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Configurazioni narrative: il Filosofo naturale

La conoscenza scientifica nell’era moderna: la Rivoluzione scientifica

VI.3 Configurazioni narrative: il Filosofo naturale

Eugenio Garin scriveva in uno splendido saggio: “I nuovi filosofi erano uomini diversi, che si rivolgevano a mondi diversi, separati ormai da un solco che dal principio del Quattrocento si era andato sempre più approfondendo. Erano ribelli alla tradizione della scuola, coloro che dagli antichi avevano imparato che non c’è il libro unico, ma che i libri sono tanti; che, oltre e prima dei libri degli uomini, c’è il gran libro della natura; che per capirlo non serve l’autorità ma è necessaria la ragione. Erano coloro che volevano la conoscenza, ma per l’azione; che erano pronti a tutto, anche a cercare i segreti della magia naturale per dominare il mondo, ma impegnati a liberare la scienza dalla magia. Vivevano ormai in un altro mondo, non conciliabile col vecchio: un mondo senza confini, dove si muovevano infiniti altri sistemi, dove la Terra ruotava intorno al Sole, dove l’uomo cercava una misura di certezza non solo scavando dentro di sé come Montaigne, ma sforzandosi di conoscere meglio gli abitanti di terre da sempre sconosciute, difficili da far rientrare nei quadri teologici tradizionali. Erano uomini che la Chiesa condannava senza eccezione, proprio perché distruggevano il suo mondo. Esclusi o malvisti nelle università, i nuovi filosofi andarono costruendo fra l’appartato e l’occulto altri luoghi d’incontro e di ricerca, sotto la protezione di principi o sovrani. Lì, in accademie e società, si andarono affaticando per fondare su basi sicure, o comunque criticamente discusse, la nuova enciclopedia del sapere, la nuova scienza capace di instaurare il regno dell’uomo, liberando le vie della ragione dall’insidia dell’occulto: l’astronomia dall’astrologia divinatrice, la fisica dalla magia cerimoniale. Lungo due secoli fu questo lo sforzo di un numero non grande di uomini costretti a combattere su più fronti, senza neppure una caratterizzazione precisa: senza sapere bene cosa fossero e cosa stessero cercando. La crisi dell’enciclopedia medievale aveva non solo cancellato barriere, ma distinzioni antiche. L’artista si era fatto scienziato, il filologo teologo, lo storico moralista, il fisico filosofo. Furono i nuovi filosofi inquieti e ribelli, una specie di cavalieri erranti del sapere, che si mossero fra sogni e magie, fra utopie ed illusioni di paci universali e perpetue, fra riflessioni critiche capaci di ogni sondaggio interiore, fra vagabondaggi mistici in mezzo alle anime delle stelle e a formule matematiche capaci di tradurne i moti, finalmente non più circolari”367.

In questo periodo è ancora dominante una configurazione narrativa al cui centro si trova un sistema di norme e valori confessionale, variamente intessuto di saperi metafisici di origine non confessionale, le “filosofie” di modi di organizzazione passati, che non solo avevano costituito il tessuto connettivo dell’elaborazione dogmatica del cristianesimo delle origini, ma erano sempre riutilizzabili in chiavi nuove. Su questo nucleo si innestano i nuovi “fatti”, i saperi tecnici della contabilità, della medicina, dell’alimentazione, dell’agricoltura, delle costruzioni, delle varie industrie e attività commerciali, dell’arte visiva, della navigazione. La soluzione alle contraddizioni emerse in questa nuova configurazione tuttavia non sarà l’abbandono dei vecchi quadri ma la nuova strutturazione dei saperi intorno a due nuclei quello dei “valori ultimi” col loro corredo di immaginari stratificati e quello dell’efficacia e dell’efficienza tecnica. Si tratta di un processo costitutivo estremamente tormentato e a tratti drammatico, che darà luogo ad una nuova configurazione narrativa utile alla gestione del modo di organizzazione ormai formato. Di fatto, poi, quando una conoscenza consegue una dimensione strumentale per un uso pragmatico, tende ad essere utilizzata ignorando o “dimenticando” i suoi presupposti in rappresentazioni collettive del passato, sia di tipo confessionale che “epistemologiche”. I

saperi pratici si autonomizzano come tecniche correnti nella configurazione di un sistema storico, ed è proprio ponendo l’enfasi sulla funzione strumentale che essi si rendono autonomi, producendo nel lungo periodo anche una loro specifica ideologia tecno- scientista368.

