origine, evoluzione e orientamenti del sistema formativo piemontese
2. Configurazione del sistema in funzione dell’evoluzione normativa
Nell’immediato dopoguerra occorreva affrontare una grande emergenza, in quanto ampi strati della popolazione era analfabeta e un’intera generazione di giovani era stata esclusa da processi educativi. C’era il problema della ricostruzione, aggravato da una dimensione della disoccupazione molto elevata. Da qui la prima legge na- zionale (LN 264/1949) che prevede il finanziamento di interventi di addestramento professionale riservati a disoccupati (prevalentemente rivolta al settore meccanico ed edilizio). Erano interventi a tempo pieno per periodi limitati, in cui veniva erogato ai partecipanti un reddito di sussistenza.
Nel 1951 la norma viene modificata e sono istituiti corsi di addestramento professionale aperti anche ai giovani e ai lavoratori in genere. Nei fatti, con questo provvedimento, viene istituito un canale parallelo a quello scolastico (la futura L 53/2003 – legge Moratti – riconfermerà un orientamento molto simile).
Nel 1955 viene emanata una legge istitutiva dell’apprendistato (L 25/1955). Si tratta di una legge circoscritta all’artigianato, ma molto innovativa in quanto prevede:
- l’obbligo del datore di lavoro di organizzare l’addestramento e l’insegnamento professionale; - l’obbligo di frequenza da parte dell’apprendista;
- un intervento formativo mirato a recuperare le competenze trasversali (linguistiche e ma- tematiche).
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Una grave carenza la rende purtroppo inefficace: non sono previste sanzioni. Nel 1962, con la grande riforma della scuola che introduce la scuola media unificata, scompaiono le scuole di avviamento al lavoro.In quegli anni, oltre ai CFP di INAPLI, ENALC e INIASA sono operativi al- cuni CFP nati sui presupposti già descritti e finanziati in modo molto discontinuo dal Ministero del Lavoro.
Come già accennato in precedenza, nel 1972 si costituiscono le Regioni, ma soltanto dopo tre anni vengono conferite ad esse le funzioni amministrative (DPR 616/1975) che diventano operative. Questa prima operatività si concretizza con un primo accenno di programmazione. In quel periodo infatti compaiono le prime circolari mirate a definire l’offerta formativa annuale. Si tratta di una tappa fonda- mentale in quanto rappresenta il passaggio da un modus operandi in cui prevaleva l’iniziativa individuale – il direttore del CFP che propone di realizzare dei corsi e si fa appoggiare dal politico di riferimento, dall’ente locale o attraverso altri gruppi di pressione – a un sistema di valutazione complessiva delle proposte, che prevede una pianificazione finanziaria, una programmazione didattica, una proposta formativa. In altri termini si incomincia a introdurre il concetto di programmazione.
Come è noto, nell’originario dettato costituzionale le Regioni a statuto ordinario esercitavano una potestà legislativa concorrente, ossia potevano legiferare soltanto in presenza di leggi cornice. Nel 1978 viene emanata la legge quadro 845/78 in materia di FP. Tale norma, tuttora vigente, risente in modo vistoso dell’età ed è stata modificata o superata in molte parti da:
- leggi sul decentramento di poteri dallo Stato centrale a Regioni, Province, Comuni (DL 112/1998);
- leggi attuative di accordi tra le parti sociali in tema di formazione (L 236/93 formazione continua; L 196/97 apprendistato (art. 16), riordino della FP - leggi nazionali e indirizzi europei sul lavoro e l’integrazione tra scuola, FP e lavoro);
- interpretazioni evolutive di molte leggi regionali.
La L 845/1978 è un dispositivo abbastanza corporativo che sancisce uno stato di fatto, assegnando un ruolo esclusivo agli Enti di FP e privilegiando l’intervento pubblico nell’organizzazione delle attività. Non prevede finanziamenti specifici, abroga il Fondo Addestramento Professionale (FAP), convogliando queste risorse nel fondo comune che, in tal modo, non verrà più specificatamente aggiornato. Inoltre istituisce il Fondo di Rotazione ancora oggi utilizzato per il cofinanziamento del
FSE e prevede la costituzione di ‘Fasce di funzioni professionali omogenee ai fini dei rapporti contrattuali di lavoro’(Fasce di qualifica). Occorre rilevare che quest’ultimo obiettivo, disatteso poiché molto osteggiato dalle rappresentanze datoriali e poco sostenuto anche dalle OOSS in quanto ritenuto materia tipica della contrattazione, rappresenta tuttavia per il Piemonte una tappa fondamentale: nasce da esso il gran- de lavoro che porterà allo sviluppo degli standard formativi basati sui fabbisogni professionali espressi sul piano socio-economico.
