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Universi simbolici e riserve sociali di conoscenza: Universo meccanico e Officine

La conoscenza scientifica nell’era moderna: la Rivoluzione scientifica

VI.2 Universi simbolici e riserve sociali di conoscenza: Universo meccanico e Officine

Il periodo preso in analisi presenta aspetti - sia sul piano cosmologico, sia sul piano delle riserve sociali di conoscenza - eterogenei. Se talvolta essi ci appaiono addirittura contraddittori è perché il Rinascimento risulta essere una sorta di “laboratorio della modernità” e, come tutte le epoche transitorie, possiede una connotazione ambivalente. In più, in questa configurazione socio-storica, fioriscono moltissimi intellettuali, per cui, nell’esposizione che segue, si rendeva necessaria una selezione: verranno presentate, in maniera sintetica, solo le riflessioni di alcuni di questi317.

Nel Rinascimento, la lotta contro Aristotele continuava e con essa anche lotta contro lo scolasticismo medievale e contro i peripatetici - i conservatori moderni, seguaci di Aristotele - che rimasero ai loro posti nelle università. Al contempo, ci si opponeva violentemente al cosiddetto naturalismo del Rinascimento, alla fede nel panpsichismo e nell’animismo, che attribuiva un’anima ad ogni oggetto e vedeva miracoli in ogni aspetto della natura. Il naturalismo rinascimentale fu criticato in parte proprio in nome della religione, e i Cristiani, con la loro esclusivistica risoluzione di eliminare dal mondo ogni miracolo e magia tranne i loro propri, contribuirono involontariamente al successo della causa del razionalismo moderno318. Qualche scienziato della nuova generazione sostenne che, se non era possibile affermare che i normali fenomeni dell’universo erano regolari ed erano soggetti a leggi determinate, non si poteva attribuire nessun significato neppure agli stessi miracoli del cristianesimo. Nel decennio 1630-1640, nel circolo di Mersenne l’idea di un’interpretazione puramente meccanica dell’universo fu esplicitamente formulata, e i suoi esponenti più importanti erano gli uomini più religiosi del gruppo. Essi erano ansiosi di provare l’ordine e la perfezione del creato, ansiosi di rivendicare la razionalità di Dio319. Come si notava, l’habitus psichico del Rinascimento presenta anche aspetti che oggi possiamo considerare pre-moderni. A quei tempi, uomini permeati di idee di carattere soprannaturale, proiettavano i mitici animali dell’antichità e i prodotti della propria fantasia su quello che pensavano fosse il mondo reale. A quel tempo dunque più che nel Medioevo, il basilisco, l’egiziana fenice, il grifone, la salamandra, vennero di nuovo a trovarsi a casa loro. In questo periodo gli uomini erano legati a determinati principî filosofici, e se molti di questi principî riguardavano l’anima, o il problema della dignità dell’uomo, molti altri rappresentavano un tentativo di interpretare la natura come un sistema che trovasse in se stesso la sua spiegazione. Bisognava eliminare l’influenza di forze trascendenti, l’attività di spiriti e demoni operanti sul mondo dall’esterno, o il capriccioso intervento di Dio stesso, e cercare le spiegazioni di tutti i fenomeni entro il reale sistema della natura, considerando tale sistema autosufficiente e operante secondo le precise leggi che lo governavano. Vi era anche la tendenza, che divenne sempre più insistente, ad affermare che i fenomeni della natura dovevano essere osservati con più attenzione, e che i dati non andavano accettati basandosi sull’autorità degli scrittori antichi. Con la rinascita dell’antichità, antiche forme di occultismo, le speculazioni cabalistiche ebraiche, le arti magiche arabe, la mistificazione dell’alchimia, vennero mischiati agli ingredienti della filosofia. Queste influenze contribuirono a far riemergere concezioni del mondo più antiche di quelle di Aristotele, forme - come si è già notato - di panpsichismo, di astro-biologia e di animismo. Se da quel tempo la fede nell’astrologia,

317 In ogni caso saranno presi in considerazione quegli studiosi che, dalla letteratura di riferimento, si

ritengono più rappresentativi del periodo: Copernico, Keplero, Galileo, Bacone, Cartesio, Newton.

