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La parola ai referenti provinciali

Cesareo V. e Reguzzoni, M (1986)(a cura di), Tendenze di istruzione nei paesi occidentali,

3. La parola ai referenti provinciali

Un tempo, la maggior parte dei giovani che optava per la FP proveniva in larga misura da famiglie a basso reddito, con necessità immediate di guadagno, quindi di lavoro e solo in parte presentava situazioni difficili dal punto di vista sociale. Ora possiamo affermare che la situazione si è ribaltata. Adesso i ragazzi arrivano da condizioni economiche meno pesanti, ma seriamente più disagiate dal punto di vista sociale. Spesso la scelta della FP viene effettuata dalle famiglie per il fatto che, all’in- terno delle agenzie, si presta molta attenzione alla persona, e accettata dai ragazzi perché vengono proposte attività che richiedono un minore impegno intellettuale.

Anche dal punto di vista delle aspettative si è verificata comunque un’evoluzione di tipo socio-culturale: un tempo i ragazzi sentivano il bisogno di lavorare – proba- bilmente nella famiglia c’era già un forte senso del lavoro e la necessità di guadagnare – e la formazione serviva a preparare un operaio qualificato. Se guardiamo agli ado- lescenti di adesso, invece, abbiamo qualche dubbio sulle loro motivazioni al lavoro.

A tal proposito è interessante notare come, in parallelo, sia cambiata anche la prassi: un tempo il patto educativo era implicito (ci si educava attraverso il lavoro), mentre ora sono le agenzie formative a dover esplicitare un progetto formativo a cui le famiglie spesso si adattano.

Oggi i ragazzi hanno bisogno di essere contenuti, ‘ricompattati’ e, talvolta, ri- orientati: grazie alle metodologie e agli strumenti proposti all’interno dei percorsi

7 Regolamenti di riordino dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali emanati dal Presidente della Repubblica in data 15 marzo 2010 (registrati alla Corte dei Conti in data 1 giugno 2010). Sistema di Istruzione e Formazione Profes- sionale – Accordo in Conferenza Stato-Regioni del 29/4/2010 (21 figure professionali).

8 Hanno partecipato al focus group: Antonella Bertarello (Vercelli), Michelangelo Bruno e Luca Bastonero (Cuneo); Arturo Faggio, Rosalba Fasolo, Stefania Massara, Maris Signorin e Mauro Spigariol (Torino).

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di FP si tenta di dare una maggiore motivazione sia al lavoro, sia alla formazione, ma il processo è certamente lungo, come lo è quello relativo all’orientamento. Nei corsi per adolescenti è molto difficile rimotivare le fasce svantaggiate e deboli: la formazione ha anche un ruolo sociale forte per la collettività, che va oltre la sola preparazione al lavoro.

Nel ripercorrere le varie tappe, si rileva che inizialmente, intorno agli anni ’80, la FP tende a imitare la scuola tradizionale, senza averne però le peculiarità: forse è ciò che contribuisce a etichettare i percorsi professionali come scuole di ‘serie B’. In realtà, proprio in quel periodo, si registra una forte richiesta occupazionale di manodopera specializzata: le attività proposte dalle agenzie diventano così molto quotate perché assicurano sbocchi professionali.

All’inizio degli anni ’90 si vorrebbe abbandonare la formazione di primo livello e puntare a quello superiore, ma ciò non si verifica e, con l’introduzione dell’obbligo formativo, tale modello viene messo in discussione. In quegli anni la Regione finan- zia corsi destinati ai cosiddetti “giovani a rischio”, ovvero ai drop-out. Si tratta di interventi meno rigidi e fortemente caratterizzati dalla necessità di rimotivare alla convivenza civile, in cui lo ‘studio’ consiste nel ‘fare’ e nel ‘collaborare’ in un contesto che richiede il rispetto delle regole.

Per la FP si tratta di un passaggio importante di carattere sociale, che persegue finalità di tipo socio-educativo: gli allievi possono crescere in un ambiente che li riconosce e li valorizza, aiutandoli ad apprendere attraverso attività concrete e a non scivolare verso la devianza. Talvolta i destinatari sono ragazzi reduci da insuccessi scolastici, che possono ricominciare a imparare grazie alle scuole professionali. I corsi, infatti, non sono tradizionali, ma appositamente progettati per dare supporti diversi ai soggetti che hanno difficoltà a stare all’interno di un corso standardiz- zato e verso i quali si rivolge una più mirata attenzione pedagogica. Attraverso la formazione si propone quindi una rimodulazione dei percorsi formativi, al fine di recuperare ragazzi che altrimenti sarebbero a rischio di abbandono scolastico: una scelta che dà buoni risultati.

In generale, comunque, la formazione si dimostra in grado di dare valore alle capacità degli allievi, poiché il formatore dedica molto tempo a incentivarne l’auto- stima e a suscitarne il senso di protagonismo. In tale contesto egli diventa dunque un riferimento positivo, che si avvicina maggiormente alle loro aspettative. Si tratta di una realtà che innesca processi di emulazione, con un vantaggio reciproco: il ragazzo assorbe valori e atteggiamenti utili a rinforzare la propria personalità e a rappresentarsi aspirazioni e scopi da perseguire, mentre l’insegnante è incentivato

a dare il meglio di sé e a rinnovarsi nella professionalità.

Il rapporto con il docente si dimostra uno degli elementi portanti del successo formativo: il fatto di partire dalla persona, dalle sue esigenze e dai punti di forza, permette di costruire percorsi professionali ma anche positive esperienze di vita, in grado di offrire strumenti utili a superare le proprie fragilità. Un’indagine effet- tuata in un biennio di cucina, ad esempio, rileva che per tutti gli allievi l’elemento fondamentale, il nucleo stesso dell’esperienza formativa, è l’attenzione dello chef nei loro confronti.