Questa affresco ci dice della complessa configurazione narrativa dalla quale emerge il Filosofo naturale e di come questa sia il prodotto della convergenza di variabili eterogenee. Gli influssi dell’industria e dell’ingegneria sul pensiero scientifico hanno, ad esempio, contribuito al mutamento di idee, al modo di affrontare i problemi di concepire sia la realtà, sia la materia stessa. Una serie di libri del diciassettesimo secolo testimonia dei progressi tecnici raggiunti a quel tempo in diversi campi: nello sfruttamento delle miniere e nella metallurgia, per esempio. È lecito supporre che alcune di queste opere abbiano aperto la strada alla chimica moderna, che è errato immaginare sia sorta esclusivamente dall’alchimia. In questo settore tecnico, e soprattutto nell’ambito della meccanica e dell’idrostatica, non v’è dubbio che Archimede ebbe nel corso della rivoluzione scientifica un’ulteriore influenza: dobbiamo guardare a lui quasi come al patrono della mentalità meccanica, e dei moderni sperimentatori nel campo della fisica. Al principio vi era una notevole frattura tra pratici e teorici: i navigatori erano troppo ignoranti in matematica, mentre i matematici non avevano alcuna esperienza di mare369. Coloro che studiavano la traiettoria dei proiettili o l’esatto angolo che doveva formare il cannone con il terreno, erano per lo più assai lontani da coloro che in pratica tiravano i colpi di cannone in tempo di guerra. Chi disegnava le carte geografiche o topografiche, i geometri, gli ingegneri, sentivano tuttavia da molto tempo la necessità di qualche nozione matematica, i viaggiatori portoghesi che avevano scoperto nuove terre avevano avuto bisogno dell’aiuto della scienza per andare con le loro navi a sud dell’equatore; William Gilbert fu in rapporto con i naviganti, e Galileo parla dei problemi che sorgevano nei cantieri navali di Venezia o del modo di servirsi dell’artiglieria e di estrarre l’acqua dalle miniere. In realtà è esatto rappresentarsi Galileo come un uomo che passava il suo tempo in un laboratorio nel quale ci si serviva della meccanica, e si ammaestravano allievi a creare sempre qualcosa di concreto - che si potesse anche vendere - e si facevano sempre esperimenti, così che il meccanico e l’artigiano s’univano insieme con il filosofo a formare un moderno tipo di scienziato. È stato sostenuto che il numero sempre crescente di strumenti meccanici nel mondo aveva, alla lunga, creato una sorta di interesse particolare o un moderno habitus psichico, un diretto interesse per il modo nel quale tali strumenti funzionavano, e la tendenza a considerare la natura dallo stesso punto di vista. Galileo osservò il percorso dei proiettili, il funzionamento della leva e il comportamento delle palle poste su piani inclinati, finché sembrò conoscerli, per così dire, dall’interno: gli orologi a ingranaggio erano ancora una sorprendente novità quando, nel quattordicesimo secolo, sorse l’idea che i corpi celesti potessero essere come pezzi di un simile ingranaggio. La prima propaganda in favore del movimento scientifico si basò in particolar modo sull’utilità pratica dei risultati che ci si attendeva da esso; ed era questa una delle ragioni portate dagli scienziati e dalle società scientifiche per ottenere il patrocinio dei re. L’attenzione della Royal Society era in realtà rivolta, ai suoi primi tempi, a problemi di utilità pratica; e per un periodo notevolmente lungo uno dei problemi presentati con insistenza ai tecnici e agli scienziati fu di urgente necessità: quello di scoprire un modo soddisfacente per misurare la longitudine. Diventano particolarmente importanti, nel diciassettesimo secolo, le scoperte di strumenti scientifici, soprattutto di

368 Lentini, Orlando (2003), Saperi sociali, ricerca sociale 1500-2000, Franco Angeli, Milano, pp. 14-16. 369 Per approfondimenti sul processo d’integrazione fra categorie d’individui con habitus psichici differenti

