T UTELA CONTRATTUALE , PREVIDENZIALE E ASSISTENZIALE DEGLI IMMIGRATI IN AGRICOLTURA
4.3 La tutela previdenziale e assistenziale dei lavoratori agricoli immigrat
La tutela previdenziale ed assistenziale dei lavoratori immigrati occupati nel nostro paese, a pre- scindere dal settore di occupazione, si declina differentemente a seconda che si tratti di a) lavoratori comu- nitari o neocomunitari, b) lavoratori extracomunitari “stabili” (con carta o con permesso di soggiorno per lavoro a tempo determinato o indeterminato), c) lavoratori extracomunitari “stagionali” (con permesso di soggiorno per lavoro stagionale la cui durata va da un minimo di 20 giorni ad un massimo di 9 mesi, ai sensi dell’art. 24, comma 3, del TUn. 286/1998 e successive modificazioni).
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TUTELA CONTRATTUALE,PREVIDENZIALE E ASSISTENZIALE DEGLI IMMIGRATI IN AGRICOLTURA
Il principio della parità di trattamento dei lavoratori stranieri con quelli nazionali che, in generale, vige nel nostro paese è molto forte per le tutele che nascono dal lavoro e sono finanziate per lo più con la contribuzione previdenziale; è invece meno intensa, specie per i cittadini-lavoratori non appartenenti alla Unione Europea, con riguardo alle tutele legate al diritto di cittadinanza e garantite attraverso il ricorso alla solidarietà generale.
Fatta questa breve premessa, vediamo ora quali sono le più significative differenze di tutela sul piano previdenziale e assistenziale alle quali va incontro il lavoratore straniero occupato nel nostro paese, avendo riguardo alle specificità del settore agricolo.
Partendo dall’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti (IVS) va detto che questa si
applica indifferentemente a tutti i lavoratori immigrati al pari di quelli nazionali. Alcune differenze però vanno segnalate in ordine alla sorte che subiscono i contributi versati per l’IVSnel caso di rimpatrio del
lavoratore immigrato e, più precisamente, nel caso si tratti di rimpatrio di lavoratore extracomunitario in un paese non legato con il nostro da alcuna convenzione bilaterale in quanto, diversamente, sarebbero i regolamenti comunitari o le convenzioni bilaterali a disciplinare la materia. Ebbene, mentre in un primo momento a tali lavoratori era stata data la possibilità, in caso di rimpatrio, di poter richiedere, con una maggiorazione del 5% annuo, la liquidazione dei contributi versati in loro favore presso forme di previ- denza obbligatoria, successivamente tale disciplina è stata modificata.
Oggi, in caso di rimpatrio, il lavoratore extracomunitario, tanto “stabile” quanto “stagionale”, non può più chiedere la restituzione dei contributi versati a suo favore ma “conserva i diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati e può goderne indipendentemente dalla vigenza di un accordo di reciprocità, al verificarsi della maturazione dei requisiti previsti dalla normativa vigente, al compimento del sessanta- cinquesimo anno di età”, anche in deroga al requisito dell’anzianità contributiva minima (almeno cinque anni di contribuzione effettiva, versata e accreditata) (così gli artt. 22, comma 13, 25, comma 5, del TU
come modificati dalla della l. n. 189/2002). In tal modo si assicura, al raggiungimento dei 65 anni di età, una pensione di vecchiaia a tutti i lavoratori extracomunitari rimpatriati, anche se la prestazione potrà essere di importo davvero irrisorio qualora maturata soltanto con pochi anni, o addirittura pochi mesi, di contribuzione.