Occorre sottolineare, inoltre, che nelle agenzie formative i ragazzi entrano a far parte di una comunità: in tutte le strutture si lavora in team e accanto al direttore ci sono altre figure professionali (responsabile didattico, tutor, mediatori, etc.) che contribuiscono a coordinare la proposta formativa, condividendo lo stesso progetto educativo. Quando si prendono in carico ragazzi con problemi, si crea poi una rete con i servizi sociali territoriali e con gli altri interlocutori, in un clima di scambio e di integrazione delle risorse.

Da parte delle agenzie diventa inoltre indispensabile costruire rapporti con le aziende del territorio per organizzare gli stage, divenendo, talvolta, anche centro di collocamento.

La formazione si rivela dunque un momento forte, che mette in gioco sia gli allievi, sia la struttura, un luogo in cui si modificano gli obiettivi e le strategie in base alle capacità del gruppo-classe, dimostrando spesso una maggiore flessibilità rispetto alla scuola tradizionale. Un esempio: se in un’officina si rompe una macchina uten- sile, la si smonta, s’individua il guasto e si ripara. Piccoli eventi che in altri contesti costituirebbero un problema, in tale ambito diventano opportunità per imparare.

Tuttavia si corre il rischio di ghettizzare la FP, proprio perchè si occupa anche di persone svantaggiate, sebbene sia risaputo che, mai come ora, è necessario optare per una forma diversa di educazione, che comprenda la globalità dell’essere umano, pianificando una pedagogia che abbia ancora come riferimento essenziale quello di insegnare un lavoro e di inserire i ragazzi nella società. Nel contesto della FP, molti giovani acquisiscono infatti autostima e fiducia raccogliendo progressivamente il senso di prospettiva che viene loro proposto, soprattutto attraverso le attività pratiche, e cambiano così la loro visione della realtà, modificando anche il comportamento: per questi motivi un formatore ha grandi responsabilità sul presente e sul futuro delle persone. Talvolta sono gli stessi ex-allievi a diventare docenti: per costoro risulta quindi più facile insegnare, perché hanno vissuto in prima persona gli stessi percorsi e, impegnandosi a riprodurli, dimostrano la qualità e il valore della loro esperienza.

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La qualità dell’offerta formativa non è sempre uniforme: se si rilevano sicuramente differenze, nel complesso risulta però abbastanza omogenea, anche se alcune realtà legate al mondo cattolico conferiscono una particolare impronta all’impostazione, intervenendo anche nei casi più problematici. Nella formazione gli allievi vengono monitorati costantemente e, nel caso di inserimenti effettuati nel corso dell’anno, viene garantita la possibilità di recuperare le ore perse in aula e in laboratorio grazie a un accompagnamento individualizzato, elemento che non sempre viene assicurato dalla scuola.

A fronte di un momento drammatico come quello attuale, per la difficoltà di collocazione nel mondo del lavoro e per l’elevata disoccupazione, ci si domanda quale sarà il destino dei ragazzi di oggi, che hanno sempre meno opportunità occupazio- nali. Un tempo, infatti, quando le aziende chiamavano, gli allievi appena qualificati erano effettivamente preparati, pronti per essere inseriti nel lavoro, mentre oggi sono aumentate le ore teoriche a scapito di quelle pratiche: ci si interroga sull’efficacia di tale scelta.

D’altra parte è sempre più difficile trovare allievi disposti a iscriversi a corsi in cui siano previste molte ore nelle officine e sono pochi quelli che vogliono diventare muratori o saldatori: tutti tendono a scegliere lavori meno faticosi, ad eccezione degli stranieri, che vi si adattano, come si diceva, in vista di un’attività lavorativa sicura. I corsi di carpenteria e falegnameria sono tra quelli meno ambiti dai maschi, mentre le ragazze preferiscono diventare parrucchiere o estetiste. Si tratta di manifestazioni che hanno a che fare con i gusti del momento, con un complesso di mode, ma anche con modelli culturali difficili da scalfire: ad esempio, il culto del corpo e della prestanza fisica, che oggi fanno tendenza in assoluto, condizionano la scelta dei corsi. A tal proposito è necessaria la collaborazione con le scuole per proporre un orientamento calibrato su più livelli, che si prefigga di affrontare e tentare di superare pregiudizi e stereotipi. Ma anche l’orientamento richiede una buona competenza.

L’adesione ai corsi di formazione iniziale è comunque notevole: il 50% degli iscritti arriva direttamente dalla scuola secondaria di I grado e l’altro 50% si iscrive dopo esperienze diverse. Le risorse disponibili, purtroppo, non consentono di sod- disfare tutte le richieste, per cui sorge il problema della selezione, che tende inevi- tabilmente a escludere i più deboli. Ad acuire tale fenomeno contribuiscono anche regole amministrative poco flessibili, come ad esempio quelle sul ‘valore atteso’, per cui i finanziamenti sono vincolati all’effettiva frequenza di ogni singolo allievo. Un altro aspetto problematico è quello che vede ingenti quote di risorse destinate ad adempimenti burocratico-amministrativi.

Occorre infine sottolineare che viene svolta una capillare azione di monitorag- gio, con la raccolta delle opinioni e delle motivazioni di chi frequenta i corsi. Tale azione permette ad ogni allievo di esprimere il proprio gradimento in merito o di evidenziarne le criticità di carattere organizzativo e/o pedagogico-didattico. Tutto ciò facilita certamente l’opera di chi si trova a erogare un’offerta formativa sempre più variegata e destinata a target diversi, con esigenze multiformi.

PARTE 2

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La Formazione iniziale: