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Le condizioni abitative e di vita

Nel documento Gli immigrati nell'agricoltura italiana (pagine 45-48)

A SPETTI SOCIALI DELL ’ IMMIGRAZIONE IN AGRICOLTURA 3.1 Premessa

3.4 Le condizioni abitative e di vita

C’è una demarcazione molto netta per quanto riguarda le condizioni abitative e igieniche in senso lato tra la manodopera immigrata regolare (in possesso di un contratto di lavoro preferibilmente a tempo indeterminato) e la componente irregolare che trova impiego prevalentemente nelle operazioni stagionali di raccolta.

Le informazioni desumibili dalle indagini INEAe da Medici senza frontiere, testimoniano le gravi

condizioni abitative e igieniche in cui si vengono a trovare gli immigrati irregolari. Realtà che diventa drammatica in molte zone del Sud dove le specializzazioni agricole e la gestione della manodopera da parte di organizzazioni malavitose genera un quadro di degrado umano scandaloso per il nostro stato di diritto civile. Gli immigrati, frequentemente africani (Sudan, Ghana, Maghreb, ecc.), si installano in edifi- ci abbandonati, non terminati e pericolanti, in tendopoli improvvisate od organizzate ad hoc dagli enti locali, veri e propri ghetti senza i prerequisiti essenziali igienici: scarsità d’acqua corrente, di servizi igie- nici, di servizi di raccolta dei rifiuti, sovrapopolamento degli spazi che genera promiscuità, con conse- guenti problemi sanitari e di conflitto sociale tra gli immigrati stessi, tra le diverse etnie e tra gli immigrati e le popolazioni locali.

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ASPETTI SOCIALI DELL’IMMIGRAZIONE IN AGRICOLTURA

Medici senza frontiere ha effettuato due ricognizioni presso i luoghi di lavoro e di vita dei lavoratori stranieri impiegati stagionalmente nelle campagne di raccolta nel Sud del paese; l’obiettivo di tali ricognizio- ni è stato duplice: portare assistenza sanitaria agli stranieri e indagare sulle loro condizioni di vita e di lavoro. La prima effettuata nel 2004 (Medici senza frontiere, 2005) aveva rilevato le vergognose condizioni di vita e il preoccupante stato di salute in cui gli stranieri versavano. La seconda, effettuata tra luglio e novembre 2007 (Medici senza frontiere, 2008), ha evidenziato come non sia ancora cambiato nulla a tre anni di distan- za. Gli immigrati stagionali o quelli impiegati nelle serre sono costretti a vivere e lavorare in condizioni di povertà, precarietà marginalità ed esclusione sociale: mal pagati, sfruttati, ricoverati come nei peggiori campi profughi, sono esposti frequentemente ad atti di violenza e intolleranza. Questo “inferno”, come giustamente è stato richiamato nel titolo del rapporto è prossimo alle nostre città, ai nostri paesi, alle nostre campagne, ma “resta un nervo scoperto ipocritamente nascosto” per le nostre istituzioni nazionali e locali.

Nel corso dell’indagine sono stati visitati 643 immigrati e somministrati 600 questionari1. La quasi totalità dei lavoratori agricoli intervistati non era in possesso di un contratto di lavoro ed il 72% non aveva un regolare permesso di soggiorno. Ancora elevata è la presenza di richiedenti asilo e rifugiati che, non disponendo di una rete di accoglienza e di mezzi di sostentamento adeguati, sono costretti a spostarsi da una parte all’altra del territorio divenendo facile preda del circuito della manodopera irregolare. L’assenza di tutela è presente anche tra gli stranieri in possesso di regolare permesso di soggiorno: il 68% degli inter- vistati in questa condizione lavora in nero. Le condizioni di lavoro non rispettano le norme di prevenzione e sicurezza previste dalla legge: il datore di lavoro non fornisce quasi mai i mezzi di protezione come guanti, mascherina, indumenti speciali, ecc.

Non vengono rispettati i tempi di rientro in serra dopo l’esposizione a fitofarmaci e pesticidi. Gli intervistati lamentano di subire soprusi e vessazioni da parte dei datori di lavoro ed anche del mancato o ritardato pagamento del compenso. Guadagnano meno di 25 euro al giorno e pertanto non possono rispar- miare né per la loro famiglia di origine, né per migliorare le loro condizioni di vita.