Nel 1980 la Regione Piemonte legifera sulla materia, emanando la LR 8/1980, un provvedimento legislativo che non si discosta di molto dalla legge nazionale di riferimento, tanto da essere intesa quasi come delibera di recepimento. Essa introduce il concetto di programmazione attraverso un processo burocratico molto pesante e farraginoso (ad esempio il programma annuale dei corsi dev’essere approvato con delibera di Consiglio Regionale) e prevede la delega – in realtà mai attuata – delle fun- zioni amministrative ai Comuni (nel 2000 la funzione verrà conferita alle Province). Per quindici anni si assiste quindi a una sorta di ‘medioevo legislativo’, in cui poco cambia, mentre il sistema formativo piemontese, pur lentamente, si evolve. In quel periodo vengono attivati i primi interventi post-diploma e si assiste al tentativo di attrezzarsi per formulare un’offerta di formazione più ampia, non soltanto destinata ai giovani che abbandonano prematuramente la scuola. Con le risorse del Fondo Sociale Europeo, all’epoca quasi esclusivamente destinate alla formazione aziendale, nascono i primi corsi per occupati che, per propria iniziativa, intendono arricchire il loro bagaglio formativo.
L’inizio degli anni ’90 è caratterizzato da una profonda crisi economica, sociale e istituzionale. Inoltre, negli anni di tangentopoli, in Italia emergono a macchia d’olio scandali che coinvolgono pubblici amministratori e soggetti privati in gestioni poco limpide di fondi pubblici destinati alla FP. La Regione Piemonte, insieme a poche altre, risulta immune da tali eventi, i cui effetti si faranno tuttavia sentire: il clima generale di quel periodo ha contribuito a mettere in cattiva luce, per lungo tempo, tutto il sistema.
Nel 1993 viene emanata la L 236/1993, primo pilastro di un lungo processo di riforma che coinvolgerà la FP, il lavoro e l’istruzione. Questa norma introduce per la prima volta il termine ‘formazione continua’, riferito a lavoratori dipendenti in cassa integrazione straordinaria, in mobilità o impegnati nei lavori socialmente utili. Sulla scorta di altri Paesi europei, istituisce un’altra grande innovazione: un fondo nazio- nale alimentato da un contributo versato dalle imprese, assegnando un ruolo attivo alle parti sociali, con una quota delle risorse gestita da una fondazione amministrata
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in modo paritario dalle organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori (si tratta del primo passo verso la costituzione dei fondi paritetici interprofessionali). Fino all’anno 2000 tali fondi sono gestiti dal Ministero del Lavoro e dalle Regioni. A partire dal 2004, le imprese possono scegliere se destinare il contributo al Ministero del Lavoro, che lo assegnerà alle Regioni, oppure ai fondi paritetici interprofessionali, la cui natura giuridica è di tipo privatistico: è questo il periodo della concertazione di cui fanno fede il Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo del 23 luglio 1993, il Patto per il lavoro del 24 settembre 1996 e il Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione del 22 dicembre 1998 (noto come ‘Patto di Natale’). In questo periodo si assiste a una profonda evoluzione del sistema formativo piemontese. Le imprese che normalmente sviluppavano progetti di formazione per i propri dipendenti in forma individuale si consorziano, costituendo i cosiddetti ‘consorzi aziendali’. Essi si presentano come strutture più snelle rispetto alle agenzie formative che operano sul mercato del lavoro, con tutti i pro e i contro che ne con- seguono, con un’organizzazione agile e in grado di rispondere più immediatamente alle esigenze formative delle aziende consorziate. Sull’onda di tale fenomeno, tutte le associazioni datoriali costituiscono un proprio organismo di formazione.Nel 1995 la Regione Piemonte riforma la propria legge sulla FP: la LR 63/1995, all’epoca fortemente innovativa, è figlia di tale momento socio-politico, che precorre per molti aspetti norme statali e orientamenti comunitari emanati in tempi successivi. In essa vengono stabiliti modi e tempi della programmazione (Programmi triennali, Direttive annuali), che sanciscono:
- il principio della concertazione, istituendo il Segretariato per l’Orientamento e la FP; - il principio del pluralismo per valorizzare le diverse proposte formative presenti sul territorio;
- la tutela della concorrenza, stabilendo che nessun ente pubblico o privato può vantare verso la Regione posizioni di privilegio o di preferenza per l’attuazione della politica regionale di FP;
- la separazione tra funzioni di gestione e funzioni di programmazione (dismissione della gestione diretta);
- l’integrazione con la Scuola e l’Università per combattere la dispersione, per migliorare il successo scolastico e formativo;
Per quanto concerne invece i soggetti deputati ad erogare FP, la LR 63/1995 mantiene invariata la struttura della legge quadro 845/1978, prevedendo che, per la formazione dei disoccupati, Regione e Province si convenzionino con:
- Enti Pubblici;
- Enti non lucrativi, che siano emanazione delle organizzazioni imprenditoriali, sindacali, sociali;
- Consorzi e Società consortili a partecipazione pubblica.
Le imprese, invece, possono convenzionarsi con Regione e Province, anche con- sorziandosi tra di loro, con la funzione di ‘agenzia formativa’ per la formazione di propri dipendenti o di personale da assumere.
Una tappa fondamentale che avrà molti risvolti sul sistema formativo è rappresen- tata dalla nuova modalità di affidamento delle attività introdotta dalla LR 63/1995. Nascono in quegli anni i primi ‘procedimenti ad evidenza pubblica’, per certi versi molto simili agli affidamenti di gara. Vengono introdotte procedure più rigorose di valutazione di ‘ammissibilità’ degli operatori aventi titolo, dei contenuti dei corsi, e di molti altri elementi che compongono l’offerta. Per fronteggiare le novità, le piccole strutture che temono di soccombere alla concorrenza cercano di aggregarsi ai grandi Enti storici, fondendosi con loro per affinità elettive. Le agenzie conso- lidate, inoltre, nell’intento di occupare aree scoperte, danno luogo a una politica di espansione sul territorio aprendo nuove sedi, con iniziative spesso suffragate solo da sensazioni o da pressioni locali. Tale fenomeno espansivo dei grandi Enti, suppor- tato dalla convinzione che la dimensione ne accresca la potenza e quindi anche la possibilità di esercitare pressione sull’opinione pubblica, avrà pesanti ripercussioni sull’intero sistema, contribuendo in modo determinante alle cicliche crisi che si presenteranno nel tempo.
Se si procede nell’analisi della normativa di riferimento, un sostanziale provve- dimento è rappresentato dalla L 196/1997, la quale estende l’apprendistato a tutti i settori, prevedendo:
- la formazione esterna obbligatoria di 120 ore annue; - il tutore aziendale dell’apprendista;
- il rinvio ad intese tra le parti sociali e ai contratti di lavoro; - l’applicazione dell’istituto.
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Risalgono a quel periodo, infatti, le prime indicazioni regionali in materia di formazione degli apprendisti, che danno luogo allo sviluppo dei primi progetti sperimentali. La Regione Piemonte sarà una delle poche che, nel tempo, metterà a sistema l’offerta formativa per gli apprendisti. Tale operazione è stata possibile grazie alla presenza di un sistema FP che, nel suo complesso, pur presentando note- voli problemi di carattere organizzativo, si è reso disponibile ad affrontare modalità formative non usuali se si pensa che il fatto di pianificare corsi di 120 ore (240 ore per l’obbligo formativo) per utenti di provenienza eterogenea, con le più svariate funzioni lavorative, non è facile dal punto di vista didattico e pone seri problemi di economicità.La normativa nazionale riaffronterà il tema con tappe successive, attraverso altri due provvedimenti normativi: la legge delega in materia di occupazione e mercato del lavoro del 14 febbraio 2003, n. 30 (la cosiddetta legge Biagi) e il relativo decreto legislativo del 10 settembre 2003, n. 276. Più di recente (L 133/2008), è stato enfa- tizzato il ruolo formativo delle imprese, riconoscendo a queste ultime la possibilità di far svolgere – in toto o in parte, per ciò che riguarda la sola componente pro- fessionalizzante – la formazione obbligatoria per i giovani assunti con contratto di apprendistato. Tale importante processo innovativo del sistema viene definitivamente confermato e consolidato con la LR 26 gennaio 2007 n. 2, Disciplina degli aspetti
formativi del contratto di apprendistato, con la quale, nelle more del riordino generale
della normativa in materia di Istruzione e Formazione Professionale, si disciplinano i profili formativi dei contratti di apprendistato, stabilendo caratteristiche e durata della formazione. In particolare, la legge statuisce definitivamente, anche attraverso lo stanziamento di ingenti risorse, che l’apprendistato entra, a pieno titolo, a far parte del sistema della FP nelle sue tre componenti:
- formazione per apprendisti adolescenti in età di Diritto/dovere all’istruzione e formazione professionale (ex Obbligo formativo);
- formazione per apprendisti in possesso di una qualifica di base, di un diploma di scuola secondaria superiore o di laurea (cosiddetto apprendistato professionalizzante); - formazione per apprendisti ultradiciottenni che, attraverso il contratto di apprendistato, intendono acquisire un diploma o partecipare a percorsi di alta formazione.
