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Universi simbolici e riserve sociali di conoscenza: Ragione e Relatività

La conoscenza scientifica dai Lumi alla crisi dei fondamenti: le “due culture”

VII.2 Universi simbolici e riserve sociali di conoscenza: Ragione e Relatività

L’opera di Cartesio e la sintesi newtoniana sostituirono alla fisica qualitativa di Aristotele un’immagine meccanicistica del cosmo. Il meccanicismo divenne una concezione del mondo secondo la quale l’universo fisico è visto come una grande macchina, la quale, in virtù della sua stessa costruzione, esegue l’opera per la quale è stata creata. Così - come si è visto447 - i successi della fisica cartesiana, i risultati sensazionali ottenuti da Galileo in astronomia e l’enorme impatto esercitato dalla sintesi di Newton, comportarono una ristrutturazione radicale del sapere naturalistico: la fisica e la matematica diventavano le discipline guida del sapere scientifico europeo. La visione meccanicistica, dunque, anche se poco adattabile alle scienze della vita e alla chimica, s’impose come modello di riferimento. Anche aiutata da un rapidissimo sviluppo tecnologico e da un altrettanto rapido progresso dell’industria, la concezione meccanicistica s’impose, tra Sette e Ottocento, quale filosofia dominante divenendo norma di scientificità e sinonimo di Ragione. Quali che fossero le private convinzioni degli scienziati del periodo, la natura divenne un insieme inorganico di enti regolati da leggi meccaniche suscettibili di essere tradotte dalla pratica sperimentale per esser poste al servizio dell’uomo. Le spettacolari scoperte scientifiche e le loro applicazioni - si pensi solo allo sfruttamento della forza a vapore da parte di James Watt - indussero presto a identificare lo sviluppo scientifico e tecnologico con il progresso sociale e culturale. La stessa idea di progresso448 era stata in fondo introdotta nella metà del Settecento da scienziati e filosofi proprio sull’onda degli straordinari avanzamenti che le scienze naturali avevano compiuto in poco più di due secoli449.

Lo sfolgorante successo della fisica di Newton rese praticamente inevitabile che le sue particolari caratteristiche venissero considerate essenziali per l’edificazione della scienza - di ogni tipo di scienza - e che tutte le nuove scienze che apparvero nel secolo XVII - scienze dell’uomo e della società - tentassero di conformarsi allo schema newtoniano di un sapere empirico-deduttivo e di adattarsi alle regole stabilite da Newton. Il risultato di questa infatuazione per la logica di Newton, il risultato cioè di un tentativo di acritica applicazione dei metodi newtoniani (o piuttosto pseudo-newtoniani) a campi del tutto diversi da quelli della loro originaria applicazione, non fu affatto felice450. Va ricordato che, nel Settecento, la filosofia cartesiana dominò gran parte dell’Europa continentale, e l’influenza di Newton, praticamente, era confinata all’Inghilterra. Solo dopo una lunga battaglia contro la filosofia cartesiana, la fisica di Newton, conquistò in Europa una totale approvazione. Il cartesianesimo era diffuso al punto che nel XVIII secolo esso divenne, in gran parte dell’Europa, l’unica sintesi teorica nella cui cornice intellettuale uno studente universitario potesse analizzare i fenomeni naturali. In Francia la scienza ufficiale si rifece alla dottrina di Cartesio fino alla prima metà del XVIII secolo tant’è che Voltaire incorse in parecchi problemi per riuscire ad introdurre la filosofia naturale di Newton nel suo Paese natale.