strumenti di misura; ed è difficile per noi comprendere quante difficoltà dovessero esserci state nei secoli precedenti a causa della loro mancanza. Il telescopio e il microscopio fanno la loro prima apparizione proprio all’inizio del secolo ed è difficile non considerarli come un prodotto delle industrie olandesi di raffinamento del vetro e dei metalli. Il microscopio tuttavia risultò, per molto tempo, inadeguato alle sue funzioni, evidentemente a causa di una deficienza non della tecnica della costruzione come tale, ma nella stessa scienza dell’ottica. Galileo rappresenta una fase importante nello studio del termometro e dell’orologio a pendolo e il barometro fa la sua apparizione alla metà del secolo. Qualora si consideri la ricchezza e la natura fantasiosa degli oggetti che ingombravano anche nel sedicesimo secolo il laboratorio dell’alchimista, si intuisce che difficilmente può essere stata la deficienza dei mezzi tecnici a ritardare la scoperta di alcuni moderni strumenti scientifici; sebbene sembri che, nei campi nei quali la precisione e la raffinatezza della lavorazione o del vetro o del metallo erano particolarmente necessarie, il progresso tecnico raggiunto nel diciassettesimo secolo sia un fattore tutt’altro che trascurabile. Il metodo sperimentale comportava, nella prima metà del diciassettesimo secolo, un serio onere finanziario per chi lo metteva in pratica. Nella seconda parte del secolo, quando le irregolari riunioni degli scienziati divennero associazioni scientifiche - la Royal Society in Inghilterra, l’Académie des Sciences in Francia (e simili società anche precedentemente in Italia) - queste associazioni contribuirono alle spese necessarie. Le loro pubblicazioni e la creazione di periodici, resero ancora più rapidi la comunicazione e il confronto dei risultati ottenuti con la scienza370.

Questo il quadro generale: volgiamoci ora ad un’esposizione più dettagliata.

La diffusione dei processi di produzione che accompagnarono l’affermazione della civiltà tecnologica con una lenta gestazione, iniziata durante il Medioevo, nei secoli XV e XVI aveva fatto maturare una tecnologia che richiedeva ormai personale specializzato e che, a causa dei servigi che rendeva alle comunità, conferiva un rango privilegiato al personale stesso. Il progresso sociale ha fatto scomparire la schiavitù e la mano d’opera ha un costo notevole. L’aumento della popolazione fa sì che aumenti anche il bisogno di beni di consumo. La diffusione dei mulini ad acqua ed a vento è imposta dalla necessità economica. Anche la scomparsa della schiavitù favorì lo sviluppo della mentalità sperimentale. Poiché il lavoro manuale non era più considerato un’occupazione servile, gli uomini di scienza non sdegnarono di costruire macchine e di dedicarsi agli esperimenti. Gli antichi non avevano riconosciuto la dignità del lavoro manuale, e ciò aveva limitato i progressi delle loro scoperte, riducendo l’attività scientifica a osservazioni passive e a discussioni dialettiche sulle cause prime371. Così l’evoluzione sociale determinò le condizioni di una nuova età della scienza. Nel Rinascimento gli studiosi di scienza sono nello stesso tempo anche tecnici, se non tutti, almeno in grande maggioranza. Soprattutto la meccanica applicata trova allora accoglienze assai favorevoli. Il nuovo habitus psichico induce gli uomini ad utilizzare nel miglior modo possibile tutte le risorse naturali: forza dell’acqua e del vento, vie d’acqua, miniere, foreste e terreni. La bardatura e l’impiego efficace del cavallo sono diventati ormai fatti tecnici; sono stati costruiti meccanismi assai complessi per i mulini a vento; si è compresa l’utilità dei canali, delle dighe, delle macchine idrauliche. Ecco dunque comparire di nuovo gli ingegneri372. L’ingegnere,

personaggio ufficiale come il medico o l’astronomo, spesso identificato con questi ultimi nella medesima persona, era anche lui mantenuto dal principe per i bisogni del governo. Costruiva canali e dighe, deviava i fiumi, edificava fortificazioni e disegnava macchine d’ogni tipo. Doveva inoltre dare il proprio parere, come i colleghi delle altre discipline, su

370 Butterfield, Herbert (1998), op. cit., pp. 111-114. 371 Per approfondimenti, vedi qui III Capitolo. 372 Per approfondimenti, vedi qui IV Capitolo.

tutte le questioni che richiedevano la conoscenza della matematica o, più semplicemente, una buona cultura generale373. I progressi della meccanica applicata giovarono molto ai ricercatori delle generazioni successive e determinarono un nuovo clima scientifico ed aprirono la strada al metodo sperimentale, fornendone in concreto i mezzi374.