318 Anche se, come si avrà modo di vedere in seguito, il “contributo cristiano” all’affermazione del pensiero

scientifico in questo periodo è di marca prettamente protestante.

nella magia e nelle speculazioni alchimistiche andò rafforzandosi, fu perché tali scienze erano incoraggiate da una moda filosofica e dalla prevalente tendenza intellettuale, così ciò che noi siamo soliti chiamare magia non era solo un fenomeno di superstizione popolare; ma apparteneva anche all’intelligencija del tempo. Il tentativo di raggiungere un’idea uniforme del cosmo in realtà era forse inevitabilmente condizionato a portare a conclusioni fantasiose a causa dell’imperfezione dei dati che si avevano a disposizione. Era quindi possibile rivolgere la mente soltanto a ciò che si considerava natura, ma considerando questa stessa natura come natura magica. In questo sistema era importante collegare i fenomeni alle loro cause, e si dava per certo un autentico rapporto di causa e di effetto, sebbene non ci potesse essere una rigorosa distinzione tra fenomeni materiali e fenomeni mentali, tra attività meccaniche e attività occulte. Giunti a un certo punto, si cercavano le cause tirando fuori analogie e corrispondenze mistiche fra le cose, immaginando che alcune stelle fossero femmine e altri maschi, o alcune infuocate ed altre fredde, o attribuendo loro particolari affinità con minerali o con parti del corpo umano, così che l’intero universo appariva alla stregua di un universo di simboli320.

Il Rinascimento, in uno dei suoi aspetti più importanti, segna il culmine di quel lungo processo medievale attraverso il quale dapprima si recuperarono, poi si tradussero, e alla fine si assimilarono, le opere scientifiche e di erudizione dell’antichità321. Il mondo divenne allora cosciente del fatto che Aristotele non era stato senza rivali nell’Antichità; e il confronto con le spiegazioni e i sistemi rivali, creò importanti problemi che gli uomini erano costretti a risolvere da sé. La scoperta del Nuovo Mondo e l’inizio di una conoscenza diretta dei paesi tropicali portarono a un profluvio di nuovi dati, e a una quantità di opere descrittive che avevano di per se stessi effetti stimolanti. Le invenzioni che si unirono a quella della stampa - come le incisioni su legno e rame - misero nuovi strumenti a disposizione dell’intellettuale del tempo. Finalmente si poteva essere sicuri che disegni e diagrammi erano stati copiati e riprodotti con precisione, e ciò, insieme con la stessa stampa, rese più facile la possibilità di documenti precisi e di una diffusa informazione scientifica322. L’arte del quindicesimo secolo - soprattutto quella italiana - rappresenta un capitolo nella storia delle origini della scienza moderna. I pratici e i teorici che insistevano che la pittura era un campo della conoscenza, non perseguivano semplicemente uno status superiore nel mondo; e da Leon Battista Alberti a Leonardo da Vinci, essi insistevano, per esempio, sull’importanza della matematica, e asserivano pure che l’essere un buon matematico era la qualità più importante per un’artista. A parte lo studio dell’ottica e della prospettiva, della geometria e della proporzione, si diede molta importanza all’anatomia. La bottega dell’orefice e lo studio dell’artista potrebbero essere considerati i precursori del moderno laboratorio scientifico; gli stessi strumenti del pittore erano oggetto di ricerca ed esperimento, in altri termini egli doveva essere in stretti rapporti con l’artigiano e dunque la sua posizione era molto diversa da quella del filosofo della natura che creava teorie scientifiche lavorando a tavolino. In realtà l’artista, l’artigiano e il filosofo della natura sembrano essersi fusi insieme per creare quella figura moderna che è lo studioso di scienze naturali. Nel quindicesimo secolo l’artista era spesso

320 Ivi, pp. 44-46.

321 Ad esempio certe tendenze degli studiosi parigini del quattordicesimo secolo delle quali si pensa che si

siano arrestate ad uno stadio embrionale a causa di una deficienza di nozioni matematiche, s’affermarono grazie ad ulteriori scoperte di testi antichi nel periodo del Rinascimento. A quanto sembra, la matematica dell’antica Alessandria, venuta alla luce durante il Rinascimento, e l’opera di Archimede, resa accessibile con la traduzione del 1543, rappresentano l’ultima risorsa della scienza antica, scoperta in tempo per divenire un ingrediente, o un fattore, nella formazione della nostra scienza moderna.