Per comprendere gli sviluppi che portarono dalla rivoluzione scientifica al movimento dei

philosophes rivolgiamo l’attenzione ad un uomo che può essere considerato l’anello di

congiunzione di questi due periodi diversi: lo scrittore francese Fontenelle. La sua figura è per noi di particolare interesse perché egli visse dal 1657 al 1757 e fu testimone di questa grande transizione. La sua opera è significativa in quanto egli, da un lato, fu il primo dei

philosophes francesi, mentre dall’altro inventò e si servì di una sua tecnica di

447 Per approfondimenti, vedi qui VI Capitolo. 448 Per approfondimenti, Bury, John (1979), op. cit. 449 Beretta, Marco (2002), op. cit., pp. 20-21.

volgarizzazione. Egli fu segretario dell’Académie des sciences dal 1699 al 1741 e fu il fondatore, attraverso le brevi biografie di scienziati di cui era l’autore, di quella che può essere definita l’età eroica451 della scienza. Dalla prefazione alla storia da lui scritta, appunto, dell’Académie Royale des Sciences, pubblicata nel 1709, emerge prepotente la nuova visione del mondo: “Lo spirito geometrico non è così strettamente collegato con la geometria da non potersi trasferire ad altri campi della conoscenza. Un libro di morale, di politica o di critica, o forse perfino di eloquenza, sarebbe più elegante, a parità del resto, se uscisse dalla mano di uno studioso di geometria”452. Nel 1686 Fontenelle pubblicò il suo famoso dialogo intitolato La pluralità dei mondi, la prima opera francese che espose alla massa dei lettori in modo chiaro, intelligente e piacevole, le scoperte della scienza. In un certo senso egli era il tipico esemplare di tutto il movimento dei philosophes francesi del diciottesimo secolo, che egli contribuì a far sorgere. I risultati della rivoluzione scientifica furono precipitosamente e sommariamente tradotti in una nuova concezione del mondo, e quest’opera fu compiuta non tanto dagli scienziati quanto dagli uomini di lettere. Egli espose nella sua opera un quadro generale della concezione dei cieli del periodo pre- newtoniano. Egli creò e portò al limite estremo uno stile piacevole, discorsivo pieno del cosiddetto esprit, di tecniche espositive così ingegnose e argute che finirono a volte col diventare tediose. Egli non si limitò a divulgare le scoperte scientifiche del diciassettesimo secolo; è importante notare che in questa fase cruciale interviene il letterato che esercita una seconda funzione: quella di tradurre le conquiste della scienza in una nuova visione della vita e dell’universo. Non dimentichiamo che molti scienziati del diciassettesimo secolo furono protestanti e cattolici fedeli e proprio in questo periodo sia Robert Boyle sia Isaac Newton manifestarono un particolare fervore nella loro fede di cristiani; anche Cartesio aveva creduto che la sua opera avrebbe servito la causa della religione. Fu quasi un’esigenza di carattere mistico e una preoccupazione di carattere religioso a indurre un uomo come Keplero a spiegare l’universo sulla base di principî meccanici per dimostrare la perfezione di Dio; per dimostrare che Egli non aveva lasciato la realtà neppure alla mercè del Suo stesso arbitrio. Fontenelle era piacevole, scettico ed evasivo, con un po’ di pessimismo e di cinismo nei riguardi della natura umana. Egli aveva sostenuto i suoi principî scettici prima di venire in alcun modo in contatto con il movimento scientifico; li aveva appresi da Lucrezio e da scrittori più moderni come Machiavelli e Montaigne. Uno scetticismo che aveva in realtà origini letterarie contribuì a far assumere ai risultati del movimento scientifico una tendenza che era difficile riscontrare negli stessi scienziati, e che Cartesio, ad esempio, avrebbe ripudiato. Questa tendenza fu poi incoraggiata dall’atteggiamento intransigentemente negativo della Chiesa cattolica romana in Francia, la quale contribuì a rendere più salda l’impressione che la Chiesa fosse nemica del progresso scientifico e, in pratica, di qualsiasi innovazione. A questo proposito è importante notare che il grande movimento del diciottesimo secolo fu un movimento letterario; non furono le scoperte scientifiche di quel periodo, ma piuttosto il movimento dei philosophes francesi ad avere un’influenza determinante in questa fase. Le scoperte scientifiche del diciassettesimo secolo furono tradotte in una nuova concezione e in una

