4. La giurisprudenza costituzionale dopo la riforma del Titolo V: verso il
5.1. Servizi pubblici locali
Il settore dei servizi pubblici locali rappresenta un luogo di passaggio obbligato nell’analisi delle correlazioni fra intervento pubblico nell’economia e libero mercato. I servizi pubblici locali sono espressione esemplificativa della modifica dell’essenza della funzione amministrativa: il passaggio dal sistema concessorio a quello autorizzatorio e l’abbandono dei poteri autoritativi in favore di una modalità negoziale dell’adozione delle decisioni311.
310 S. Mangiameli, I servizi pubblici locali: il riparto delle competenze alla luce della riforma del Titolo V della
Costituzione, in I servizi pubblici locali, a cura di S. Mangiameli, Torino, 2008, 51, 59.
311 E. Bonelli, Amministrazione Governance e Servizi Pubblici Locali tra Italia e Unione europea, Torino, 2008,
145 s. Per l’excursus del rapporto tra servizi pubblici locali e concorrenza si vedano ex multis: L. Lamberti,
op. cit.; S. Mangiameli, Sussidiarietà e servizi di interesse generale: le aporie della privatizzazione, in Beni pubblici e servizi sociali in tempi di sussidiarietà, a cura di C. Magnani, Torino, 2007, 366, consultabile anche in http://www.issirfa.cnr.it. Per suggestioni sui rapporti tra regolazione amministrativa dei mercati e dei servizi
e le varie articolazioni della giurisdizione si legga: A. Cariola, Regolazione e giurisdizione: la prospettiva europea e
italiana, in Jus, 2005, 452. Che il settore dei servizi pubblici locali sia caratterizzato dalla convergenza
dell’interesse pubblico e della concorrenza verso la medesima ragione, ovvero la diffusione dei benefici nell’intera società, emerge anche in una datata sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti (United States
v. San Francisco, 310 U.S. 16, 1940), in cui la Corte escluse l’incostituzionalità di una norma introdotta dal
Congresso degli Stati Uniti e volta a porre come condizione della concessione della vendita di energia idroelettrica per la città di San Francisco che tale vendita e la relativa distribuzione avvenissero esclusivamente tramite agenzie municipali, nella convizione che i consumatori avrebbero così ottenuto tariffe più basse in concorrenza con le società private. Secondo la Corte, la condizione del Congresso era diretta ad evitare la costituzione di monopoli e a consentire conseguentemente la diffusione di benefici per la collettività.
Nella disciplina dei servizi pubblici locali risulta evidente come sia complessa la ricerca di un equilibrio stabile tra le legittime aspettative di apertura al mercato e l’avvertita esigenza di mantenere in mano pubblica strumenti di garanzia degli utenti e di tutela del patrimonio pubblico infrastrutturale312. Per servizio pubblico si intende
un’attività, assunta come doverosa dal soggetto pubblico, a cui corrisponde una specifica pretesa degli utenti diretta alla soddisfazione di bisogni collettivi. L’art. 112 del d. lgs. n. 267 del 2000 definisce i servizi pubblici locali come quei servizi pubblici resi dagli enti locali aventi per oggetto la produzione di beni ed attività dirette a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali. Il successivo art. 113 specifica che le modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali riguardano la tutela della concorrenza e, conseguentemente, la loro disciplina è di competenza statale. Pertanto, è necessario coniugare la garanzia costituzionale sulla titolarità dei servizi pubblici locali da parte di Comuni e Province, ex art. 118 Cost., con il potere statale in materia di disciplina delle forme giuridiche di assunzione e gestione dei servizi, riconducibile alle funzioni fondamentali di cui all’art. 117, comma 2, lett. p), della Costituzione313.