Anche il fatto che, nel Quattrocento e nel Cinquecento - soprattutto in Italia -, l’aristotelismo si fosse “trasformato”, rispecchia la nuova cosmologia riflesso della stabile prosperità commerciale allora raggiunta dalle città italiane e da questo nuovo rapporto tra teoria e pratica. Queste avevano goduto e insegnato per lungo tempo nelle loro università una filosofia perfettamente laica e anticlericale che esprimeva la nuova cultura di questa società mondana e commerciale. A Padova, a Bologna, a Pavia regnava un aristotelismo che poco si preoccupava di adeguarsi agli interessi teologici. Non a caso, mentre la scienza nordica controllata dalla Chiesa spingeva all’aperta ribellione contro la scienza stessa tutti coloro che venivano a contatto con le nuove correnti, la scienza anticlericale delle università italiane progredì con fermezza nell’autocritica verso le conquiste di Galileo. Fondamentale fu anche lo stretto rapporto tra lo studio di Aristotele e lo studio delle medicina. A Parigi la Sorbona aveva il suo apice nella Facoltà di Teologia; a Padova la Facoltà delle Arti portava solo a quella di Medicina e Aristotele vi veniva insegnato in preparazione non a una carriera ecclesiastica bensì allo studio della medicina; conseguentemente si dava particolare rilievo ai suoi scritti di fisica, alla sua storia naturale e alla sua metodologia scientifica. L’Aristotele del medico differiva necessariamente dall’Aristotele del teologo. I docenti non scrivevano opere teologiche né commentari alle Sentenze. Di solito avevano essi stessi una laurea in medicina; applicavano Aristotele ai problemi medici e alle questioni di metodo che sorgevano nella scienza medica; interpretavano Aristotele alla luce dei migliori scrittori di medicina della tradizione greca e araba. Questa tradizione, che risale al grande Galeno, faceva della dissezione e dell’esperimento uno dei maggiori strumenti d’indagine. Non c’è da stupirsi dunque se questa metodologia pratica fu acquisita anche in altri campi di studio375; metodologia che non comportava più perdite di prestigio - avvalendosi dell’aura simbolica della medicina - e che assottigliava, se non dissolveva, la barriera tra vita activa e vita contemplativa. Infine la libertà di pensiero e di insegnamento garantita da Venezia, lo Stato che in Italia era alla testa dell’antipapalismo e dell’anticlericalismo, dopo l’acquisizione di Padova nel 1404, attraeva le menti migliori da tutta Italia, specialmente i filosofi meridionali. Padova rimase fino al tempo di Galileo la principale scuola scientifica d’Europa, baluardo della fisica qualitativa aristotelica e maestra anche di coloro che in seguito dovevano distaccarsene. Se dunque si giunse ai concetti della fisica matematica attraverso una lunga critica delle idee aristoteliche, il “nuovo metodo”, la logica e la metodologia accolte ed espresse da Galileo e destinate a divenire il metodo dei fisici del Seicento furono il risultato di una fertile ricostruzione critica della teoria scientifica aristotelica intrapresa in particolare a Padova e fecondata dalle discussioni metodologiche dei commentatori dei grandi medici del passato376.

Una distinzione ricorrente - come si è visto - è stata quella tra sapere teorico e pratico, il sapere dei filosofi e quello degli empirici377. La distinzione tra sapere “liberale” e sapere “utile” era un’annosa questione che continuò a essere dibattuta nella prima età moderna,

373 Basti pensare a Leonardo da Vinci o a Simone Stevino. 374 Daumas, Maurice (1978), op. cit., pp. 35-38.

375 Basti pensare agli esperimenti fisici galileiani. Nel campo della stessa anatomia non possiamo non

ricordare William Harvey e i suoi studi sulla circolazione sanguigna.

376 Randall, John Hermann, Il metodo scientifico allo Studio di Padova, in Wiener, Philip P; Noland,

Aaron (a cura di) (1977), op. cit., pp. 147-155.

