A LCUNE PECULIARITÀ REGIONALI DEL LAVORO EXTRACOMUNITARIO IN AGRICOLTURA
10.2 Il caso della Toscana 1Premessa
10.2.4 Indagine INEA
L’analisi delle indagini effettuate dall’INEAnel corso degli anni, sull’impiego di manodopera extra-
comunitaria nell’agricoltura toscana, consente di esaminarne le caratteristiche e le dinamiche
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in relazione ai comparti produttivi, al tipo di attività svolta, al periodo di impiego e alla provenienza della manodopera utilizzata.
Nel settore agricolo, con forti differenziazioni territoriali, i dati sulle giornate di lavoro ne mettono in evidenza il carattere maggiormente precario, rispetto alla manodopera locale, con una scarsa utilizzazio- ne degli stranieri come lavoratori fissi.
Le indagini INEA consentono di rilevare il costante e sensibile aumento del numero di immigrati
occupati nell’agricoltura regionale, sebbene negli ultimi anni il tasso di crescita abbia cominciato a rallen- tare. Se nel 1990 si possono stimare in circa 650 le persone extracomunitarie impiegate nella regione e in circa 1.350 nel 1995, nel 2007 la stima, basata sull’indagine INEA, non può scendere al di sotto delle
12.000 unità (compresi i cittadini provenienti dai paesi neocomunitari, tra i quali soprattutto la Romania). I motivi della crescita dell’impiego di lavoratori extracomunitari vanno ricercati nella scarsa offerta di manodopera locale in agricoltura sia di tipo specializzato che generico, a causa soprattutto della mancan- za di attrattiva per gli italiani del lavoro nel settore, che presenta livelli di remunerazione dei dipendenti più bassi e viene percepito come meno prestigioso rispetto ad altre attività. Elemento aggiuntivo che ha contri- buito a incrementare il deficit di manodopera locale è costituito dalla carenza di una adeguata formazione professionale per la manodopera dipendente sia per le qualifiche medio alte che per l’aggiornamento, a fronte, invece, del processo di trasformazione e di riqualificazione del settore in parte già realizzato.
Per un lungo periodo di tempo la manodopera salariata utilizzata in Toscana è stata rappresentata prevalentemente dal bacino di utenza venutosi a creare a seguito della trasformazione dei componenti della famiglia mezzadrile in operai a tempo indeterminato. Esaurita la capacità di questo bacino di utenza di offrire manodopera e in concomitanza con un fase di difficoltà del settore, non sono stati attivati percor- si di formazione che consentissero di garantire, anche per il futuro, la forza lavoro adeguata. In più, il cre- scente ricorso alla manodopera extracomunitaria è stato, in parte, favorito anche dalla possibilità di abbat- tere notevolmente il costo del lavoro, impiegando questi lavoratori in nero, sia usufruendo del meccani- smo delle agevolazioni per la disoccupazione, sia sfruttando l’oggettiva impossibilità di regolarizzare la posizione dei clandestini con il conseguente mancato rispetto delle norme previste e dei diritti legati all’applicazione dei contratti.
Attività svolte, fasi ed operazioni colturali e comparti produttivi - Il lavoro svolto dagli immigrati è
di natura soprattutto stagionale con un’ampia mobilità sul territorio e nell’arco dell’anno in sostituzione dell’offerta di lavoro locale, sempre più carente in agricoltura.
I comparti produttivi nei quali la manodopera extracomunitaria trova occupazione in Toscana, sono costituiti prevalentemente dalle colture arboree (1/4 dei lavoratori complessivamente stimati), dalla zoo- tecnia e dalle colture ortive, mentre l’attività svolta è costituita prevalentemente dalla raccolta delle diver- se colture. Alcuni lavoratori sono, inoltre, utilizzati anche in attività di trasformazione per le produzioni lattiero-casearie e di confezionamento nel settore florovivaistico.
Con riferimento al numero di occupati si può osservare che, rispetto alla media nazionale, una quota consistente di lavoratori extracomunitari svolge in Toscana una serie di attività e di servizi non ricol- legabili ai diversi settori produttivi, ma che interessano il settore agricolo in maniera trasversale, quali il taglio e la pulizia dei boschi, la manutenzione di strade poderali e di fossi, le attività collegate all’agrituri- smo e al turismo rurale.
