origine, evoluzione e orientamenti del sistema formativo piemontese
5. L’evoluzione socio-pedagogica della Formazione
Professionale in Piemonte
2I conflitti ideologici prodotti dall’insieme delle norme precedentemente descritte si sono fatti particolarmente sentire in Piemonte. Nei momenti di difficoltà non sempre si riesce a mantenere il giusto distacco ma, come spesso avviene, le situazioni critiche producono esperienza che, se opportunamente capitalizzata, porta buoni frutti.
Tale continuo susseguirsi di norme nell’arco di un decennio ha costretto tutti gli attori del sistema (Regione, Province, scuole, agenzie formative, organizzazioni sindacali) a impegnarsi per sviluppare idee, con lo scopo di fornire un servizio di alta qualità didattico-pedagogica. Per lungo tempo, infatti, la FP è stata intesa più come un ‘addestramento’ a specifiche mansioni in virtù della concezione predominante di
un apprendimento basato sulla presentazione al soggetto di determinate attività e di compiti legati alla mera prassi, ovvero all’esperienza pratico-operativa, che veniva riservata a chi nella scuola si trovava escluso dalla ‘cultura’, per definizione di natura puramente teorica: un profondo solco tra ‘sapere’ e ‘saper fare’, tra studio e lavoro. Le stesse denominazioni dei corsi (stenodattilografia, lavorazioni meccaniche e altre definizioni generiche) presenti nella prima offerta formativa regionale convenzionata degli anni ’70, che riprendeva in larga misura corsi finanziati precedentemente dal Ministero del Lavoro, richiamavano esplicitamente un ambito puramente ‘addestra- tivo’, circoscritto entro un set limitato di proposte e in situazioni operative molto standardizzate e precostituite.
In tali condizioni socio-culturali, la consapevolezza della mission educativa nei confronti delle giovani generazioni, fortemente presente negli Enti di ispirazione cattolica e non, ha costituito il fattore determinante per costruire il passaggio a un sistema più propriamente ‘formativo’.
Alcune espressioni rendono merito di una tendenza a modellizzare in senso pedagogico, con una chiara impronta sociale, l’attività educativa rivolta ai giovani:
“Onesti cittadini, buoni cristiani” (Don Bosco).
“Chi lavora con le mani è un manovale, chi lavora con le mani e il cervello è un operaio, chi lavora con le mani, con il cervello e con il cuore è un artista” (Don Michele Rossa). “Nel servizio educativo dei giovani più poveri e bisognosi, la formazione al lavoro è diventata una risposta adeguata alla domanda di preparazione alla vita, espressa dalla gioventù nelle diverse parti del mondo” (Giuseppini del Murialdo).
“...L’aver intuito per primi l’importanza e l’urgenza di offrire la sera ai giovani operai le basi tecniche essenziali, a completamento della capacità manuale appresa di giorno negli opifici, va ascritto al merito dei fondatori. Così come la gratitudine dell’intera cittadinanza va alle tante generazioni di insegnanti e di dirigenti delle Scuole San Carlo che in cen- tocinquant’anni vi hanno prestato la loro appassionata opera, spesso del tutto volontaria: per le decine di migliaia di giovani che in quelle aule si sono formati, queste Scuole han- no rappresentato un’opportunità di miglioramento professionale che li ha resi più forti e consapevoli nella loro vita lavorativa; per l’economia cittadina Esse sono state una fucina di intelligenti e preparati lavoratori, tecnici e, non di rado, di imprenditori di successo …” (Scuole San Carlo).
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Negli anni, la FP regionale è stata dunque stimolata a sviluppare prassi pedago- giche e metodologiche che rappresentano un patrimonio di esperienze irrinunciabili, fiore all’occhiello nel panorama italiano. Tale patrimonio può essere socializzato e reso disponibile per la costruzione di un sistema unitario, di pari dignità ma soprattutto ri- spondente sia ai bisogni delle persone, sia agli obiettivi dello sviluppo socio-economico della nostra Regione. Nei percorsi formativi, progettati seguendo specifiche regionali molto precise e rigorose, l’allievo è l’elemento centrale attorno al quale ruotano tut- ti gli elementi del sistema, a cominciare dall’‘accoglienza’, volta a rendere possibile l’implicazione personale nel gruppo e finalizzata a definire un ‘contratto pedagogico’ consapevole e partecipato all’interno dell’azione formativa. Vengono valorizzate le ‘capacità personali’, cioè le caratteristiche della persona, innate o apprese, che ri- guardano i requisiti di base, in quanto esse rappresentano le potenzialità dell’allievo e debbono essere riconosciute e attualizzate. Nel corpo docente si rileva un’istintiva predisposizione a considerare le attitudini come capacità soggettive globali ad appren- dere le competenze necessarie per svolgere una determinata categoria di compiti, con particolare riferimento a quelli di natura professionale.Una forte accentuazione sul ‘saper essere’ ha permeato i programmi, l’attività in officina, in aula, la didattica e la preparazione dei docenti, contribuendo nel corso degli anni allo sviluppo di un diverso approccio ‘di sistema’ al soggetto in formazione. Una visione olistica che considera la persona in tutte le sue dimensioni e colloca i processi di apprendimento in una sfera più ampia e complessa, riferibile agli ambiti percettivi e cognitivi di ogni individuo. Nuovi linguaggi e tecnologie si sono via via inseriti, sia sul piano culturale, sia nel mondo del lavoro e in altri segmenti dell’organizzazione sociale, contribuendo a continue trasformazioni. Anche la Formazione ha dovuto, ancora prima della Scuola, attrezzarsi per evitare quella totale ‘mancanza di senso’ percepita dagli studenti a fronte dell’acquisizione di conoscenze destinate a rimanere ‘inerti’, in quanto non riconosciute come utilizzabili o trasferibili in altri contesti. Da qui la necessità, dunque, di mettere in campo metodi più efficaci per educare il soggetto a costruire attivamente il proprio bagaglio cognitivo, collegandolo strettamente alla situazione concreta in cui l’apprendimento stesso si verifica. Alcuni principi hanno guidato, in tal senso, l’impostazione pedagogica delle attività:
- laboratorialità; - successo formativo; - centralità della persona;
Nel conseguente processo di innovazione didattica è stato fondamentale attivare un graduale passaggio dall’auditorium al laboratorium, ovvero da una situazione di docenza frontale, in cui l’insegnante parla e gli allievi ascoltano, a uno spazio in cui si affrontano insieme i problemi ricercandone le soluzioni, nel quale l’allievo viene considerato come persona che pensa, opera, si confronta con gli altri, corregge, si auto-corregge e riflette, mentre l’insegnante agisce come mediatore, facilitatore, negoziatore, risorsa in grado di garantire la tenuta del processo di apprendimento del singolo e del gruppo. Un metodo che mette in primo piano la relazione edu- cativa, valorizza l’esperienza e conduce in modo induttivo verso l’acquisizione di saperi (culturali, sociali, professionali) orientati a compiti reali, concreti e quindi interdisciplinari.
Tuttavia, nel lungo processo evolutivo di natura pedagogica e formativa che ha caratterizzato il periodo in cui la Regione è diventata titolare di tale funzione, sono stati introdotti molti altri elementi che si dimostreranno strategie formidabili, tra cui vale la pena citare:
- la costruzione di un progetto personale che pone al centro l’esperienza e la competenza professionale cui si mira;
- l’apprendimento dall’esperienza anche tramite tirocinio/stage formativo in stretta col- laborazione con le imprese del settore di riferimento;
- l’adozione di una pedagogia fondata sul successo che non porta a scegliere solo i migliori, ma mira al sostegno e al raggiungimento degli obiettivi prefissati da parte del maggior numero possibile di allievi;
- l’impianto metodologico seguito nelle azioni formative, sulla base del principio del successo formativo, il quale tende ad assicurare agli allievi una proposta formativa dal carattere educativo, culturale e professionale che preveda risposte molteplici alle loro esigenze, in modo che ogni utente possa comunque ottenere un risultato soddisfacente in termini di conseguimento di una qualifica professionale;
- il riconoscimento di crediti formativi acquisiti attraverso altre esperienze scolastiche, formative e lavorative (formazione formale e non formale) e la messa in campo di sostegni individuali per garantire il successo degli inserimenti.
Ne è scaturito un sistema sempre più dinamico e propositivo, pienamente in- tegrato con l’Istruzione pubblica, l’Università e le imprese nel loro complesso, ben diverso da quell’immagine dequalificata e di basso profilo che si era soliti attribuire ai percorsi formativi finanziati dalla Regione. È quanto mai difficile superare i pre-
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concetti di chi troppo semplicemente tende a definire la FP come la ‘scuola degli asini’ dove non si studia e ‘si fa casino’.Le sperimentazioni realizzate in questi ultimi anni sui percorsi triennali di quali- fica, sugli interventi di recupero degli abbandoni scolastici e formativi, sulle azioni di orientamento professionale, sui percorsi post-qualifica della ‘terza area’ negli istituti professionali di Stato, sulle iniziative co-progettate e svolte in modo integrato con gli istituti di scuola secondaria superiore e le recenti attività realizzate in raccordo con le scuole secondarie di primo grado, mirate a prevenire l’abbandono scolastico, rappresentano il perno fondamentale dell’offerta formativa che caratterizza il sistema di FP della nostra Regione.
Sul versante dell’integrazione tra i sistemi scolastici e formativi, le esperienze realizzate rappresentano quindi un punto di forza del sistema piemontese. Per meglio analizzare le condizioni storiche che hanno condotto a tale integrazione, occorre però fare un passo indietro e riprendere le tappe salienti di costituzione dell’Istruzione Professionale di Stato. Chi volesse approfondire la dinamica di costituzione della IP in Italia, può reperire l’interessante documento elaborato dalla Commissione De Toni nel 2008. Ai fini della nostra ricerca è sufficiente evidenziare che gli istituti professionali come tali nacquero con il RDL 21 novembre 1938, n. 2038, che auto- rizzò la trasformazione di preesistenti scuole tecniche in professionali e la creazione di nuovi istituti professionali, in seguito effettivamente istituiti con vari decreti del Presidente della Repubblica, in applicazione dell’art. 9 del suddetto regio decreto, prevalentemente tra il 1960 e il 1964. Con l’istituzione della scuola media unica e la conseguente soppressione della scuola di avviamento professionale, le scuole tecniche furono praticamente soppresse e sostituite dagli istituti professionali.
Nel 1992 il MPI ha assunto il progetto di attenuare il carattere addestrativo degli istituti professionali, cercando anche di riorganizzare i percorsi secondo un più rigido schema nazionale. I principali elementi del cosiddetto Progetto ’92 con- sistono nell’aumento delle ore di lezione delle materie culturali, specialmente nel primo biennio, a scapito delle materie pratiche; nella facoltà di rilasciare un diploma professionalizzante, di competenza regionale, al termine del quinquennio, a condi- zione che nel biennio post-qualifica siano svolte attività in convenzione con l’Ente Regione (la cosiddetta ‘Terza area’) e nell’introduzione, all’interno del curricolo, di quattro ore settimanali dette ‘area di approfondimento’, da dedicare sia al recupero degli alunni in difficoltà, sia al potenziamento delle competenze. Un’ulteriore fase evolutiva si è osservata un decennio dopo, con il Progetto 2002, che ha rivisto i quadri-orario, riducendo da 40 a 36 le ore settimanali delle lezioni.
Nel 1994 la Regione aderisce alla sperimentazione del Progetto ’92 e finanzia i cosiddetti percorsi della Terza area, prima con fondi propri e poi con risorse del FSE, fino al 2006, anno di chiusura del precedente periodo di programmazione. Nel 2007 tali progetti non vengono più finanziati e le risorse sono destinate ai ‘Percorsi triennali integrati’ fino all’anno scolastico 2008-2009. In seguito viene manifestata l’intenzione di attivare un nuovo progetto sperimentale, mirato al rilascio della certificazione triennale agli studenti che si iscrivono ai percorsi quinquennali del nuovo ordinamento dell’istruzione professionale.
Sul versante dell’istruzione tecnica e di quella liceale, a seguito della L 53/2003 e dell’accordo in CU sui percorsi sperimentali triennali del 16/06/2003, nascono i cosiddetti ‘biennali integrati’. Sono progetti nati dal modello tosco-emiliano, forte- mente voluti dalla Provincia di Torino, in cui si persegue il vecchio modello della L 9/99 (con due anni nella scuola secondaria superiore per l’assolvimento dell’Obbligo di Istruzione e un anno nella FP regionale per acquisire una qualifica professionale per chi ne fuoriesce prematuramente).
L’insieme di queste sperimentazioni, anche se realizzate in ambiente spesso conflittuale, hanno costretto obtorto collo l’Istruzione e la Formazione Professionale a confrontarsi, a progettare congiuntamente e a perseguire obiettivi comuni. È stato costituito un ‘Tavolo di Progettazione’ congiunto, che ha prodotto lavori interessanti, sviluppando indicazioni puntuali, utili alla progettazione dei percorsi in una chiave evolutiva per una vera integrazione fra i sistemi.