322 Vesalio ha un posto di particolare rilievo in quest’evoluzione. Egli è una figura significativa per il suo

modo di servirsi delle illustrazioni e per il carattere naturalistico che conferiva loro, così diverso dal carattere convenzionale dei disegni medievali.

un tecnico - spesso un inventore di ordigni - un esperto di macchine, di idraulica, di fortificazioni. Sia prima di Leonardo da Vinci che dopo, ogni pittore ebbe qualche incarico come ingegnere militare. Soprattutto si ebbe nell’arte un grande sviluppo dell’osservazione empirica; e gli artisti, per quanto dovessero molto al mondo antico, furono i primi a protestare contro la cieca sottomissione all’autorità, i primi ad affermare che bisognava osservare la natura per conto proprio323.

Tra il quattordicesimo e il diciassettesimo secolo avvenne nell’Europa occidentale - e le opere del tempo ne sono massima espressione - un cambiamento rivoluzionario nella concezione dello spazio. Lo spazio come gerarchia dei valori venne sostituito dallo spazio come sistema di grandezze. Una delle indicazioni di questo mutamento fu il più approfondito studio dei rapporti degli oggetti nello spazio, la scoperta delle leggi della prospettiva, il sistematico inserimento delle composizioni entro questo nuovo schema, inquadrato da un primo piano, dall’orizzonte e dal punto di fuga. La prospettiva cambiò la relazione simbolica tra gli oggetti in una relazione spaziale, il rapporto visivo divenne a sua volta una relazione quantitativa. In questa nuova rappresentazione del mondo, la grandezza non significava l’importanza umana o divina, ma la distanza. I corpi non esistevano separatamente, come grandezze assolute, essi erano coordinati con gli altri corpi entro lo stesso schema visivo e dovevano essere in scala. Per ottenere questa scala, occorreva fare un’accurata riproduzione dell’oggetto stesso, una corrispondenza, punto per punto, tra la pittura e quanto si vedeva: da qui un nuovo interesse per la natura ed il mondo esterno, per la realtà. La divisione della tela in quadrati e la accurata osservazione del mondo attraverso questa scacchiera astratta segnarono la nuova tecnica dei pittori. Nei quadri più antichi, l’occhio dell’osservatore vagava da una parte all’altra, raccogliendo i riferimenti allegorici, così come lo ispiravano il gusto o la moda; nei nuovi quadri, l’occhio dello spettatore seguiva le linee della prospettiva lineare, per strade, edifici, pavimenti a mattonelle, le cui linee parallele venivano inserite dal pittore nel quadro a bella posta, per obbligare l’occhio a seguire la prospettiva. Anche gli oggetti in primo piano, qualche volta, venivano messi in posizioni non naturali e deformati per creare la stessa illusione. Il movimento divenne una nuova forma d’interesse: il movimento in se stesso. Lo spazio misurato nel quadro aumentava il valore del tempo misurato dall’orologio. Entro questo schema ideale di spazio e di tempo, ora si svolgevano tutti gli avvenimenti, ed il fenomeno più soddisfacente, da questo punto di vista, era un moto uniforme su una retta, perché un simile movimento permetteva una accurata raffigurazione nel sistema di coordinate di spazio e tempo. Occorre ricordare un’ulteriore conseguenza di quest’ordine spaziale: il mettere una cosa a posto e l’attribuirle un tempo divenne indispensabile per la comprensione della cosa stessa. Nello spazio rinascimentale occorre tener conto degli oggetti: il loro passaggio per il tempo e lo spazio è connaturato con la loro comparsa, in un qualsiasi particolare momento, in ogni luogo. L’ignoto diventa quindi non meno determinato di quanto è noto: ammessa la sfericità della Terra, si poteva stabilire la posizione delle Indie e calcolarne la distanza in tempo. L’esistenza stessa di un simile ordine costituiva un incentivo ad esplorarlo, ed a riempirne le parti ancora sconosciute. Quel che i pittori avevano mostrato con la prospettiva, i cartografi lo dimostrarono in quello stesso secolo con le nuove carte geografiche. La carta di Hereford del 1314 avrebbe potuto essere disegnata da un fanciullo: essa era praticamente inutile, per la navigazione. Una carta del 1436, era concepita secondo linee razionali e segnava un progresso tanto nella concezione che nella precisione. Con il porre le invisibili linee della latitudine e della longitudine, i cartografi avevano spianato la strada agli esploratori successivi, come Colombo: con il nuovo metodo scientifico, il sistema astratto dava dei

risultati concreti, anche se basati su conoscenze approssimative. Non occorreva più che il navigante seguisse la linea della riva, egli poteva slanciarsi nell’ignoto, dirigere la sua rotta verso un punto arbitrario e ritornare all’incirca al luogo di partenza. Tanto l’Eden quanto il Cielo erano al di fuori di questo nuovo spazio, e per quanto essi comparissero come soggetti di pittura, i veri modelli erano il Tempo e lo Spazio, la Natura e l’Uomo. Al tempo stesso, sulla base posta dai pittori e dai cartografi, sorse un interesse nello spazio come tale, nel movimento come tale, nello spostamento come tale. Alla base di quest’interesse vi erano naturalmente dei cambiamenti assai importanti: le strade erano diventate più sicure, le navi erano costruite con maggiore solidità e soprattutto le nuove invenzioni, come la bussola magnetica, l’astrolabio, il timone, avevano reso possibile determinare e seguire una più esatta rotta per mare. Le categorie del tempo e dello spazio, una volta praticamente divise, erano diventate una sol cosa: e le astrazioni del tempo misurato e dello spazio misurato avevano minato i vecchi concetti dell’infinito e dell’eternità, poiché ogni misura deve iniziare da un punto fermo arbitrario, di data e di luogo, anche se il tempo e lo spazio fossero stati vuoti. Era sorta la tendenza a servirsi dello spazio e del tempo che, essendo collegati al movimento, potevano contrarsi o espandersi: era cominciata la conquista dello spazio e del tempo. I segni di questa conquista sono numerosi e si susseguirono rapidamente. Il nuovo atteggiamento nei riguardi del tempo e dello spazio conquistò l’officina e la banca, l’esercito e la città. Il movimento divenne più rapido, gli spostamenti maggiori, la cultura moderna abbracciò l’idea dello spazio e del movimento. Crebbe naturalmente quello che Max Weber chiamò il “romanticismo dei numeri”, che scaturì da quest’interesse. Nella cura del tempo, nel commercio, nel combattere, gli uomini contavano con i numeri, ed infine questa seconda abitudine crebbe: solo i numeri ebbero importanza. Il romanticismo dei numeri aveva anche un altro aspetto, importante per lo sviluppo del pensiero scientifico. Questo era il sorgere del capitalismo, col passaggio da una economia fondata sul baratto ed agevolata da piccole disponibilità di monete coniate localmente, ad un’economia monetaria, con una struttura internazionale del credito e costanti richiami ai simboli astratti della ricchezza: l’oro, le tratte, le lettere di credito, anche soltanto i numeri. Dal punto di vista della tecnica, questa struttura ebbe la sua origine nelle città dell’Italia settentrionale, specialmente Firenze e Venezia, nel quattordicesimo secolo; duecento anni più tardi esisteva ad Anversa una borsa internazionale, istituita per agevolare lo scambio delle merci tra porti stranieri e della moneta. Alla metà del sedicesimo secolo la contabilità a partita doppia, le note di credito, le lettere di credito e le speculazioni sulle merci “future” si erano sviluppate nella loro essenziale forma moderna. Lo sviluppo del capitalismo portò nella vita del popolo delle città le nuove abitudini dell’astrazione e del calcolo. Il capitalismo volse il popolo dal tangibile all’intangibile: il suo simbolo, è il libro mastro; “il suo valore della vita è posto nel suo conto dei profitti e delle perdite”. L’ economia della tesaurizzazione, divenne sempre più l’abitudine quotidiana: essa ebbe la tendenza a sostituire la diretta economia di consumo ed a porre al posto dei valori vitali i valori monetari. L’intero movimento degli affari si volse sempre più in forma astratta, esso prese a trattare beni non disponibili, consegne differite, guadagni ipotetici. Questo processo di trasformazione fu particolarmente importante per la vita e per il pensiero e causò una ricerca del potere per mezzo di astrazioni. Un’astrazione rendeva più forti le altre. Il tempo era moneta, la moneta era potere, il potere richiedeva l’ampliamento del commercio e della produzione, la produzione veniva sviata dalla strada dell’uso diretto a quella del commercio lontano, verso la conquista di maggiori guadagni, con un maggior margine per gli investimenti in guerre, conquiste all’estero, miniere, imprese produttive. Nell’economia monetaria, l’accelerare il processo produttivo significa accelerare il processo del reddito: aumentare il denaro in maniera virtualmente illimitata. E dato che