Superati i problemi iniziali, determinati soprattutto dal fatto di essere conside- rati un’attività sperimentale e quindi residuale rispetto ai più consolidati corsi di formazione per disoccupati o di formazione permanente, oggi i corsi per appren-
disti, progettati e sviluppati per competenze, appartengono solidamente all’offerta formativa del sistema piemontese. La L 196/1997 prevede altresì:
- l’affidamento delle attività nel rispetto dei principi di trasparenza e concorrenza; - la semplificazione degli adempimenti amministrativi e delle verifiche contabili; - l’accreditamento, nazionale e regionale, delle strutture formative pubbliche e private, indipendentemente dalla loro natura giuridica;
- l’omogeneità delle certificazioni delle competenze acquisite a livello nazionale, anche per un loro riconoscimento europeo;
- il riconoscimento dei crediti formativi tra Scuola, Università, FP.
Dall’iter suesposto si evince dunque che la seconda metà degli anni ’90 si presenta foriera di profondi cambiamenti nei sistemi di FP: per valutarne l’impatto occorre, congiuntamente alla sopraccitata L 196/1997, fare un accenno alla L 59/1997 di riforma alla pubblica amministrazione. Con tutti i limiti del dettato costituzionale dell’epoca, questa legge delega, di grande portata, ha prodotto il DLGS 112/1998, il quale:
- riformula la definizione del termine FP contenuta nella L 845/1978; - ridisegna le competenze dello Stato all’interno di una logica più federalista;
- attribuisce compiti alla Conferenza Stato-Regioni, prevedendo il parere obbligatorio e di proposta in ordine alle competenze in capo allo Stato;
- conferisce alle Regioni le funzioni e i compiti che, per effetto della norma, sono stati ad esse trasferiti;
- dispone che le Regioni attribuiscano di norma alle Province le funzioni ad esse trasferite in materia di FP.
I combinati di queste norme, disposti anche in forma implicita, incideranno notevolmente sul sistema di FP, sia in termini positivi, sia evidenziando limiti e carenze da cui esso si riteneva immune. La Regione Piemonte conferisce le funzioni amministrative alle Province nel 2000 (LR 44/2000) e, per quanto concerne la FP, il passaggio di consegne avviene nel 2002. Per il sistema formativo tale tappa comporta una profonda revisione della propria organizzazione. Se, infatti, il decentramento alle Province sembra avvicinare la Pubblica amministrazione ai cittadini, per contro tende a frazionare i procedimenti e ad aumentare la burocrazia.
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l’eterogeneità dei flussi finanziari. Occorre precisare che tale periodo coincide anche con l’avvento della moneta europea e con le conseguenti norme stringenti sul ‘Patto di stabilità’, che genererà ulteriori problemi di carattere finanziario, tanto più che la spesa per la FP e il FSE sono considerate ‘Spese correnti’.Infine, la stessa L 196/1997, a completamento della L 236/1993, istituisce il Fondo interprofessionale per la formazione continua, sotto forma di Fondazione di diritto privato, con un Comitato di indirizzo e di sorveglianza paritetico delle parti sociali e introduce il tirocinio quale strumento per realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro e agevolare le scelte professionali. Il tirocinio formativo, rivolto a tutti i soggetti che hanno assolto l’obbligo scolastico, non costituisce rapporto di lavoro e può durare 4, 6 e 12 mesi, a seconda delle caratteristiche dei destinatari (24 mesi per i disabili). Il tirocinio può essere promosso da centri per l’impiego e da servizi di inserimento lavorativo, da università, scuole, agenzie di FP o comu- nità terapeutiche e cooperative sociali. Con l’impresa ospitante viene stipulata una convenzione. Da questo momento in avanti i centri di FP, le scuole e le università, congiuntamente ad altri soggetti previsti dalla legge, diventano anche organizzatori di tirocini: è bene tuttavia precisare che, nei corsi di formazione realizzati con i contributi regionali, lo stage formativo è prassi metodologico/formativa già a partire dalla metà degli anni ’80.