Per restare nell’ambito dell’integrazione fra i sistemi, troviamo l’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS) quale capostipite dell’alta formazione, la cui storia inizia con la già citata L 144/1999 (art. 69). Gli IFTS costituiscono l’offerta post-secondaria non universitaria e si pongono in discontinuità con la scuola se- condaria superiore e con l’offerta post-qualifica e post-diploma. Una delle finalità dei percorsi IFTS si riferisce al fatto che essi si collocano all’intersezione tra scuola, formazione continua ed educazione degli adulti, delineando un sistema formativo non più organizzato linearmente in base alla sequenza tra tempo di studio in età giovanile e tempo di lavoro in età adulta, ma strutturato secondo principi di discontinuità e di alternanza tra formazione e lavoro nella logica della lifelong education. Nella prospettiva di sviluppo di progetti che integrino formazione, ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico, sono stati costituiti i cosiddetti ‘Poli formativi IFTS’, quali entità espresse dai sistemi produttivi locali e connotate da standard di eccellenza in settori ‘strategici’. In futuro gli IFTS saranno forse sostituiti dall’Istruzione tecnica superiore (ITS), ma il dibattito è ancora aperto e il percorso tutto da tracciare. Le
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Università e il Politecnico sono ancora restii a riconoscere crediti formativi (ECVET) e le probabilità di trovare lavoro al termine di un percorso IFTS sono buone, ma non si discostano tanto dalla media dei corsi post-diploma.L’avvento degli IFTS ha rappresentato un momento evolutivo di portata storica per il sistema formativo nel suo complesso, in quanto ha nei fatti obbligato ambiti come istruzione, formazione, università e imprese a confrontarsi e a unire le proprie risorse professionali per raggiungere un unico scopo.
Anche sul versante della formazione degli adulti, il sistema ha saputo dare risposte efficaci, mettendo in atto un’offerta formativa in continua evoluzione. Le ‘strutture consortili aziendali’ e le ‘agenzie formative accreditate’ sono costantemente impegnate a dare una risposta operativa ai bisogni formativi delle aziende e dei lavoratori che, di propria iniziativa, si attivano per migliorare o cambiare la propria posizione professionale attraverso la ‘formazione continua individuale’.
Ancora nell’ambito della formazione per gli adulti, è d’obbligo ricordare gli interventi realizzati nell’ambito socio-sanitario. Sono ormai migliaia le persone, in larga misura donne e con bassa scolarità, qualificate per svolgere la funzione di Ope- ratore socio-sanitario, in grado di dare risposta di assistenza a una richiesta sociale in continuo aumento. E come non ricordare gli interventi destinati in larga misura alle straniere, occupate presso nuclei famigliari con il ruolo di badante? Ma occorre ancora accennare agli Educatori prima infanzia e agli Educatori professionali che, per lungo tempo, sono stati formati nelle strutture regionali, sebbene nell’ultimo periodo siano passati alla competenza universitaria. In futuro sarà compito della FP occuparsi dell’aggiornamento professionale delle figure appartenenti al settore socio-educativo.
La FP opera nel suo insieme, anche se un po’ a fatica, all’interno di una rete di servizi composta da centri per l’impiego, organizzazioni imprenditoriali e sindacali, enti bilaterali, sistema scolastico, sistema universitario, strutture private di servizio, etc. Pur restando innata la tendenza, in ognuno di questi attori, ad autoreferenziarsi e a far prevalere il proprio ruolo, il futuro della FP non potrà essere disgiunto dalle politiche che accomunano tutti questi soggetti in un’azione sinergica di risorse eco- nomiche e professionali.
I punti di forza del sistema formativo piemontese si possono così evidenziare sinteticamente in:
- organizzazione attenta ai bisogni delle persone, all’accoglienza, alla personalizzazione dei percorsi, al miglioramento continuo delle prassi pedagogiche;
- abitudine a lavorare per progetti in una logica di concorrenzialità;
- disponibilità logistica di buon livello, con strutture accreditate, attrezzate con tecnologie moderne;
- presenza di pratiche concertative consolidate; - estesa esperienza di attività integrate Scuola-FP;
- prassi consolidata e metodologia sperimentata nella rilevazione dei fabbisogni profes- sionali;
- disponibilità a partecipare attivamente alla definizione degli standard formativi (Com- missioni di Comparto).