anche se la valutazione relativa dei due generi di sapere stava subendo un rovesciamento, perlomeno in alcuni circoli378. Il sapere “liberale”, come la conoscenza dei classici greci e latini, godeva di alta reputazione alla metà del Quattrocento e ancora nel secolo successivo, mentre la conoscenza meramente “utile”, del mestiere, ad esempio, o dei processi di produzione, era tenuta in scarsa considerazione, al pari degli artigiani o i commercianti che la possedevano: seguendo una classificazione medievale ancora in uso in questo periodo, gli artigiani erano visti dalle classi elevate come praticanti delle sette “arti meccaniche”, tradizionalmente specificate come tessitura, costruzione di navi, navigazione, agricoltura, caccia, medicina e recitazione. In questo periodo tale superiorità stava subendo un processo di erosione. E dunque un ruolo preponderante alle origini della scienza sperimentale - nel senso di sapere artigiano sistematizzato - è esercitato non solo dal fatto che la classe degli artigiani e dei potenziali produttori di innovazioni tecniche non è più, come in Grecia, una classe disprezzata, ma anche perché, gli intellettuali come gli artigiani, sono in maggioranza indipendenti dal potere. Essi sono - in città oramai mercantili e dinamiche - dei liberi imprenditori, artigiani-inventori alla ricerca di un mecenate, che tendono ad amplificare al massimo gli effetti di una novità, a diffonderla e a sfruttarne tutte le possibilità, sia pur pericolose per l’ordine costituito. La società europea, imprenditrice e mercantile, era particolarmente adatta a suscitare e a sostenere il dinamico e innovatore sviluppo della scienza moderna nei suoi primi stadi. Fioriscono così numerosi cambiamenti nelle concezioni del sapere, tra cui il crescente interesse per i numeri. L’uso di cifre o “statistiche” venne associato al nuovo ideale di un sapere impersonale o imparziale, quella che più tardi si sarebbe chiamata “oggettività”. Si verificò uno spostamento di equilibrio nell’importanza relativa del sapere liberale e di quello utile a favore di quest’ultimo. Si incominciò ad avere una nuova visione del sapere come cumulativo. Il termine novità perse le sue associazioni peggiorative e divenne una qualità positiva379. La più nota espressione di questa visione di progresso è quella di Francesco Bacone, nel suo libro appropriatamente intitolato Il progresso del sapere380.

La difesa delle arti meccaniche dalla accusa di indegnità, il rifiuto di far coincidere la cultura con l’orizzonte delle arti liberali e le operazioni pratiche con il lavoro servile, implicavano in realtà l’abbandono della concezione della scienza come disinteressata contemplazione della verità, come ricerca che nasce solo dopo che si sono apprestate le cose necessarie alla vita. E alla polemica antiaristotelica si unisce sovente l’altra - largamente diffusa entro la letteratura tecnica - rivolta contro ogni forma di sapienza occulta e segreta, contro l’antichissima concezione sacerdotale del sapere. Gli scrittori di cose tecniche e i filosofi naturali insistono concordemente su un punto: il sapere ha carattere pubblico e collaborativo, si presenta come una serie di contributi individuali,

378 Un esempio illuminante del mutamento in corso dell’impiego di queste categorie in un contesto pratico ci

viene dalla costruzione del duomo di Milano intorno all’anno 1400. Durante i lavori sorse una disputa tra l’architetto francese e capimastri locali che, riuniti in assemblea, sostennero che “la scienza della geometria non dovrebbe avere posto in queste faccende poiché la scienza è una cosa e l’arte un’altra”; a quest’argomentazione, l’architetto responsabile del progetto rispose che “l’arte senza la scienza” (in altre parole, la techné senza l’ epistēme) “non vale nulla”.

379 Basti pensare a titoli di opere come: Astronomia Nuova di Keplero e nei Discorsi e dimostrazioni

matematiche sopra due nuove scienze di Galileo.

380 Sul frontespizio e nel testo di più d’uno dei suoi libri, Bacone si servì di un’immagine di grande impatto

visivo, che simboleggia il suo desiderio di cambiare il sistema: è l’immagine del “mondo intellettuale” illustrato da un’incisione di un globo terrestre o, in alternativa, di una nave che viaggia oltre le Colonne d’Ercole alla ricerca di nuovi territori. “Sarebbe un disonore per noi”, egli scrisse nel suo Refutation of Philosophies, “ora che i vasti spazi del globo materiale, le terre e i mari, sono stati aperti ed esplorati, se i limiti del globo intellettuale fossero stabiliti dalle anguste scoperte degli antiche”. L’ambizione di Bacone era chiaramente quella di un Colombo intellettuale che avrebbe “ridisegnato la mappa del sapere”. Burke, Peter (2002), op. cit., pp. 148-149.

organizzati nella forma di un discorso sistematico, offerti in vista di un successo generale che dev’essere patrimonio di tutti gli uomini. Questo modo di considerare il sapere e la scienza gioca un ruolo decisivo e determinante nella formazione e negli sviluppi dell’idea di progresso scientifico. Gli uomini che operavano nelle officine, negli arsenali, nelle