451 È il periodo in cui si scrive di un argomento per la prima volta, quando si creano miti, si contano i propri

trofei e si esulta per la sconfitta del nemico. Basti pensare ai racconti delle conversioni dei cristiani ai primi tempi del loro movimento religioso; l’uno dopo l’altro, essi avevano visto la luce e mutato l’intero corso della loro vita. Il fenomeno diventa generale tra coloro che rappresentano la nuova generazione, felici di emanciparsi dall’onere delle abitudini e dei pregiudizi della vecchia generazione. Tutto è ancora nel periodo eroico: la concezione scientifica giunge come una nuova rivelazione e i suoi apostoli annoverano conquiste su conquiste. Un fattore particolare di questa transizione fu la geometria, soprattutto l’influenza di Cartesio, che a quel tempo era molto forte.

452 In questo senso non vanno dimenticati neanche i tentativi dell’applicazione del metodo geometrico a

nuova visione del mondo, non dagli stessi scienziati, ma dagli eredi e dai successori di Fontenelle453. Così, nella grande transizione del diciassettesimo secolo, non si ha uno sviluppo completamente organico del pensiero umano; vi è in parecchi punti, per così dire, uno iato nella trasmissione, e queste strane interruzioni di connessione, queste discontinuità, mettono in luce l’intera struttura della nostra storia in generale. Vi è una frattura tra le generazioni: la reazioni dei giovani alle idee e al sistema educativo dei loro padri. C’è in Galileo - e la cosa toccò il suo apice in Fontenelle e nei suoi successori - l’aspirazione a un nuovo arbitro del pensiero umano, a un più ampio numero di lettori, che si opponessero alla cultura del tempo, alla Chiesa non meno che alle università. Si riscontra un’ulteriore discontinuità negli uomini di lettere che, a volte in modo sbrigativo, adempirono al compito di tradurre i risultati della scienza in una nuova concezione generale, una nuova visione del mondo. Infine vi è la maggiore delle discontinuità: l’importanza assunta da una nuova classe. Dopo una lunga lotta, i re francesi erano riusciti a realizzare nel modo più completo il compito che doveva svolgere l’istituzione della monarchia in Europa, a riunire, cioè, le unità provinciali in unità nazionali, a ridurre il potere dei tiranni locali, e a imporre sul provincialismo dei popoli sottosviluppati la più ampia idea dello Stato454. La vecchia nobiltà aveva perduto mordente e le nuove classi stavano assurgendo alle posizioni più influenti e alla guida intellettuale. A quel tempo la struttura più intima della società era in tangibile mutamento455. Questo periodo fu “l’età dell’oro della borghesia” in Francia. È importante per la storia della cultura in generale il fatto che ci sia stata in Francia una borghesia la quale conosceva lo svago e la comodità, cercava i piaceri della vita di società e desiderava favorire l’arte e la cultura. La borghesia era la classe meno condizionata dall’autorità e dalla tradizione, e Fontenelle, così come gli altri scrittori posteriori del movimento dei philosophes, adottò la tecnica di rendere le opere della cultura divertenti e facili, contrariamente alle precedenti forme di discussione accademiche o scolastiche. Mentre per “Ragione” un tempo s’intendeva qualche cosa che aveva bisogno di essere disciplinata da una lunga e intensa preparazione, l’intimo significato della parola cominciò a cambiare - ora ogni uomo poteva affermare di possederla, soprattutto se la sua mente era incontaminata dall’educazione e dalla tradizione. Il passaggio alla moderna visione del mondo, e il sorgere del movimento dei

philosophes, non derivano dalla rivoluzione scientifica secondo quella che potremmo

chiamare un’evoluzione normale, per un diretto e logico sviluppo di pure e semplici idee. Molti aspetti della nostra tradizione intellettuale andarono senza dubbio perduti a quel tempo e forse per una strana discontinuità culturale. Il dominio intellettuale cioè che la Francia aveva raggiunto come risultato della sua eccellenza in un genere di letteratura di cui essa si servì nel diciottesimo secolo per divulgare un tipo di civiltà del tutto diverso456. Fu di fondamentale importanza nel diciottesimo secolo - a parte il già considerato Fontenelle - il rivoluzionario progetto di riforma illuminista che Diderot e d’Alembert diffusero attraverso la pubblicazione dell’Encyclopédie, ou dictionnaire des sciences, des

arts et des métiers (1751-1765); progetto incentrato sulla rivalutazione delle arti e dei

mestieri. Diderot e d’Alembert erano seguaci di Bacone, cui attribuivano il primato della