l’importanza del denaro aumentava con l’aumentare della mobilità sociale, con il suo commercio internazionale, così l’economia monetaria che ne risultava, spingeva a più commerci: la ricchezza disponibile, la ricchezza dell’uomo, case, quadri, sculture, libri, perfino l’oro stesso, erano tutti relativamente difficili da trasportare, mentre il denaro poteva essere trasportato, o semplicemente segnato su una colonna o sull’altra del libro mastro. A quei tempi gli uomini avevano più familiarità con le astrazioni, che non con i beni che esse rappresentavano. Le tipiche operazioni finanziarie erano l’acquisto o lo scambio di grandezze monetarie. Gli uomini diventavano potenti, e tendevano a sostituire le parole - grano o lana, cibo o vestito - con simboli e ponevano la loro attenzione sulla individuazione puramente quantitativa di questi beni in dati: il pensare in puri termini di pesi e numeri, il rendere la quantità non solo un’indicazione del valore, ma il criterio del valore, questo era il contributo del capitalismo al mondo meccanizzato. Così le astrazioni del capitalismo precedettero quelle della scienza moderna, e sostennero in ogni punto i suoi tipici modi di operare324. Non fu forse un puro caso che i fondatori ed i protettori della Royal Society di Londra, siano stati mercanti. I loro primi esperimenti erano giustificati, i loro metodi esatti: portavano denaro. Il potere della scienza ed il potere del denaro erano, in ultima analisi, lo stesso potere: il potere dell’astrazione, della misura, della determinazione. Ma non fu solo con la diffusione di metodi di pensiero astratto, di interessi pragmatici e di valutazioni quantitative che il capitalismo preparò la strada alla tecnica moderna. Fin dall’inizio le macchine e la produzione di fabbrica, come i grandi cannoni e gli armamenti, portarono ad un’immediata richiesta di capitali, molto maggiori delle piccole cifre necessarie a fornire il vecchio artigiano di un tempo dei suoi utensili, od a tenerlo in vita. Mentre le famiglie feudali, con il loro dominio sulla terra, avevano spesso un monopolio su quelle ricchezze naturali che si trovavano nel terreno, e avevano a volte interessi nelle vetrerie, nelle miniere di carbone, e nelle ferrerie, le nuove invenzioni meccaniche richiedevano di venir controllate dalla classe dei mercanti. L’incentivo della meccanizzazione era posto nei maggiori profitti che potevano venir ricavati dall’aumento di potenza e di rendimento delle macchine. Così, per quanto il capitalismo e la tecnica debbano venire chiaramente distinti, in ogni loro passo, l’uno agiva sull’altro e reagiva all’altro. Il mercante accumulava capitali allargando la scala delle sue operazioni, accelerando il loro giro, e trovando nuovi territori in cui lavorare; l’inventore sviluppava un processo parallelo creando nuovi metodi di produzione, inventando nuove cose da produrre. A volte il commercio sembrava un rivale della meccanizzazione, offrendo maggiori possibilità di guadagno; a volte esso frenava ulteriori sviluppi, per aumentare i profitti di un qualche monopolio. Fin dall’inizio, vi furono disparità e conflitti tra queste due forme di attività, ma il commercio era la più antica, ed esercitava una maggiore influenza. Era il commercio che richiamava nuovi materiali dalle Indie e dall’America, nuovi cibi, nuovi cereali, il tabacco, le pellicce; era il commercio che trovava nuovi sbocchi per la massa di prodotti che erano stati messi sul mercato da quella che sarà la produzione industrializzata del diciottesimo secolo; fu il commercio, incrementato dalla guerra, che faceva sviluppare le grandi aziende, e progredire la capacità amministrativa ed i metodi che resero possibile la creazione del sistema industriale nel suo complesso e la connessione delle sue varie parti325.

324 Keplero dirà, nel 1595: “Come l’orecchio è fatto per udire i suoni, e l’occhio per percepire i colori, così la

mente dell’uomo è fatta per udire i suoni, e l’occhio per percepire i colori, così la mente dell’uomo è fatta per