Nella sent. n. 272 del 2004 la Corte costituzionale, adita per verificare la legittimità costituzionale della normativa in tema di servizi pubblici locali sotto il profilo della illegittima invasione del legislatore statale nei confronti di àmbiti di supposta spettanza regionale, ha ribadito la legittimità dell’intervento statale diretto a realizzare una progressiva apertura alla concorrenza, mediante meccanismi di gara nei mercati dei servizi pubblici locali di rilevanza economica in quanto l’intervento era giustificato da finalità di «promozione della concorrenza»314. La Corte, nel distinguere tra “tutela” e
“promozione” della concorrenza ha precisato che «la tutela della concorrenza riguarda nel loro complesso i rapporti concorrenziali sul mercato e perciò non esclude anche interventi promozionali dello Stato». Il Giudice costituzionale ha rigettato la tesi della ricorrente fondata su una pretesa distinzione di competenze legislative tra Stato e Regioni «in ordine rispettivamente a misure di “tutela” o a misure di “promozione” della concorrenza, dal momento che l’indicata configurazione della tutela della concorrenza ha una portata così ampia da legittimare interventi dello Stato volti sia a promuovere, sia a proteggere l’assetto concorrenziale del mercato». La Corte ha, quindi, escluso la propria competenza nel «valutare in concreto la rilevanza degli effetti economici derivanti dalle singole previsioni di interventi statali […] stabilire, cioè, se una
312 A. Purcaro, La disciplina dei servizi pubblici locali. Analogie e differenze tra l’art. 14 del d.l. n. 269/2003 e la
legislazione regionale successiva alla riforma del Titolo V della Costituzione, in Nuova Rassegna, 2004, n. 15, 1750,
1764. Un’articolata disamina del concetto di servizio pubblico locale è svolta da A. Police, Sulla nozione di
«servizio pubblico locale», in I servizi pubblici locali, a cura di S. Mangiameli, Torino, 2008, 65.
313 S. Mangiameli, I servizi pubblici locali, cit., 51, 53.
314 M. Libertini, La tutela della concorrenza nella Costituzione italiana, in Giur. cost., 2005, n. 2, 1429, 1440, allerta
dell’uso incautamente alternativo da parte della Corte di “concorrenza in senso dinamico” e “promozione della concorrenza”, così come della coincidenza tra “tutela della concorrenza” e “regolazione della concorrenza”, perché solo in quest’ultimo caso lo Stato potrebbe regolare la vita economica e le attività delle imprese.
determinata regolazione abbia effetti così importanti sull’economia di mercato […] tali da trascendere l’àmbito regionale […] (ma solo) che i vari strumenti di intervento siano disposti in una relazione ragionevole e proporzionata rispetto agli obiettivi attesi». Tuttavia, con la medesima sent. n. 272 del 2004 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione legislativa statale (art. 14, comma 1, lett. e) del d.l n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, nella l. n. 326 del 2003), integrativa delle discipline di settore di fonte regionale, in quanto talmente dettagliata ed autoapplicativa da determinare una illegittima compressione dell’autonomia regionale. Infatti, l’obiettivo della tutela della concorrenza risultava ingiustificato e non proporzionato rispetto allo scopo sotteso all’intervento statale315. I servizi pubblici privi di rilevanza economica non
sono sottoposti alla legislazione statale in quanto non aventi delle esigenze riconducibili alla tutela della concorrenza. Secondo costante giurisprudenza comunitaria, i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica sono caratterizzati, in particolare, dall’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, dalla mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dall’eventuale finanziamento pubblico dell’attività in questione (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001)316. Alla potestà legislativa esclusiva dello Stato nella materia “tutela della
concorrenza” devono essere, dunque, ricondotte le disposizioni statali di principio contenute nell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, in quanto le medesime, pur incidendo sulla materia dei servizi pubblici locali (appartenente alla competenza residuale delle Regioni) disciplinano l’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, secondo un sistema teso a salvaguardare la concorrenzialità del mercato. La pronuncia esemplifica con grande limpidezza l’orientamento della Corte, invalso in una lunga prima fase, attento a delimitare e vagliare con attenzione l’ambito di intervento del legislatore statale in mercati caratterizzati dalla presenza anche di competenze legislative regionali317.
La sent. n. 272 del 2004 conferma la natura trasversale della tutela della concorrenza, quale “materia-funzione” di estensione variabile «poiché si intreccia inestricabilmente con una pluralità di altri interessi - alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o residuale delle Regioni - connessi allo sviluppo economico-produttivo del Paese». Secondo la Corte è evidente la necessità di basarsi sul criterio di proporzionalità-adeguatezza al fine di valutare, nelle diverse ipotesi, se la tutela della concorrenza legittimi o meno determinati interventi legislativi dello Stato.
La distinzione tra servizi pubblici locali di rilevanza economica e servizi privi di rilevanza economica è svolta anche nella sent. n. 320 del 2004 in cui la Corte,
315 F. Casalotti, La Corte costituzionale e i criteri di riparto delle competenze con riferimento ai servizi pubblici locali dopo
la riforma del Titolo V Parte II della Cost.: la sentenza n. 272 e l’ordinanza n. 274 del 2004, in http://www.forumcostituzionale.it e Le Regioni, 2005, n. 1, 262.