Si segnala, inoltre, la presenza di manodopera extracomunitaria femminile, legata ad attività di carattere stagionale nelle aziende con agriturismo, nelle quali gli immigrati svolgono prevalentemente attività domestiche.
Le zone a prevalente vocazione agricola sono quelle che forniscono maggiori possibilità di lavoro nel settore: a Siena, Arezzo, Firenze e Grosseto si concentra la maggior parte dei lavoratori extracomunitari.
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Provenienze - Dalle indagini INEAsvolte nei primi anni novanta emerge che i lavoratori extracomu-
nitari provengono principalmente dai paesi del Nord-Africa (Marocco e Senegal), dell’Africa orientale e centrale e, in misura molto limitata, dall’Asia e dai paesi dell’Est europeo.
Negli anni successivi cresce il numero di immigrati provenienti dall’Est europeo, costituiti soprat- tutto da albanesi, kossovari, rumeni e slavi in genere e aumenta l’impiego in agricoltura anche di immigra- ti provenienti da alcuni paesi dell’Asia Centro Meridionale (India e Sri Lanka). In considerazione della crescita di lavoratori provenienti dai paesi dell’Est europeo e in presenza di un’offerta dai paesi dell’Africa Settentrionale che, nel corso degli anni, non ha mostrato incrementi altrettanto sostenuti nel settore, la composizione per nazionalità degli immigrati tende a mutare considerevolmente, per cui attual- mente la componente principale è costituita da lavoratori provenienti dall’Europa dell’Est.
I lavoratori agricoli extracomunitari impiegati in Toscana presentano precise suddivisioni territoria- li sia per settore produttivo (ad esempio nel settore florovivaistico del pistoiese la presenza dominante è quella albanese) che fra le aziende, che tendono a mantenere una sorta di omogeneità etnica al loro inter- no, in maniera da ridurre al minimo eventuali conflittualità favorendo il grado di integrazione. Si rileva, in questi termini, l’esistenza di reti di collegamento fra gli immigrati e i paesi di origine, per cui più che di ipotetiche predisposizioni culturali si può parlare di punti di penetrazione in un settore o in un’area o, addirittura, in un’azienda.
Albanesi, slavi ed asiatici (cingalesi e indiani soprattutto) vengono impiegati prevalentemente nel settore zootecnico (pascolo, governo del bestiame e mungitura); gli immigrati provenienti dall’Est- Europa trovano opportunità di lavoro nel settore forestale (taglio e cura dei boschi) e nella manutenzione delle strade poderali e dei fossi; mentre marocchini, senegalesi e tunisini nella raccolta dei prodotti e in altre attività.
Periodi e orari di lavoro - Il lavoro degli immigrati si concentra nella tarda primavera ed estate per
la raccolta di frutta, ortaggi, pomodoro, tabacco ed altre colture industriali, in autunno per le operazioni di vendemmia e raccolta olive e in inverno per la potatura.
Nel settore zootecnico, invece, l’attività di pascolo e di governo delle stalle impegna i lavoratori extracomunitari per l’intero anno.
L’aumento del numero di immigrati ha contribuito a determinare una crescita del loro impiego in alcune attività (ad esempio allevamento del bestiame), per cui spesso gli extracomunitari risultano stabil- mente occupati per periodi di tempo più lunghi che comprendono di frequente l’intera annualità, con una tendenza crescente verso forme di insediamento stabile da parte di alcune etnie, che ricostituiscono il loro nucleo familiare tramite ricongiungimenti.
Contratti e retribuzioni - I lavoratori vengono assunti generalmente con contratti regolari, ma spes-
so sono dichiarate ufficialmente meno ore di quelle effettivamente prestate. Nelle grandi aziende con sala- riati e per i lavori di lunga durata si registra una maggior tendenza alla formalizzazione regolare dei con- tratti, rispetto a quanto avviene nelle piccole aziende diretto-coltivatrici e per le attività stagionali.
Un altro fenomeno da segnalare è che molti lavoratori immigrati assunti come avventizi in agri- coltura, una volta arrivati ad un numero di giornate denunciate dall’azienda pari a quelle che danno dirit- to a percepire l’indennità di disoccupazione, molto spesso continuano a lavorare sospendendo la dichia- razione delle giornate. Si tratta, quindi, di lavoratori regolari aventi diritto all’indennità di disoccupazio- ne, ma che prestano parte della propria attività lavorativa in nero. L’integrazione al reddito che deriva dalla disoccupazione agricola è piuttosto consistente per cui, lavorando nell’arco dell’anno le 51, 101 o 151 giornate, possono avvantaggiarsi, attraverso la disoccupazione di un incremento di reddito.
