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origine, evoluzione e orientamenti del sistema formativo piemontese

3. Il ruolo dell’Unione Europea

Nella seconda metà degli anni ’90, l’Unione Europea assume un ruolo guida anche in materia di politiche sociali. Nell’intento di contrastare le pesanti ripercussioni in termini di disoccupazione derivata dalle politiche restrittive per raggiungere l’obiettivo della moneta unica, nel 1997 si sigla il cosiddetto ‘Trattato di Amsterdam’, con il quale viene richiesto agli stati membri di affrontare il tema del lavoro e della disoccupazione in modo più incisivo. Sancito il ‘principio della sussidiarietà’ fino ad allora non previsto nell’ordinamento italiano e richiesto l’impegno a snellire le procedure burocratiche amministrative, viene introdotto il concetto di formazione permanente (lifelong learning).

Un principio fondamentale su cui si fonda l’intero Trattato dell’Unione Europea è certamente quello della ‘libera concorrenza’: di conseguenza le norme sugli ‘Aiuti di Stato’ pongono limiti nell’accesso ai fondi. Inoltre, poiché la FP direttamente rivolta alle imprese è considerata una forma di aiuto, ovviamente intervengono regole molto più restrittive riguardo a finanziamenti pubblici per la formazione aziendale. Più

avanti si avrà modo di approfondire gli effetti di questa norma sul sistema.

Intanto è importante sottolineare come, a partire dal 2000, l’Unione Europea si trovi ad avviare un processo che porterà a stimolare gli Stati membri a conformare i sistemi educativi verso il conseguimento di benchmarck condivisi. Con la strategia di Lisbona e la successiva adozione del programma ‘Istruzione e formazione 2010’, vengono adottati i seguenti parametri di riferimento, da raggiungere entro il 2010 in ambito UE:

- dimezzamento del tasso di abbandoni scolastici precoci (quota di soggetti in età 18-24 anni, che hanno al più conseguito il titolo dell’obbligo scolastico e non risultano iscritti ad alcun percorso formativo di durata almeno triennale) rispetto al livello registrato nel 2000, al fine di arrivare a una media UE pari o inferiore al 10%;

- dimezzamento del livello della disparità fra i generi tra i laureati in matematica, scienze e tecnologia, garantendo allo stesso tempo un sensibile incremento complessivo del numero totale di laureati rispetto al 2000;

- quota di giovani di età compresa fra i 18 e i 24 anni che ha assolto almeno l’istruzione secondaria superiore, pari ad almeno l’85%;

- percentuale di quindicenni scolarizzati con scarse capacità di lettura (livelli 0 o 1 dell’indagine OCSE-PISA) non superiore al 15%;

- partecipazione all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita prevista per almeno il 12,5% della popolazione attiva adulta (fascia d’età fra i 25 e i 64 anni).

Al Consiglio di Lisbona l’UE ha dunque stabilito nuovi e importanti obietti- vi da raggiungere nell’ambito della Strategia europea per l’occupazione, fissando l’obiettivo strategico per cui l’Europa avrebbe dovuto rappresentare entro il 2010

l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.

Dalla data di quell’evento si possono registrare molti altri momenti in cui la Commissione e il Consiglio hanno espresso indirizzi e raccomandazioni sulle poli- tiche da seguire in materia di istruzione e formazione professionale. A tal fine, per tracciare un quadro lineare e coerente dell’impegno europeo in materia di forma- zione permanente, è interessante fare riferimento ai ‘Considerando’ riportati nella Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 sulla costituzione dell’EQF (European Qualifications Framework) nell’ambito del Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente. Barcellona, Copenaghen,

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Bruxelles e Bergen sono solo alcuni momenti che hanno caratterizzato le tappe dell’UE per sollecitare gli Stati membri a impegnarsi su tale versante.