316 T. Tessaro, Miti e no: l’Idra di Lerna e i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica (commento a Corte cost.
sent. n. 272 del 2004), in http://www.lexitalia.it .
richiamando la sent. n. 14 del 2004, ha precisato che «spetta allo Stato la competenza ad adottare provvedimenti idonei ad incidere sull’equilibrio economico generale». Invece, appartengono «alla competenza legislativa concorrente o residuale delle Regioni gli interventi sintonizzati sulle realtà produttive regionali tali comunque da non creare ostacolo alla libera circolazione delle cose e delle persone fra le Regioni e da non limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale (art. 120, comma 1, Cost.)». La Corte giunge, pertanto, a due conclusioni: da un lato, la legittimazione statale è riferibile solo alle disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalità di gestione e l’affidamento dei servizi pubblici locali di “rilevanza economica” e, dall’altro lato, solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali318.
La giurisprudenza costituzionale riafferma il carattere trasversale della tutela della concorrenza in materia di servizi pubblici locali con la sent. n. 29 del 2006, pronunciandosi sulla legittimità delle discipline regionali relative ai servizi pubblici a rilevanza economica (l.r. Abruzzo n. 23 del 2004 e l.r. Lazio n. 26 del 2003) in relazione alla scelta del soggetto gestore del servizio, ovvero la scelta del socio privato delle società a partecipazione mista pubblica e privata. La Corte non ha accolto il ricorso del Governo fondato sull’esclusività della disciplina statale relativa ai servizi pubblici locali, in quanto rientrante nella materia della tutela della concorrenza, sostenendo che «nel silenzio della legislazione statale al riguardo, può ritenersi ammissibile che le Regioni, esercitando la loro discrezionalità legislativa, integrino la disciplina dettata dallo Stato». Inoltre, alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, nella materia della tutela della concorrenza, devono essere ricondotte le disposizioni statali di principio contenute nell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, le quali, pur incidendo sulla materia dei servizi pubblici locali di competenza residuale delle Regioni, disciplinano l’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, secondo un sistema teso a salvaguardare la concorrenzialità del mercato319. Con tale decisione si eleva a principio
generale la disciplina statale posta dall’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, nonostante il fatto che esse incidano su una competenza – i servizi pubblici locali – di competenza esclusiva regionale, appunto perché l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica sottende un modello volto alla preservazione del mercato concorrenziale, a cui possono contribuire anche le discipline regionali. Pertanto, se la legislazione statale
318 L. Lamberti, op. cit., 21.
319 La Corte censura un unico profilo della disciplina impugnata, ovvero quello della mancata previsione di
un periodo transitorio nel quale, sul modello di quanto prescritto dall’art. 113, comma 15-quater, del d. lgs. n. 267 del 2000, sia consentito «un complessivo riequilibrio e un progressivo adeguamento del “mercato”». A margine della sent. n. 29 del 2006 si legga: C. Buzzacchi, Il concorso del legislatore statale e di
quelli regionali alla liberalizzazione dei servizi pubblici locali nella recente giurisprudenza costituzionale, in Le Regioni,
2006, n. 4, 797. L’A. non è persuasa dalla commentata giurisprudenza costituzionale diretta a ricondurre invariabilmente la materia dei servizi pubblici locali alla regola della concorrenza, dalla quale non discende il dominio incontrastato della legislazione statale, bensì la possibilità di dichiarare illegittime norme regionali, a cui spetterebbero discipline settoriali, nella misura in cui il valore del mercato non sia sufficientemente perseguito e realizzato.
lascia spazi di integrazione e la Regione è legittimata ad intervenire, quest’ultima potrà intervenire, purchè persegua un risultato coerente con l’obiettivo della tutela della concorrenza320.
Parimenti, nella decisione n. 80 del 2006, in materia di proroghe di affidamenti a preesistenti concessionari di servizio di trasporto pubblico locale, la Corte ha analizzato l’effettività del perseguimento e della promozione della concorrenza ad opera della norma oggetto del ricorso ed ha affermato che la «fissazione di un termine massimo entro il quale deve concludersi la fase transitoria e quindi generalizzarsi l’affidamento mediante procedure concorsuali dei servizi di trasporto locale assume un valore determinante, poiché garantisce che si possa giungere davvero in termini certi all’effettiva apertura alla concorrenza di questo particolare settore, così dando attuazione alla normativa europea in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi di trasporto locale». La ratio della disciplina statale in tema di affidamento dei servizi di trasporto locale risiede nella necessità «di incentivare il superamento degli assetti monopolistici e di introdurre regole di concorrenzialità nella gestione dei servizi di trasporto regionale e locale». In tale sentenza il Giudice costituzionale ha fondato il proprio orientamento sul criterio del perseguimento delle public utilities e ha risolto le varie questioni, dichiarando l’illegittimità delle disposizioni regionali rispetto all’unico (e ormai ingombrante) parametro della funzione trasversale e finalistica della «tutela della concorrenza»: tale illegittimità non si esaurisce nella mera mancanza di rispetto di un termine temporale, ma discende dalla mancata conformità ad una disciplina statale posta a tutela della concorrenza, capace di incidere «sulla totalità degli àmbiti materiali entro i quali (le competenze statali) si applicano»321.
Gli interventi delle sent. nn. 246 del 2009 e 142 del 2010 hanno argomentato che la “tutela della concorrenza” legittimi un’attività pianificatoria dello Stato strettamente funzionale al superamento della frammentazione della gestione delle risorse idriche esistenti nel quadro della realizzazione del mercato del settore. La disciplina della gestione del servizio idrico integrato, finalizzata al superamento della frammentazione della gestione, consente la razionalizzazione del mercato ed è quindi diretta a garantire la concorrenzialità e l’efficienza del mercato322. Infatti, con la sent. n. 246 del 2009 la Corte
ha negato che l’art. 148 del d.lgs. n. 152 del 2006 (c.d. Codice dell’ambiente) violasse le competenze legislative regionali, nella parte in cui è individuato il trasferimento di competenze in materia di gestione delle risorse idriche all’autorità d’àmbito territoriale ottimale (AATO), a cui gli enti locali sono obbligati a partecipare. La Corte ha precisato che i poteri legislativi esercitati dallo Stato attraverso la suddetta norma del Codice dell’ambiente, in virtù di un giudizio di prevalenza, spettano congiuntamente all’esercizio delle competenze legislative esclusive statali nelle materie della tutela della concorrenza e
320 Così, a commento della sent. n. 29 del 2006, si esprime F. Pizzolato, La concorrenza nella giurisprudenza
costituzionale, in Il diritto dell’economia, 2010, n. 2-3, 507, 509.
321 C. Buzzacchi, Il concorso del legislatore, cit., 797.
della tutela dell’ambiente. La tutela della concorrenza rileva in quanto l’individuazione di un’unica autorità d’àmbito, superando la suddivisione frammentaria della gestione delle risorse idriche, consente la razionalizzazione del mercato e la determinazione della tariffa secondo un meccanismo di price cap323, ovvero una tecnica di controllo dei prezzi
dei beni e servizi offerti per pubblica utilità, attraverso cui l’aumento dei prezzi o delle tariffe non può superare un valore calcolato sottraendo al tasso d’inflazione sui beni di consumo una quota minima di aumento della produttività. In forza di tale orientamento, con la sent. n. 142 del 2010, la Corte ha confermato che la disciplina del servizio idrico integrato, di cui all’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, sia ascrivibile prevalentemente «alla tutela dell’ambiente e alla tutela della concorrenza, materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato». Con tale sentenza si ribadisce la preclusione al legislatore regionale di intervenire nel settore con una disciplina difforme da quella statale. Parimenti, nella sent. n. 45 del 2010 (Considerato in diritto, n. 7), la Corte ha precisato che le «disposizioni [regionali in esame sono] differenti rispetto a quelle dettate dal legislatore statale e da quello comunitario. Tal[i] diversità altera[no] il livello di tutela della concorrenza assicurato dallo Stato su tutto il territorio nazionale, incidendo negativamente anche sulle libertà comunitarie di circolazione delle persone e delle merci»324.
Per la giurisprudenza costituzionale, quindi, è sufficiente che le norme regionali siano diverse rispetto a quelle nazionali e comunitarie in materie di competenza non regionale, perché esse siano illegittime costituzionalmente, a prescindere dai fini proconcorrenziali eventualmente perseguiti dal legislatore regionale. La Corte ha altresì ammesso la necessità di riferirsi ai principi di tutela della concorrenza, elaborati dalla giurisprudenza comunitaria «atteso che le norme comunitarie fungono da norme interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa regionale all’art. 117, primo comma, Cost.» (sent. n. 314 del 2009), come già individuato - per la materia ambientale - nella sent. n. 62 del 2008 e anche per la stessa concorrenza nella decisiva sent. n. 102 del 2008325. La sent. n. 142 del 2010, ancora una volta, ha
confermato che la disciplina della tariffa del servizio idrico integrato sia ascrivibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Pertanto, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 5, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lombardia 29 gennaio 2009, n. 1, nella parte in cui sostituisce la lett. e) del comma 2 dell’art. 48 della legge della Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26, secondo cui
323 Camera dei Deputati, Osservatorio sulla legislazione, Rapporto 2010 sulla legislazione tra Stato, Regioni ed
Unione europea, Tomo II, Roma, 2010, 281, consultabile in: http://www.issirfa.cnr.it/download/File/AA_RAPPORTO%202010%20(tomo%20II)-RIDOTTO.pdf.
324 A margine della sentenza n. 45 del 2010 si legga la nota di R. Bin, Lavori pubblici, cit.. L’A. evidenzia la
reticenza della Corte nell’affrontare il tema della tutela della concorrenza quale limite specifico all’interesse della Provincia autonoma di Trento, tanto da «sembra[re] piuttosto volerla spalmare nei limiti codificati dallo Statuto».
325 Per un commento alla sent. n. 102 del 2008 si veda: E. Di Stefano, Verso un patrimonio costituzionale
l’Autorità d’àmbito «determina il sistema tariffario d’àmbito in conformità alle prescrizioni regionali che tengono conto anche dell’esigenza di graduare nel tempo le eventuali variazioni tariffarie e articolare la tariffa per zone territoriali e soggetti svantaggiati». Infatti, la disposizione regionale interveniva, con una disciplina difforme da quella statale, in un settore (tariffa del servizio idrico integrato), la cui regolamentazione è preclusa alla Regione.
Con la sent. n. 307 del 2009, in materia di affidamento del servizio di erogazione idrica della Regione Lombardia, la Corte è giunta ad un approdo differente rispetto a quello della sent. n. 283 del 2009, ma simile a quello a cui era pervenuta con la sent. n. 29 del 2006 (v. supra)326. Infatti, pur non riferendosi ai criteri enucleati dalla sent. n. 160
del 2009 (v. infra), la Corte non ha ritenuto illegittima la disciplina regionale che ha previsto in materia di servizio di erogazione idrica una disciplina parzialmente differente, tale da giungere a risultati proconcorrenziali più elevati rispetto alla disciplina statale per mezzo dell’affidamento mediante gara pubblica. La Corte, interrogata sull’eventualità che le Regioni dettino norme in grado di tutelare più intensamente la concorrenza rispetto a quelle poste dallo Stato, ha rivalutato il ruolo delle Regioni nelle discipline incidenti sulla tutela della concorrenza ed ha affermato che «le norme statali, tanto quelle vigenti all’epoca dei fatti, quanto le attuali, sono, come si nota, meno rigorose di quelle poste dalla Regione. Occorre allora stabilire se le Regioni, in tema di tutela della concorrenza, possano dettare norme che tutelano più intensamente la concorrenza, rispetto a quelle poste dallo Stato. Al riguardo, deve considerarsi che la Costituzione pone il principio, insieme oggettivo e finalistico, della tutela della concorrenza, e si deve, pertanto, ritenere che le norme impugnate, in quanto più rigorose delle norme interposte statali, ed in quanto emanate nell’esercizio di una competenza residuale propria delle Regioni, quella relativa ai “servizi pubblici locali”, non possono essere ritenute in contrasto con la Costituzione». Quindi, ponendo in evidenza il carattere teleologico della concorrenza, la Corte ritiene legittima la disciplina regionale maggiormente pro-concorrenziale di quelle statale, a condizione che intervenga in materia di competenza regionale e che la sua incidenza sulla concorrenza sia indiretta.
Sempre in tema di tariffa del servizio idrico, la Corte è stata adita in via principale al fine di sindacare la legittimità costituzionale di alcune disposizioni regionali (art. 28, commi 2 e 7, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 10 del 2008), perché avrebbero dato luogo a «meccanismi competitivi disomogenei sul territorio nazionale»327.
La Corte, con la sent. n. 29 del 2010, ha accolto il ricorso proprio perché la garanzia della concorrenza avviene anche attraverso l’uniforme individuazione su tutto il