E’ la lotta per la pura sopravvivenza quella che combattono ogni giorno sui campi e nei loro rifugi di fortuna. Il 65% degli immigrati intervistati vive in strutture abbandonate, il 20% in spazi affittati, il 10% in tende o in un campo di accoglienza gestito dalle autorità locali, il 5% dorme in strada. Il sovraffolla- mento influisce pesantemente sulla vivibilità degli alloggi, che siano quelli di fortuna o gli spazi affittati: oltre la metà divide lo spazio con 4 o più persone, il 21% deve condividere il proprio materasso con una o più persone e il 53% dorme per terra sopra un cartone o un materasso. Il 62% non dispone di servizi igie- nici nel luogo in cui vive. Il 64% non ha accesso all’acqua corrente e per procurarsela si rifornisce presso fonti di fortuna quali tubi d’irrigazione e rubinetti esterni, fontane pubbliche, ecc. Il 69% non dispone di luce elettrica né tantomeno di riscaldamento e di frigorifero per conservare il cibo.

Benché giovani e in buono stato di salute quando arrivano in Italia sono destinati dopo poco tempo ad ammalarsi per le dure condizioni di lavoro e per le pessime condizioni di vita e di igiene. Queste malat- tie2, per lo più curabili con una semplice terapia medica e buone prassi igieniche, si cronicizzano perché non si ha un medico a cui rivolgersi né soldi sufficienti per acquistare medicine. L’inchiesta conferma i risultati già rilevati nel 2004 e, in particolare, una condotta inadeguata del sistema sanitario nazionale nel garantire il diritto alla salute per gli immigrati. Agli immigrati irregolari e regolari non viene garantita né un’efficace informazione sull’esistenza degli ambulatori dedicati agli stranieri come prescrive la legge3, né la presenza di tali strutture nelle aree in cui si concentra il lavoro degli immigrati, né un’efficace fun- zionamento di quelli esistenti e soprattutto la mancanza di mediazione culturale che incide pesantemente sull’accesso alle cure da parte degli immigrati.

1 Le località indagate sono state: la piana del Sele in Campania, la provincia di Latina, la provincia di Foggia, il Mataponto e Palazzo S. Gervasio in Basilicata, la Valle del Belice in Sicilia, la provincia di Foggia, la piana di Gioia Tauro in Calabria.

2 Tra le più frequenti figurano: patologie osteomuscolari, lombosciatalgia in particolare, malattie dermatologiche, malattie respiratorie e gastroenteriche.

Capitolo 3

Il quadro generale che si desume dall’indagine INEA mostra situazioni di forte disagio anche nel Nord del paese, come in Valle d’Aosta, dove la quasi totalità degli immigrati lavora stagionalmente negli alpeggi, il più delle volte privi di elettricità e di altri comfort, in condizione di pressoché totale esclusione sociale, isolamento dalla propria comunità e, in generale, dalla comunità umana, ed elevati ritmi di lavoro (da prima dell’alba a oltre il tramonto).

Situazioni analoghe a quella descritta per la Valle d’Aosta si trovano lungo tutto l’Appennino centro-meridionale, dove l’allevamento estensivo e la pastorizia sono affidati prevalentemente a macedo- ni, rumeni, albanesi e dell’area balcanica in genere, ospitati assieme al bestiame, in alloggi di fortuna, baracche, rifugi di montagna4, ruderi.

La componente impiegata a tempo indeterminato con regolare contratto di lavoro gode invece di migliori condizioni e spesso è lo stesso datore di lavoro ad offrire l’alloggio. Ciò succede in Piemonte, nelle zone viticole dove i lavoratori hanno la concessione gratuita di un fabbricato rurale dove vivere generalmente con la propria famiglia, ma anche in Lombardia ed Emilia-Romagna, dove l’offerta dell’al- loggio rappresenta l’espediente per catturare lavoratori disponibili in un contesto dove c’è molta concor- renza tra i settori per la manodopera.

Nelle Marche, invece, c’è difficoltà di reperimento degli alloggi per gli immigrati perché, in analo- gia con quanto già successo da tempo in Toscana, bisogna fare i conti con la concorrenza di facoltosi stranieri, tedeschi o inglesi, che acquistano e ristrutturano vecchie case coloniche.

Nel Veneto la principale problematica che interessa gli immigrati agricoli, ma non solo, è la ricerca dell’alloggio. Il 10-15 % di loro vivono in condizioni di precarietà abitativa in senso stretto (senza tetto, ospitalità in alloggio sociale, ecc.). I costi legati all’abitazione risultano spesso insostenibili per gli immi- grati. Nel Friuli-Venezia Giulia, come un po’ in tutto il Centro-Nord, si osserva negli ultimi anni un’e- spansione dei residenti immigrati nelle aree di campagna, perché le aree urbane non offrono più possibi- lità, se non a prezzi piuttosto elevati per il reddito degli immigrati. Ciò restringe ulteriormente le già limi- tate possibilità di accoglienza per i lavoratori stranieri in agricoltura. Nel Lazio si registrano casi di immi- grati impiegati come custodi, fattori o agricoltori in piccoli appezzamenti di terreno che lavorano per pochi soldi pur di avere un alloggio gratuito. Nelle aree ad agricoltura intensiva della regione sono fre- quenti e “visibili” le sistemazioni di fortuna: roulotte, furgoni, casolari fatiscenti, magazzini, ecc. In tutto il territorio nazionale gli stessi agricoltori si lamentano della carenza quantitativa e qualitativa delle strutture territoriali di accoglienza perché l’azienda da sola non c’è la fa ad ospitare gli immigrati nei periodi di punta.