Non è altrettanto chiara la disciplina delle prestazioni di invalidità-inabilità e in caso di morte del lavoratore extracomunitario rimpatriato nel paese di origine. Queste tutele dovrebbero spettare, prima del raggiungimento dei 65 anni di età, qualora il lavoratore abbia maturato i requisiti contributivi minimi richiesti dalla normativa generale (almeno cinque anni di contribuzione, di cui tre nell’ultimo quinquen- nio), o anche senza i requisiti contributivi minimi dopo il raggiungimento dei 65 anni di età. L’INPS, però,
riconosce senz’altro questa seconda ipotesi, ma nulla dice riguardo alla prima (v. circ. n. 45 del 2003). Insieme all’assicurazione per l’IVSi lavoratori stranieri hanno diritto anche a tutte le altre assicura-
zioni sociali previste per la manodopera nazionale. Devono così essere assicurati anche e principalmente contro gli infortuni e le malattie professionali, per le prestazioni economiche di malattia e di maternità, per la disoccupazione e per gli assegni al nucleo familiare.
Queste assicurazioni e le corrispondenti tutele sono garantite a tutti i lavoratori stranieri. Fanno eccezione soltanto gli extracomunitari “stagionali” i quali non hanno diritto alle prestazioni di disoccupa- zione ed agli assegni per il nucleo familiare, pur dovendo i loro datori di lavoro versare comunque all’INPS
un importo pari alla somma dei contributi sociali dovuti per le due voci che andrà a finanziare generici interventi di carattere socio-assistenziale previsti nel Fondo nazionale per le politiche migratorie (art. 25 TU286/1998), poi assorbito dal Fondo per le politiche sociali (art. 46, l. 289/2002).
Come si può ben comprendere, questa esclusione dei lavoratori extracomunitari “stagionali” dal beneficio delle prestazioni di disoccupazione e degli assegni per il nucleo familiare, se è rilevante in gene- rale, è di massima importanza per il settore agricolo nel quale gran parte del reddito degli addetti è rappre- sentato proprio dalle prestazioni di disoccupazione e dagli assegni familiari.
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Le ragioni di questa eccezione sono spiegate dal legislatore “in considerazione della durata limitata dei contratti nonché della loro specificità”. In verità, nel settore agricolo la stragrande maggioranza dei rapporti di lavoro ha una durata limitata: soltanto il 10% circa degli addetti ha infatti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e la gran parte dei dipendenti non effettua ufficialmente più di 100 giornate all’an- no. Può ben verificarsi pertanto che lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno per lavoro dipendente, a tempo determinato o indeterminato, svolgano in un anno meno giornate di lavoro di quante ne possa lavorare un extracomunitario con permesso di soggiorno “stagionale” la cui durata può raggiun- gere, come è noto, anche i 9 mesi.
Ebbene, pur avendo avuto una occupazione per un periodo di tempo più limitato degli addetti sta- gionali, soltanto i primi avranno diritto all’indennità di disoccupazione e agli assegni familiari. Gli stagio- nali, invece, ne saranno esclusi apparentemente per la presunta minore durata del contratto, di fatto per la diversa qualificazione del permesso di soggiorno che legittima la loro presenza nel nostro paese.
La ragione di fondo di una tale discriminazione a danno degli extracomunitari “stagionali” va ricer- cata, a nostro avviso, negli alti costi economici delle prestazioni agricole di disoccupazione e degli assegni per il nucleo familiare. Queste due tutele infatti, pur avendo una veste formale di tipo contributivo, nella realtà solo in minima parte (per un ventesimo circa) sono coperte con il pagamento dei contributi obbliga- tori e sono, quindi, a carico delle categorie produttive interessate; per la restante parte invece, quella pre- valente, sono a carico della solidarietà generale e gravano sul bilancio pubblico. Si tratta in sostanza di prestazioni apparentemente previdenziali, ma di fatto assistenziali. Sono dunque ragioni esclusivamente di “cassa” quelle che hanno indotto il legislatore a non riconoscere le prestazioni di famiglia e di disoccupa- zione agli extracomunitari “stagionali”.
Certamente, si potrebbe anche sostenere che gli extracomunitari “stagionali” non possono accedere alle prestazioni di disoccupazione in quanto dovendo necessariamente rientrare nei paesi di origine per quella parte dell’anno, di almeno tre mesi, non coperta dal permesso di soggiorno per lavoro stagionale, sarebbero sottratti di fatto ad ogni controllo sul loro stato effettivo di disoccupazione.
In linea di principio è questo un argomento forte, sul piano pratico però va notato come nel nostro paese per le prestazioni di disoccupazione agricola, così come per quelle riconosciute ai lavoratori stagionali di tutti gli altri settori produttivi, non si richiede alcuna documentazione circa le giornate di disoccupazione sofferte e per le quali si avanza la richiesta del pagamento delle indennità.
Sarebbe quindi quantomeno singolare avanzare una presunzione di occupazione per gli extracomu- nitari stagionali che rientrano nei loro paesi di origine nei mesi non coperti dal permesso di soggiorno quando a tutti gli altri lavoratori non si chiede in alcun modo di certificare i periodi di disoccupazione.
Di fatto ormai l’indennità di disoccupazione nel settore agricolo ed in quelli ad occupazione stagionale assolve nel nostro paese ad una funzione di integrazione del reddito concesso come premio ed indennizzo, non necessariamente collegato ad una disoccupazione effettiva, a chi presta la propria attività in settori marginali e deboli economicamente e perciò meritevoli di sostegno pubblico.
A rafforzare queste nostre considerazioni è giunto di recente l’avviso comune per l’emersione del lavoro nero e sommerso in agricoltura sottoscritto dalle parti sociali agricole il 23 gennaio del 2007 e con- segnato al Governo. In tale documento si sostiene esplicitamente che “va riconosciuto il trattamento di disoccupazione agricola ai lavoratori immigrati con permesso di lavoro stagionale”. Si aggiunge, inoltre, a riconoscimento di una gestione della materia non sempre chiara e coerente, che qualora per i periodi pregressi l’indennità di disoccupazione sia stata indebitamente corrisposta agli immigrati stagionali “va prevista una forma di sistemazione che non penalizzi il lavoratore”.
Occupiamoci ora delle tutele assistenziali che, come abbiamo già accennato, non nascono diretta- mente dallo svolgimento di una attività lavorativa e non sono quindi specifiche dei lavoratori, ma sono dirette al sostegno della persona che si trovi in uno stato di bisogno reale ed accertato.
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TUTELA CONTRATTUALE,PREVIDENZIALE E ASSISTENZIALE DEGLI IMMIGRATI IN AGRICOLTURA
Per queste tutele, contrariamente a quelle previdenziali assicurate ai lavoratori, non vige il principio della parità di trattamento tra stranieri e nazionali. La nostra Costituzione, infatti, all’art. 38 attribuisce il “diritto al mantenimento e alla assistenza sociale” genericamente ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere. I regolamenti comunitari e gli interventi del legislatore ordina- rio hanno poi esteso la cerchia dei beneficiari delle prestazioni assistenziali anche agli stranieri presenti sul territorio nazionale, pur se a determinate condizioni.
Il testo normativo più importante a tal riguardo è anche in questo caso il TU sull’immigrazione n.
286 del 1998, e successive modifiche ed integrazioni, che ha messo ordine nelle disposizioni disorganiche e dispersive vigenti sino ad allora in materia di immigrazione, regolando per quanto riguarda la materia di cui ci stiamo occupando sia gli aspetti sanitari che quelli dell’assistenza sociale (cfr. Cap. 1, parr. 1.3.4 e ss.).
Partendo dalla tutela sanitaria va detto che questa è ormai largamente estesa a tutti gli stranieri pre- senti sul territorio nazionale, anche se con una significativa differenza tra quanti soggiornano e lavorano nel nostro paese con regolare permesso e quanti invece non sono in regola con il permesso di soggiorno. I primi sono obbligatoriamente iscritti al Servizio sanitario nazionale (SSN) ed hanno parità di trattamento
ed uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani per quanto attiene all’assistenza erogata e all’obbligo contributivo (art. 34, c. 1, del TU); ai secondi invece sono assicurate le cure ambulatoriali ed
ospedaliere ma soltanto se “urgenti, o comunque essenziali” in caso di malattia o infortunio, ed è inoltre garantita la tutela della gravidanza e della maternità a parità di trattamento con le cittadine italiane, nonché la tutela della salute del minore e la partecipazione a programmi di medicina preventiva (art. 35, c. 3, TUe
Circ. ministero della Sanità 24 marzo 2000 n. 5).
Da segnalare, infine, che per gli stranieri con regolare permesso di soggiorno la prestazione sanita- ria va comunque fornita, anche se non è stata ancora formalizzata l’iscrizione al SSN; per gli irregolari,
invece, è previsto che le prestazioni sanitarie alle quali si ha diritto “sono erogate senza oneri a carico dei richiedenti qualora privi di risorse economiche sufficienti, fatte salve le quote di partecipazione alla spesa a parità con i cittadini italiani”. Sempre per gli irregolari è anche previsto esplicitamente che l’accesso alle prestazioni sanitarie non comporta, a parità di condizioni con il cittadino italiano, “alcun tipo di segnala- zione all'autorità”, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto in presenza di lesioni derivanti dalla com- missione di un reato, con l’evidente finalità di evitare che l’irregolare, per timore di essere perseguito per il suo status giuridico, possa nascondere la sua malattia con pregiudizio per la sua salute e per quella dell’intera collettività.
Diversamente dalla tutela sanitaria, per quella di assistenza sociale la cerchia degli stranieri che vi possono accedere a parità di trattamento con i cittadini italiani è molto più ristretta.
Conviene ricordare innanzitutto che tra gli istituti rientranti nel campo assistenziale il più importan- te è sicuramente quello dell’invalidità civile con il quale si erogano prestazioni economiche (l’assegno mensile per l’invalidità parziale, la pensione di inabilità, l’indennità di frequenza per i minori soggetti a trattamenti riabilitativi, l’indennità di accompagnamento per i non autosufficienti bisognosi di assistenza continua) a soggetti con una forte riduzione della capacità lavorativa (almeno il 74%) e con redditi perso- nali molto bassi. Sono pure di natura assistenziale ed hanno anche una loro importanza: l’assegno di maternità pagato dall’INPS alle lavoratrici che abbiano avuto un minimo di contribuzione previdenziale;
l’assegno mensile di maternità pagato dai Comuni alle donne senza prestazione di maternità contributiva e con redditi familiari bassi; le pensioni e gli assegni sociali; altre prestazioni minori erogate dai Comuni, dalle Province o dalle Regioni con finalità di integrazione sociale come il Reddito minimo di inserimento o di ultima istanza.
Ebbene, per tutte queste prestazioni vige nel nostro paese una parità di trattamento soltanto per i cittadini comunitari e per gli stranieri con carta di soggiorno. I titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, inizialmente pure ammessi alle tutele assistenziali (art. 41 TU), ne sono stati in
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cioè di soggetti attratti esclusivamente dalla prospettiva di poter beneficiare delle provvidenze garantite nel nostro paese. Da notare, infine, che per poter godere delle prestazioni assistenziali bisogna comunque essere residenti nel nostro paese in quanto le stesse, diversamente dalle prestazioni contributive, non sono “esportabili”.
Per concludere questa rassegna giova ricordare l'esistenza nel nostro paese di altri strumenti per la piena integrazione degli immigrati che pure possono essere ricondotti ad una nozione più ampia di assi- stenza sociale. Essi sono: i centri di accoglienza e il diritto alla casa, il diritto all’istruzione ed altre più specifiche misure di integrazione sociale (rispettivamente artt. 40, 38 e 42 del TU). Tra tutti questi stru-
menti meritano una particolare segnalazione la previsione dell’obbligo scolastico per i minori stranieri presenti sul territorio (a prescindere dalla regolarità della loro presenza) e il diritto di accedere, in condi- zioni di parità con i cittadini italiani, agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, anche se tale diritto è riservato soltanto agli stranieri con carta di soggiorno o in possesso di permesso di soggiorno almeno biennale e che esercitano una regolare attività di lavoro subordinato o autonomo.
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