Una delle forme di divisione dei poteri si colloca sull’asse verticale del governo, ovvero su quello politico-territoriale. La forma di Stato è, in quest’ottica, rappresentazione dei vincoli associativi derivati dallo stabile radicarsi in uno stesso territorio di gruppi sociali tenuti insieme da interessi in largo senso politici, sorti in virtù della tradizione e di un comune modo di valutare i bisogni collettivi di base573. Alla luce
di quanto già ricostruito, nel presente paragrafo si intende considerare il rapporto tra il modo di suddivisione dei poteri sull’asse territoriale ed i sistemi di tutela della concorrenza all’interno di un sistema propriamente federale, quale il modello statunitense, ed uno regionale, secondo la rielaborazione italiana.
Il modello originario di federalismo statunitense è di carattere duale, ovvero basato sul principio della piena separazione tra Federazione e Stati membri. Tale modello è proprio dello Stato liberale e contempla una riduzione degli interventi statali al minimo, specie in materia di regolazione economica e, conseguenzialmente, risulta incompatibile con le esigenze di uno Stato sociale. Proprio per la necessità di integrare lo Stato liberale con elementi di Stato sociale, nella prima metà del XX secolo negli Stati Uniti si è assistito al passaggio ad un sistema di federalismo cooperativo574. Il
federalismo cooperativo si distingue dal federalismo duale per essere volto all’integrazione tra gli Stati membri, anziché alla separazione, prevedendo a livello centrale istituzioni, procedimenti e meccanismi di cooperazione fra i diversi livelli di governo al fine di perseguire finalità pubbliche riguardanti l’intera collettività nazionale, tipiche del Welfare State. A tale scopo, il New Deal di Franklin Delano Roosevelt del 1933, mosso dall’intento di stimolare la domanda di mercato e gli investimenti produttivi, ha introdotto dei correttivi propri di un modello di federalismo cooperativo. Tali alterazioni del modello duale erano legate, da un lato, all’affermazione di un mercato di
572 P. Häberle, Lo Stato costituzionale, cit., 152.
573 C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, vol. I, Padova, 1976, 139.
574 Sul passaggio dal federalismo duale a quello cooperativo si veda l’attenta analisi di A. Pierini, Federalismo
e Welfare State nell’esperienza giuridica degli Stati Uniti. Evoluzione e tensioni di un modello neo-liberale di assistenza sociale, Torino, 2003.
dimensione nazionale e, dall’altro lato, alla garanzia dei diritti fondamentali da parte del
Bill of rights in condizioni di eguaglianza, ai sensi della equal protection clause del XIV
emendamento. Tra le innovazioni principali a livello costituzionale e legislativo che hanno arato il terreno su cui è intervenuto il New Deal, oltre al XIV ed al XVI emendamento, si ricorda lo Sherman Act e la successiva istituzione di un’Autorità antitrust a livello federale575.
La Corte Suprema degli Stati Uniti ha svolto un determinante ruolo di stimolo per una legislazione innovativa, contribuendo a definire le linee politiche di volta in volta emergenti576. Nell’ambito dell’applicazione della commerce clause, in virtù della quale il
Congresso ha il potere di regolare il commercio tra i vari Stati e con le nazioni straniere, la Corte suprema ha svolto la funzione di guardiano della libertà del commercio da misure (poste dagli Stati) fiscali o regolatorie gravose o di ostacolo alla circolazione e, quindi, alla concorrenza577.