3.5 La formazione

In generale, da parte dei sindacati e delle imprese, si lamenta l’assenza di corsi base per gli immi- grati che dovranno lavorare in agricoltura (es. potatura delle piante). I corsi esistenti sono infatti ad alta specializzazione, per un numero ridotto di utenti e poco rispondenti alle esigenze del settore. Ciononostante, non mancano iniziative interessanti promosse da alcune regioni o da consorzi o cooperati- ve di imprese agricole. L’Emilia-Romagna, in particolare, si distingue per aver affrontato con maggiore cura e attenzione i temi dell’inserimento degli extracomunitari, mettendo in campo iniziative varie sul piano formativo, finalizzate per il settore agricolo alla formazione professionale e alla programmazione e gestione del lavoro degli immigrati. Tra i diversi progetti segnaliamo quello di formazione di lavoratori

4 Le condizioni di vita e quelle igieniche in cui vengono a trovarsi i pastori rumeni e macedoni sono state constatate personalmente nei rifu- gi del CAI o negli stazzi dei M. Sibillini, dei M.della Laga e del Parco nazionale d’Abruzzo. Difficoltà nell’approvvigionamento dell’ac- qua potabile, in quanto tali rifugi sono per lo più serviti da un fontanile o da una cisterna esterna che deve soddisfare sia le necessità del bestiame che quelle degli uomini. Vitto povero: spesso quando il rifugio è raggiungibile anche da strada sterrata è il datore di lavoro a portare la cena, non il pranzo dato che i pastori sono itineranti nei pascoli; nella migliore delle ipotesi i lavoratori devono accontentarsi di cibi conservati e inscatolati.

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ASPETTI SOCIALI DELL’IMMIGRAZIONE IN AGRICOLTURA

stagionali del Marocco, nell’ambito di un programma denominato Agri-Med, finalizzato allo sviluppo della filiera ortofrutticola nelle province marocchine di Khouribga e Beni Mellal. Nell’ambito del progetto sono stati selezionati alcuni lavoratori stagionali impiegati nelle cooperative della lega ed è stato offerto loro un corso di formazione per divenire “tecnici di campagna” (esperti in agricoltura biologica e integrata). Il pro- getto contempla anche un aiuto economico per sostenerne il reinserimento attivo nel paese di origine. Questo caso è interessante in quanto considera in modo integrato e complementare lo sviluppo del settore agro-ali- mentare tanto in Emilia-Romagna quanto in Marocco, inserendo in questo quadro la valorizzazione e gestio- ne dei migranti. Sempre in Emilia-Romagna, tramite il progetto AMICA(accoglienza manodopera immigrata

comparto agroindustriale), sono stati organizzati nelle provincie di Forlì e Cesena tre moduli formativi (lin- gua italiana, educazione civica, formazione tecnica per la qualifica di cernitrice) di 40 ore ciascuno rivolti a 70 donne di varia provenienza che, in seguito, sono state assunte dalle aziende agricole dell’area.

Altri interventi formativi in favore del settore agricolo sono stati realizzati in Toscana. In Piemonte si segnala l’iniziativa “Pianta un seme”, della cooperativa Sanabil in sinergia con partner italiani e maroc- chini, che intende offrire una concreta possibilità per sviluppare inserimenti lavorativi presso ditte del set- tore florovivaistico e promuovere la nascita di iniziative individuali o in forma associata.

Fa parte dell’accordo bilaterale siglato tra il MiPAAFe il corrispettivo ministero egiziano per lo svi-

luppo delle opportunità produttive e commerciali nel settore ortofrutticolo, il progetto di formazione e reclutamento di lavoratori egiziani nell’ambito del programma “Green Corridor”. Il progetto è finalizzato alla formazione e al reclutamento di 250 lavoratori stagionali provenienti dall’Egitto. I lavoratori hanno partecipato in Egitto ad una prima fase di formazione e qualificazione professionale sulle principali tecni- che di raccolta, trasformazione e condizionamento utilizzate in Italia. In seguito hanno proseguito l’attività di formazione-lavoro nelle strutture aziendali italiane che collaborano al progetto.

Nel documento Gli immigrati nell'agricoltura italiana (pagine 45-48)