuto all’utilità sociale220.

Al fine di tentare una compiuta analisi della giurisprudenza costituzionale in materia si ritiene opportuno scandire in tre fasi temporali il percorso tracciato dalla Corte costituzionale: il periodo anteriore all’adozione della legge n. 287 del 1990, il periodo intercorrente tra la legge n. 287 del 1990 e la riforma costituzionale di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001, nonché la fase successiva alla riforma del Titolo V della Costituzione. Infatti, solo nei primi anni Novanta – a seguito dell’adozione della legge antitrust e della stipula del Trattato di Maastricht – la Corte ha iniziato effettivamente ad aprire le porte alla libertà di concorrenza la quale, dopo il 2001, può essere compiutamente considerata quale principio dell’ordinamento e parametro di legittimità costituzionale.

Seppure sia vero, come è stato detto, che la Costituzione economica, in assenza di una politica economica di attuazione costituzionale, finiva per presentarsi agli occhi della Corte come un “guscio vuoto”, e che lo strumento del controllo costituzionale in materia economica ha rischiato molte volte di risultare spuntato, è parimenti vero che, in alcuni settori il ruolo dialettico e trainante della Corte ha inciso con grande efficacia (v.

infra)221.

2. La giurisprudenza costituzionale anteriore alla legge n. 287 del 1990: dalla

concorrenza come rischio alla concorrenza come vantaggio?

Il giudice costituzionale è stato più volte chiamato a garantire l’equilibrio tra l’istanza garantista e quella liberista. Dall’analisi della giurisprudenza costituzionale a riguardo sembra si possa rilevare che la Corte abbia inteso offrire garanzie effettive ed adeguate agli interessi di rango costituzionale afferenti alla sfera economica, ponendo

219 In tema di valutazione di idoneità dei mezzi al fine di perseguire l’interesse pubblico si leggano le

sentenze n. 466 del 1988 e n. 63 del 1991.

220 Cfr. A. Argentati, Il principio di concorrenza e la regolazione amministrativa dei mercati, Torino, 2008, 156. Alla

clausola generale dell’utilità sociale sono stati ricondotti anche interessi qualificati in vario modo e collegati alla sfera economica, quali, in particolare, quelli attinenti alla esigenza di protezione di una data produzione (sent. n. 20 del 1980), ovvero alla necessità «di salvaguardare l’equilibrio di mercato tra domanda ed offerta» in un determinato settore (sent. n. 63 del 1991), oppure strumentali a garantire i valori della concorrenzialità e competitività delle imprese (sent. n. 439 del 1991), o anche «l’esigenza di interesse generale di riconoscimento e valorizzazione del ruolo» di imprese di determinate dimensioni (sent. n. 64 del 2007).

221 E. Cheli, Orientamento della giurisprudenza costituzionale in tema di “monopoli pubblici”, in Scritti e tendenze del

attenzione a non sovrapporre proprie valutazioni di natura politica agli indirizzi di politica economica adottati dagli organi di governo del sistema222. Infatti, a differenza di

quanto ha compiuto in tema di proprietà privata, la Corte costituzionale si è impegnata, nei suoi interventi in tema di libertà di iniziativa economica, a dare un contenuto alla clausola generale di “utilità sociale”223.

Nella lettura dell’art. 41 della Costituzione durante questo primo lungo periodo, il Giudice costituzionale è stato più incline a considerare la libertà di impresa, anziché la libertà di concorrenza224, adottando una prospettiva esclusivamente soggettiva della

libertà di iniziativa economica. È stato anche provocatoriamente sostenuto che, attraverso tale interpretazione dell’art. 41, la Corte abbia indiscriminatamente avallato tutti gli interventi legislativi volti a limitare e a condizionare la libertà di iniziativa economica, appunto perché sono state poche le pronunce in cui la Corte avesse dichiarato l’illegittimità costituzionale delle discipline concernenti la programmazione ed i monopoli, anche ricorrendo al criterio di ragionevolezza tra fini e mezzi legislativi225.

Invero, la Corte non avrebbe potuto agire diversamente: non solo si trattava di scelte prettamente politiche, ma non rientrava nella cultura giuridica del tempo l’adozione di un criterio prettamente liberista fondato su una economia di mercato esclusivamente basata sulla libertà di concorrenza.

Innanzitutto, le decisioni riguardanti la concorrenza ne confermano il carattere flessibile, dovuto alla mutevolezza dei punti di equilibrio sui quali il sistema economico ha potuto, di volta in volta, assestarsi. Infatti, in tale materia si registra un’evoluzione (anche) giurisprudenziale, con il passaggio da una posizione più risalente preoccupata dei rischi recati dalla concorrenza ad un atteggiamento volto a porre in evidenza la concorrenza come vantaggio226.

222 L. D’Andrea, Corte ed economia, in http://www.gruppodipisa2010.it/, giugno 2010. Per l’Autore la relazione

tra il sistema giuridico ed il sistema economico delineata dalla Carta costituzionale è connotata dall’equilibrata convivenza dell’istanza di garanzia di una sfera ineliminabile di libertà e di autonomia dei diversi operatori economici (e dunque anche del mercato come sistema) con l’esigenza dell’intervento del potere pubblico laddove si debbano registrare i cc. dd. “fallimenti del mercato”, i quali, per il diritto costituzionale, consistono nella mancata (o quanto meno inadeguata) protezione di interessi di rango costituzionale da parte della libera e spontanea dinamica del sistema economico. Pertanto, ogni qualvolta si verifica un “fallimento del mercato” - secondo D’Andrea - il sistema costituzionale richiede che si apprestino interventi idonei a fornire adeguate garanzie. La ricerca dell’equilibrio tra le due istanze deve essere costantemente orientata dal principio personalista, radice del principio di sussidiarietà.

223 E. Gianfrancesco, Libertà di impresa, cit., 2209, 2212.

224 A. Argentati, op. cit., 157. Sinteticamente ed efficacemente, L. Cassetti, Stabilità economica e diritti

fondamentali. L’euro e la disciplina costituzionale dell’economia, Torino, 2002, 212, ha precisato che «nonostante la

giurisprudenza costituzionale sulla legislazione economica abbia privilegiato l’interpretazione dei limiti, ed in particolare quello dell’utilità sociale, è tuttavia emersa fin dagli anni ‘50 una linea giurisprudenziale che ha definito i contorni del nucleo duro della libertà d’impresa. Sono state invece decisamente meno chiare le opzioni del giudice costituzionale quando si è trattato di valutare il rapporto tra la libertà di iniziativa economica privata e la difesa della concorrenzialità del mercato».

225 A. Pericu, Impresa e obblighi di servizio pubblico, Milano, 2001, passim. 226 M. Giampieretti, Il principio costituzionale, cit., 439, 444.

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