Col New Deal muta la forma di Stato statunitense e si passa dalla Costituzione liberale a quella democratica, a seguito del rafforzamento dell’intervento pubblico nell’economia a fini redistributivi e di una maggiore concentrazione di potere degli organi federali su quelli locali578. Il ritorno ad un’impostazione più marcatamente liberale
si registra nella seconda metà degli anni Ottanta del XX secolo, quando il Congresso riduce l’intervento pubblico in economia, ricorrendo alle politiche di deregulation e la Corte Suprema riconosce una maggiore sfera di autonomia agli Stati membri nell’esercizio del loro potere legislativo, tanto che la Corte giunge a consentire che il
575 C. Pinelli, Forme di Stato e forme di governo. Corso di diritto costituzionale comparato, Napoli, 2006, 222 ss. 576 G. Buttà, Costituzionalismo e giurisprudenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America tra Otto e Novecento,
in Culture costituzionali a confronto. Europa e Stati Uniti dall’età delle rivoluzioni all’età contemporanea, a cura di F. Mazzanti Pepe, Genova, 2005, 231. In merito al rapporto tra scelte politiche e intervento giudiziario, Tocqueville osservò come negli Stati Uniti non vi fosse «avvenimento politico in cui non si senta invocare l’autorità del giudice; dal che egli conclude che il giudice sia una delle principali forze politiche. Quando, poi, esamina la costituzione dei tribunali, non vi si scopre, in un primo momento, che attribuzioni e abitudini giudiziarie. Ai suoi occhi il magistrato sembra introdursi negli affari pubblici solo per caso; senonchè, è un caso che si ripete tutti i giorni» (in A. de Tocqueville, La democrazia in America, cit., 122). Pertanto, la funzione politica delle corti è intrinseca al potere, ancorchè ciò non significa confusione di poteri e di ruoli (G. Buttà, op. cit., 231, 232). Riguardo agli interventi della Corte in tema di libertà economiche W. F. Murphy, J. Tanenhaus, Comparative Constitutional Law. Cases and Commentaries, New York, 1977, 263, hanno evidenziato: «to curb State authority judges expanded the term “due process of law” in the XIV Amendment to encompass substantive as well as historic procedural protections. To curb federal authority, they read the X Amendment as if it restricted delegated powers of Congress to tax, regulate commerce and “make all laws which shall be necessary and proper” to execute specific grants».
577 Cfr. A. M. Bickel, The Least Dangerous Branch. The Supreme Court at the Bar of Politics, New Haven, Londra,
1962, 229. È esplicativo del rapporto tra concorrenza e commerce clause quanto espresso dalla Corte Suprema in New Energy Co. of Indiana v. Limbach, 486 U.S. 269, 273-274 (1988): «It has been long accepted that the Commerce Clause not only grants Congress the authority to regulate commerce among the States, but also directly limits the power of the States to discriminate against interstate commerce. […] This ‘negative’ aspect of the Commerce Clause prohibits economic protectionism – that is, regulatory measures designed to benefit in-state economic interests by burdening out-of-state competition. […] Thus, State statutes that clearly discriminate against interstate commerce are routinely struck down, […] unless the discrimination is demonstrably justified by a valid factor unrelated to economic protectionism».
Congresso potesse disciplinare qualsiasi materia che, anche indirettamente, incidesse sul commercio tra gli Stati membri579. Il recepimento di tale inversione di tendenza da parte
della giurisprudenza è provato dal caso United States v. Lopez, 514 U.S. 549 (1995), in cui la Corte ha - per la prima volta - dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma federale per violazione della commerce clause, specificando le aree in cui sia consentito un intervento federale per mezzo di tale clausola: l’utilizzo delle reti del commercio infrastatale; la protezione e la regolamentazione delle risorse necessarie per il commercio infrastatale; la regolamentazione di tutte le attività che hanno una sostanziale relazione col commercio infrastatale580.
Fino alla Reconstruction di Roosevelt la Corte aveva escluso la legittimità costituzionale di leggi, federali e statali, che regolassero orari di lavoro e attività industriali. Nell’introduzione di elementi di federalismo cooperativo, il ruolo della Corte suprema diventa determinante: infatti, reinterpretando la commerce clause, la Corte consentì che le leggi federali potessero regolare tali materie581. La cooperazione si
sostanzia nella collaborazione da parte delle amministrazioni statali per l’esecuzione di leggi federali.
Dalla commerce clause discende il principio per cui l’unità economica è la Nazione che - di per sé - dispone della gamma di poteri necessari per controllare l’economia. Tale principio ha come corollario che gli Stati della Federazione non sono unità economiche separabili582. Come argomentato nel Federalist Paper n. 42, tale clausola era volta a togliere
579 M. Comba, Gli Stati Uniti d’America, in Diritto costituzionale comparato, a cura di P. Carrozza, A. Di
Giovine, G. F. Ferrari, Roma, Bari, 2009, 127, 129 et 132. Sul punto, si ricorda la sentenza Heart of Atlanta
Motel, Inc. v. United States, 379 U.S. 241 (1964), in cui la Corte ha censurato la prassi di un hotel della
Georgia di non accogliere negroes, in forza della considerazione che l’obbligo dei titolari di pubblici servizi di servire anche le “persone di colore” avrebbe favorito il commercio tra gli Stati.