Il quadro europeo delle qualifiche è stato pensato come un comune codice di riferimento che consente di confrontare e tradurre i diversi titoli rilasciati nei Paesi membri. Esso prende in considerazione la formazione generale, quella professionale e superiore. La sua struttura a otto livelli di riferimento comprende le qualifiche ottenute dal termine della scuola primaria a quelle conferite ai livelli più alti della formazione e della formazione continua di tipo accademico e professionale. I livelli descrivono le conoscenze richieste, le capacità tecniche e le competenze auspicate, a prescindere dal percorso formativo o dal Paese nel quale sono state acquisite. Con questo sistema si procede a un confronto delle qualifiche basato non più sui pro- grammi o sui contenuti formativi, ma sui risultati dell’apprendimento. Ogni Stato sviluppa un proprio schema, al fine di mettere in relazione le qualifiche nazionali con quelle inerenti il quadro europeo e di confrontarle con quelle di altri Stati europei. L’UE raccomanda agli Stati membri di posizionare i sistemi di qualifica nazionale all’interno di detti livelli entro il 2010. Al più tardi nel 2012, tutti i nuovi diplomi, certificati e documenti Europass dovranno riportare le informazioni relative al li- vello corrispondente.

Altra tappa fondamentale è rappresentata dalla Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 giugno 2009 sull’istituzione dell’ECVET (European

Credit System for Vocational Education and Training), ovvero un sistema integrato

europeo di trasferimento dei crediti per l’Istruzione e la Formazione Professionale. I diversi strumenti del Consiglio di Copenhagen non definiscono le qualifiche, come si faceva un tempo, in base agli input didattici (durata di un processo didattico o tipo di istituzione formativa), ma in virtù degli output dei processi didattici (risul- tati didattici come conoscenze, capacità e competenze). In questo modo gli istituti di formazione possono orientare meglio i propri programmi di insegnamento alle esigenze del mercato del lavoro, facilitando inoltre il riconoscimento degli appren- dimenti acquisiti in modo informale e non formale e promuovendo la mobilità tra diversi sistemi formativi e tra diversi Paesi. I vari strumenti realizzati in tale ambito creano dunque condizioni quadro favorevoli per l’apprendimento permanente.

Sulla base di queste direttive europee vengono attivati una serie di tavoli nazionali e regionali con il compito di definire linee guida e produrre documenti di riferimento. Ancora una volta il sistema formativo piemontese si dimostra recettivo e si mette in opera prontamente per conformare la progettazione di percorsi finalizzati non più all’acquisizione di saperi, ma di competenze.

Per due periodi di programmazione (2000-2006 e 2007-2013) l’Unione Europea ha indirizzato la maggior parte delle cospicue risorse del Fondo Sociale Europeo (più di 2 miliardi di euro nel complesso) al raggiungimento degli obiettivi fissati nella Strategia europea per l’occupazione. Non possiamo dire, purtroppo, che lo Stato italiano abbia fatto altrettanto: in poche occasioni dei dieci anni ormai trascorsi si è assistito a una seria politica di investimenti sul capitale umano. Oggi possiamo constatare amaramente che gli obiettivi fissati a Lisbona non saranno raggiunti e che la crisi economica mondiale di quest’ultimo periodo non ha certamente giocato a favore, poiché ingenti risorse del FSE sono state dirottate per sostenere gli ammor- tizzatori sociali: principalmente a causa della mancanza di meccanismi sanzionatori, la generalità degli Stati aderenti all’UE, e l’Italia in particolare, ha operato in misura largamente insufficiente. I processi riferiti al sistema educativo, pure verificatisi come si può evincere da un’analisi dei succitati indicatori nel periodo 2000-2008, sono infatti ascrivibili quasi per intero alle dinamiche spontanee di medio/lungo periodo (ad esempio per ciò che concerne la scolarizzazione delle coorti giovanili) e all’orientamento delle risorse FSE verso determinate priorità regionali (ad esempio per la riduzione della dispersione scolastica).

Sul versante dell’investimento economico, la Regione Piemonte ha fatto la sua parte. Ogni anno vengono stanziati circa 160 milioni di euro (110 per il diritto allo studio e 50 per la FP) di fondi propri. Si tratta di un impegno economico notevole, tanto più se rapportato con le risorse statali trasferite, che mediamente si attestano sui 50-60 M€. Con tale quadro d’insieme, il futuro della FP, in presenza di un FSE economicamente ridimensionato, non può che destare qualche preoccupazione.

4. La riforma della Scuola e dell’Istruzione