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possibilità di poter usufruire di un’indennità costituisce per loro un incentivo, rispetto ad altri settori, a svolgere anche lavori meno qualificati.
L’integrazione della manodopera extracomunitaria all’interno delle imprese e nell’organizzazione del lavoro viene confermata dalla crescente pressione di richieste di contrattazione specifica alle rappre- sentanze sindacali, alcune delle quali vengono inserite nelle piattaforme per il rinnovo dei contratti provin- ciali. Sono oggetto di richieste, ad esempio: la previsione di un orario di lavoro differenziato per i lavora- tori musulmani nel periodo del Ramadan; la possibilità di poter cumulare le ferie in maniera da disporre di periodi più lunghi da trascorrere nei propri paesi di origine; l’introduzione di giorni di festività in accordo con la religione praticata. Bisogna porre, tuttavia, l’attenzione sul fatto che la previsione di deroghe a quello che è il trattamento usuale potrebbe essere in contraddizione con le norme di tutela del lavoratore applicate nel nostro paese. Ad esempio, la possibilità di poter cumulare periodi di ferie in maniera da tra- scorrere maggiore tempo nel paese di origine potrebbe essere in conflitto con il diritto alle ferie annuali, principio cardine della disciplina accessoria del rapporto di lavoro per la tutela del lavoratore dipendente.
In alcune aziende, dove ci sono presenze quantitativamente consistenti, parte delle richieste di dif- ferenziazione nell’organizzazione e gestione del lavoro vengono spesso accettate dal datore di lavoro, in modo da andare incontro alle esigenze degli extracomunitari. Non rientrando, tuttavia, nell’ambito di un processo di contrattazione formalizzato, l’introduzione di tali modifiche si configura come una concessio- ne ma non costituisce un diritto acquisito dei lavoratori.
Alcuni elementi qualitativi - Con riferimento agli aspetti di concorrenzialità del lavoro immigrato
nei riguardi di quello degli autoctoni, è da rilevare che in Toscana l’offerta di lavoro nel settore risulta molto bassa. Ne consegue che si è in presenza di una forza lavoro extracomunitaria di natura complemen- tare e di un’offerta di lavoro proveniente dall’immigrazione soprattutto stagionale, che di fatto sostituisce quella degli autoctoni negli spazi di mercato da essi liberati. Pertanto, si tratta soprattutto di lavoro avven- tizio, sia per la stagionalità di alcune produzioni che per la propensione degli imprenditori verso forme contrattuali flessibili e non durature.
Gli agricoltori per i contratti a tempo indeterminato e per figure professionali specializzate ricer- cano soprattutto e con insistenza manodopera locale, che, tuttavia, continua a scarseggiare. Data la caren- za di manodopera locale, il lavoro extracomunitario in agricoltura diventa sempre più indispensabile per le aziende toscane e tende sempre più a specializzarsi in alcune particolari operazioni che richiedono anche un intervento formativo da parte dei datori di lavoro. Con il crescere e il consolidarsi della presen- za straniera migliorano anche le condizioni applicate, nel senso di un maggior rispetto delle regole con- trattuali previste.
Nel momento in cui i lavoratori extracomunitari si sono integrati nell’organizzazione del lavoro all’interno delle imprese, diventando una presenza non sporadica, essi hanno avuto l’opportunità di acqui- sire elementi di professionalità e diventare anche lavoratori a tempo indeterminato. Molti lavoratori immi- grati hanno cominciato a specializzarsi in alcune operazioni colturali (ad esempio potatura) e nella condu- zione di macchine agricole, grazie anche all’avvio di specifici corsi di formazione. Alcuni extracomunita- ri, inoltre, hanno iniziato a svolgere attività in proprio, sia in specifici settori produttivi che nell’offerta di servizi ad aziende agricole. Oltre alla figura del lavoratore dipendente, si sono sviluppate iniziative auto- nome da parte degli immigrati, soprattutto dove le barriere all’ingresso risultano modeste. Spesso si tratta di terreni presi in affitto o di avvio di società cooperative che forniscono servizi di terziarizzazione (quest’ultimo è il caso di cooperative di albanesi che effettuano servizi di potatura o di manutenzione di strade poderali). Alcuni immigrati extracomunitari, sempre di origine europea, dopo alcuni anni di lavoro dipendente hanno scelto di diventare autonomi, continuando a lavorare per l’azienda di cui erano dipen- denti e creandosi in breve tempo un proprio mercato. Spesso, tuttavia, si tratta di situazioni in cui i titolari si trovano talmente legati al committente, da configurarsi un rapporto di subordinazione senza le adeguate
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tutele. L’avvio di attività indipendenti può costituire una risposta alle aspirazioni di mobilità professionale e sociale bloccate per gli immigrati nel lavoro dipendente, ma non sempre costituisce un progresso quanto un ripiego, cui gli immigrati sono costretti a ricorrere come forma di autoimpiego marginale e precario per sfuggire alle difficoltà di accesso al mercato del lavoro.
Aumenta il ricorso ad imprese di servizi organizzate da imprenditori locali che impiegano lavorato- ri extracomunitari – specialmente Nord-Africani – spesso in gruppi formati anche da 20-30 persone, utiliz- zati per svolgere diverse tipologie di attività. Queste forme di organizzazione del lavoro risultano partico- larmente presenti nelle zone vitivinicole del senese (Chianti e Montalcino soprattutto) e di Grosseto (Ombrone e Val d’Orcia), nella provincia di Firenze per un po’ tutte le attività (potatura, lavorazione dei terreni e raccolta) e nella piana di Grosseto per la raccolta del pomodoro.
In conclusione si può, quindi, affermare che in Toscana la presenza di immigrati mostra un trend crescente e il ricorso alla manodopera straniera risulta incorporato nel funzionamento dell’economia e della società. Gli immigrati rappresentano una componente stabile sul territorio e le previsioni future sulle dinamiche demografiche mostrano che nei prossimi anni il loro peso sarà ancora più marcato sulla popola- zione regionale. I flussi migratori costituiscono una compensazione demografica rispetto alla diminuzione della popolazione autoctona e da parte del mercato del lavoro rispondono alla richiesta di forza lavoro in modo strutturale.
Nelle aziende agricole toscane, che si caratterizzano per la presenza dominante della manodopera familiare rispetto a quella salariata, il ruolo dei lavoratori extracomunitari viene messo in evidenza dal loro crescente impiego nei diversi settori e attività. La netta carenza di offerta di lavoro da parte della manodopera locale è stata compensata dall’incremento di occupazione degli immigrati, provenienti preva- lentemente dai paesi dell’Europa Orientale e dell’Africa Settentrionale e, in misura più contenuta, dai paesi dell’Asia Centro Meridionale.
Si tratta soprattutto di lavoro avventizio, con ampia mobilità sul territorio e nell’arco dell’anno, sia per la stagionalità di alcune produzioni che per la propensione degli imprenditori – ma spesso anche degli stessi lavoratori – verso forme contrattuali flessibili e non durature.
Da forza di lavoro soprattutto stagionale e complementare rispetto a quella locale, gli occupati extracomunitari nel settore agricolo mostrano i segnali di maggior stabilizzazione e consolidamento, al punto da costituire una componente indispensabile per le diverse attività agricole.
Ne è prova la crescente acquisizione di elementi di professionalità, con l’avvio di specifici corsi di formazione, lo svolgimento di attività in proprio, l’offerta di servizi alle aziende agricole, la maggior integrazione nell’organizzazione del lavoro all’interno delle imprese, la crescita di richieste di contratta- zione specifica alle rappresentanze sindacali.
L’analisi del clima istituzionale toscano, elemento che ha favorito il consolidarsi della presenza straniera nella regione, mette in luce il percorso verso la definizione di un modello toscano di accoglienza, inclusione e integrazione dei cittadini non comunitari e allo stesso tempo offre esempi concreti di azioni volte alla formazione professionale, sia in loco che nei paesi di origine, alla qualificazione, alla tutela della salute e alla sicurezza nei luoghi di lavoro dei lavoratori migranti, all’offerta di servizi da parte della rete di agenzie sociali per la casa.