580 La giurisprudenza statunitense ha elaborato anche il principio della “negative or dormant commerce clause”,
ovvero il principio costituzionale per cui la commerce clause impedisce la regolamentazione statale di un’attività commerciale intrastatale anche quando il Congresso non si è avvalso del suo potere per disciplinare quell’attività. Recentemente, la Corte Suprema in Dep’t of Revenue of Ky. v. Davis, 553 U.S. 338- 339 (2008), ha precisato che: «We ask whether a challenged law discriminates against interstate commerce. A discriminatory law is “virtually per se invalid,” and will survive only if it “advances a legitimate local purpose that cannot be adequately served by reasonable nondiscriminatory alternatives.” Absent discrimination for the forbidden purpose, however, the law “will be upheld unless the burden imposed on [interstate] commerce is clearly excessive in relation to the putative local benefits». Sull’applicazione della
dormant commerce clause in alcuni casi disciplinati dalla legislazione statale antitrust si veda: B. O. Bruckmann, The Case for a Commerce Clause Challenge to State Antitrust Laws Banning Minimum Resale Price Maintenance, in 39 Hastings Constitutional Law Quarterly 391 (2012). La dormant commerce clause consente agli Stati di disciplinare
una parte del commercio al di là dei propri confini, finchè tali discipline non entrano in conflitto con leggi federali. Gibbons v. Ogden, 22 U.S. (9 Wheat.) 1, 209 s. (1824), specifica che gli Stati possono sancire leggi che regolano il commercio fintantochè queste leggi non contraddicano o interferscano con le leggi federali.
581 C. Pinelli, Forme di Stato e forme di governo. Corso di diritto costituzionale comparato, Napoli, 2006, 224. Sulla
Reconstruction si veda B. Ackerman, We The People. Transformations, Cambridge (MA), Londra, 1998, 99 ss. e
S. Skowronek, The Politics Presidents Make. Leadership from John Adams to Bill Clinton, Cambridge (MA), Londra, 1993, 288 ss.
582 Così la Corte Suprema in Or. Waste Sys., Inc. v. Dep’t of Envtl. Quality, 511 U.S. 93, 98 s. (1994), ove cita
agli Stati membri il potere di impedire la libera circolazione di merci, capitali e persone sul territorio federale e, quindi, svolgeva la funzione di garanzia indiretta dell’unità dell’intero mercato statunitense583. Pertanto, la commerce clause costituisce il limite
dell’uniformità della disciplina della tutela della concorrenza sull’intero territorio federale: laddove vi sia un’area che, per importanza e per scopo dell’attività, comporti un commercio infrastatale, allora sarà necessaria una regolazione uniforme della disciplina attraverso il ricorso alla c.d. supremacy clause584. Quest’ultima rappresenta la garanzia
dell’unità nazionale ed il perno del sistema federale statunitense, in forza del quale la Costituzione e le leggi dello Stato centrale prevalgono su quelle degli Stati membri585.
A riguardo, si osserva che i sistemi antitrust a livello statale e federale non operano in maniera interamente indipendente l’uno dall’altro586. Infatti, i due sistemi legislativi si
integrano come parti di uno schema a doppio livello in cui le leggi federali non sostituiscono, bensì integrano quelle statali. Il diritto antitrust statale ordinariamente completa il diritto federale occupandosi delle condotte anticoncorrenziali che si verificano all’interno dello Stato. Tuttavia, alcuni Stati hanno costruito i loro regimi
antitrust in modo da occuparsi anche di condotte che varcano i confini dello Stato. Ciò
ha destato significativi problemi nel rapporto tra federalismo e commerce clause, a causa delle possibili responsabilità extraterritoriali per condotte che non hanno effetti all’interno dello Stato587. Sebbene gli Stati possono applicare i propri sistemi antitrust alle
583 Così, G. Bognetti, Lo spirito del costituzionalismo americano. La Costituzione democratica, vol. I, Torino, 1998,
38. Nel Federalist Paper n. 42 (firmato da “Publius” James Madison) si legge: «A very material object of this power was the relief of the States which import and export through other States, from the improper contributions levied on them by the latter. Were these at liberty to regulate the trade between State and State, it must be foreseen that ways would be found out to load the articles of import and export, during the passage through their jurisdiction, with duties which would fall on the makers of the latter and the consumers of the former. We may be assured by past experience, that such a practice would be introduced by future contrivances; and both by that and a common knowledge of human affairs, that it would nourish unceasing animosities, and not improbably terminate in serious interruptions of the public tranquillity. To those who do not view the question through the medium of passion or of interest, the desire of the commercial States to collect, in any form, an indirect revenue from their uncommercial neighbors, must appear not less impolitic than it is unfair; since it would stimulate the injured party, by resentment as well as interest, to resort to less convenient channels for their foreign trade. But the mild voice of reason, pleading the cause of an enlarged and permanent interest, is but too often drowned, before public bodies as well as individuals, by the clamors of an impatient avidity for immediate and immoderate gain» (A. Hamilton, J. Madison, J. Jay, The Federalist Papers (1788), a cura di C. Rossiter, New York, 2003, 264).
584 Art. 6, clause 2, Cost. USA: «This Constitution, and the laws of the United States which shall be made
in pursuance thereof; and all treaties made, or which shall be made, under the authority of the United States, shall be the supreme law of the land; and the judges in every state shall be bound thereby, anything in the Constitution or laws of any State to the contrary notwithstanding».
585 Un esempio di necessaria uniformità della disciplina è descritto nel caso State v. Milwaukee Braves, Inc.
144 N.W.2d 1 (Wis. 1966), commentato da J. Goldberg, Antitrust Law - Constitutional Law - Commerce Clause
- Applicability of State Law to Professional Baseball. - State v. Milwaukee Braves, Inc., in 8 Boston College Law Review
341 (1967).
586 H. Hovenkamp, State Antitrust in the Federal Scheme, in 58 Ind. L.J. 375, 375 (1983).
587 M. J. Ruttinger, Is there a dormant extraterritoriality principle?: Commerce Clause limits on State Antitrust Laws, in
condotte fuori dallo Stato, la violazione denunciata deve avere un sufficiente effetto all’interno dello Stato. Da ciò consegue che la commerce clause teoricamente impedisce a qualsiasi Stato di applicare la propria legge extraterritorialmente, quando la condotta ritenuta illecita non ha avuto effetti all’interno dello Stato o quando il sistema di tutela impedirebbe il libero flusso commerciale tra gli Stati588.
Un ulteriore profilo di analisi del rapporto tra forma di Stato e tutela della concorrenza – e di cui già si è in parte trattato nel capitolo III, par. 4 - concerne il ruolo degli Stati della Federazione statunitense, quali parens patriae nelle azioni avverso illeciti
antitrust che arrechino pregiudizio agli interessi dei consumatori. Basti ricordare il caso Georgia v. Pennsylvania Railroad Co., 324 U.S. 439 (1945), in cui la Corte Suprema
riconosce la legittimazione dello Stato della Georgia avverso un cartello ferroviario, appunto perché esso «limits the opportunities of her people, shackles her industries, retards her development and relegates her to an inferior economic position among her sister States». La Corte, quindi, riconosce non solo le conseguenze su imprese ed utenti, ma anche la parità di condizioni di concorrenza tra Stati, elementi tali da integrare un interesse pubblico che riguarda singoli individui, ma che è generale ed acefalo e, conseguenzialmente, autonomo da specifiche situazioni soggettive affette dall’illecito. In
Hawaii v. Standard Oil Co., 405 U.S. 251 (1972), lo Stato attore lamenta il pregiudizio
subito dal proprio sistema economico a causa di un cartello nel settore degli idrocarburi, consistente nella diminuzione dei redditi dei propri cittadini, più basse entrate fiscali, nonché riduzione delle opportunità di sviluppo e di sfruttamento della ricchezza nazionale. La Corte rigetta l’azione dello Stato, paventando una duplicazione dei risarcimenti perché quanto richiesto dalle Hawaii sarebbe il riflesso dei danni al “business or property” dei consumatori, i quali comunque possono agire con altri strumenti processuali previsti dal Clayton Act, ritenendo possibile un’azione risarcitoria dello Stato solo qualora siano lesi i suoi propri interessi commerciali. Resta comunque possibile lo strumento dell’azione inibitoria a cui può ricorrere lo Stato per la lesione dell’interesse acefalo al buon andamento dell’economia nazionale589. La Corte Suprema,
quindi, ammette la lesione di un interesse pubblico ad opera di condotte contrarie al principio di concorrenza, tanto che nelle dissenting opinions dei giudici Douglas e Brennan viene considerato come non siano esattamente sovrapponibili il pregiudizio del singolo consumatore col pregiudizio subito dall’interesse generale dello Stato, non esaurendosi
588 Così in Freeman v. Hewitt, 329 U.S. 249, 252 (1946). M. J. Ruttinger, Is there a dormant extraterritoriality
principle?, cit., ritiene che, in alternativa al principio di extraterritorialità e alla teoria della dormant commerce clause, un ulteriore metodo di risoluzione del problema di porre un argine alla legislazione statale potrebbe
essere l’applicazione del principio di incoerenza (Inconsistency Principle), in forza del quale le Corti dovrebbero invalidare qualsiasi disciplina che forma una “obbligazione giuridica incoerente”, ovvero quando si richiede ad una parte di scegliere tra seguire le regole dello Stato di provenienza o dello Stato regolante, cosicchè la scelta per una delle due determinerà una violazione della legge in un altro Stato. L’obiettivo di tale principio è di perseguire l’equilibrio tra leggi federali e statali contro la minaccia di extraterritorialità applicata alle discipline statali, non già di spostare il bilanciamento in favore della legge federale.
in una mera sommatoria di interessi individuali azionabili dai singoli, in via individuale o collettiva. Infatti, il giudice Douglas argomenta che «Hawaii […] measures the health of her economic by her economic growth. No one citizen can stand in her shoes in those respect, for she represents the collective. Those interests should be held to be the State’s “business or property” […] and not merely the plants, factories, or hotels which she may own as a proprietor».
È stato autorevolmente affermato che tutti i sistemi possono essere comparabili fra loro, a patto di comprenderne, prima che le analogie, le differenze di fondo590. Tra il
sistema antitrust statunitense e quello adottato in Italia, riflesso ed attuazione di quello dell’Unione Europea, sussistono profonde differenze che, comunque, non si ergono ad ostacolo per una proficua comparazione.
Da quanto descritto discende che nel sistema federale statunitense il rapporto tra Federazione e Stati nell’attuazione dei meccanismi di tutela della concorrenza è caratterizzato: dalla presenza di molteplici soggetti in grado di porre in essere la disciplina antitrust; dalla predisposizione di una disciplina legislativa antitrust sia a livello statale che federale, nonché dalla possibilità che, in presenza di determinate circostanze, gli Stati possano presentare – come parens patriae – ricorsi antitrust a livello federale.
Al contrario, nel sistema regionale italiano tali caratteri non sono rinvenibili, in quanto: l’attuazione della legge antitrust è limitata a determinati soggetti, la disciplina è unica sull’intero territorio nazionale e le Regioni non svolgono funzione di parens patriae, anzi – come è stato dimostrato dall’analisi della giurisprudenza costituzionale svolta nel capitolo II – l’attuazione degli interventi a tutela della concorrenza ha trovato un ostacolo proprio nelle barriere poste dalle Regioni. Per quanto riguarda le prime due differenze, dall’esame della giurisprudenza costituzionale svolto emerge che, dato il rilievo costituzionale della concorrenza, le leggi statali teleologicamente orientate alla sua tutela, quale la l. n. 287 del 1990, si pongono, rispetto alle norme regionali, alla stregua di un paramentro interposto di costituzionalità rispetto all’art. 117, co. 2, lett. e), della Costituzione591.
L’influenza dell’articolazione dei poteri tra ente centrale ed enti territoriali è provata anche dall’evoluzione dell’ordinamento italiano. Infatti, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, la tutela della concorrenza è stata introdotta tra le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, e ciò ha definito la necessità di uniformità ed unità di disciplina del mercato sull’intero territorio nazionale. Il teso