453 Non si deve dimenticare, a questo proposito, l’influenza del metodo scientifico sul pensiero politico

dell’epoca. Il primo e naturale risultato dell’applicazione alla politica del metodo scientifico consistette nell’insistente affermazione secondo cui la politica si doveva basare sul metodo induttivo, sull’informazione e sul raccoglimento di dati concreti e sulla statistica. Il capo dello Stato - cominciò a dirsi - deve studiare e amministrare il suo Paese così come farebbe uno studioso di geografia o uno scienziato.

454 Per approfondimenti, Elias, Norbert (2010), op. cit.

455 Colbert era figlio di un negoziante di stoffe. Durante il regno di Luigi XIV, Corneille, Racine, Molière,

Boileau, La Bruyere, Pascal e tutte le altre figure più significative - comprese quelle nel campo della scienza -, provenivano dalla borghesia.

riforma del sapere naturalistico e tecnico; i due philosophes volevano imporre una nuova gerarchia del sapere in cui la pratica, l’esperienza, le arti e le tecniche avessero un ruolo privilegiato. La pubblicazione, fortemente voluta da Diderot, di migliaia di tavole incise con precise illustrazioni di utensili, di macchine, strumenti, laboratori delle manifatture, costituiva un suggestivo mezzo di rappresentazione della tecnica e della sua centralità nel progresso di una qualunque civiltà. Non c’era praticamente tavola che non rammentasse ai lettori della borghesia illuminata europea come la vita quotidiana e la prosperità economica di un qualsiasi cittadino dipendesse in larga misura da invenzioni e scoperte riconducibile all’uso sistematico dei saperi pratici e tecnici. Diderot elaborò una concezione della tecnica che prevedeva, tra le altre cose, una nuova classificazione delle scienze naturali, direttamente ispirata allo sperimentalismo utilitaristico di Bacone. L’enfasi con cui l’Encyclopédie sottolineava l’importanza delle tecniche rifletteva lo sviluppo economico e manifatturiero che la Francia conosceva ormai da mezzo secolo. La costituzione di nuovi capitali e la loro mobilità, l’ingrandimento delle manifatture e la crescente dipendenza dei processi produttivi della meccanizzazione del lavoro, il progressivo abbandono del legno mostravano come il benessere della società fosse in stretta relazione con lo sviluppo tecnologico e la ricerca di nuove e sempre più estese applicazioni delle scoperte scientifiche457. Quando gli enciclopedisti si rivolgevano agli artigiani di Francia, interrogavano tecnici e operai e cercavano poi di definire con esattezza i termini, i metodi, i procedimenti propri delle varie arti per inserirli in un corpus organico e sistematico di conoscenze, o progettavano una storia delle arti, o polemizzavano infine in favore di un lavoro continuamente illuminato dalla conoscenza dei principî teorici che ne sono alla base e in favore di una ricerca teorica capace di dar luogo ad applicazioni pratiche e di riconvertirsi in opere, essi si ponevano, consapevolmente, quindi, come gli eredi e i continuatori del programma tracciato da Bacone458.

La costruzione di molti strumenti e macchine introdotti alla fine del diciottesimo secolo fu il risultato di questa nuova collaborazione tra tecnici e scienziati, nonché uno dei primi passi verso la creazione di una scienza dipendente dalla tecnologia459. Sebbene il dialogo tra artisti e scienziati fosse segnato da reciproche diffidenze e incomprensioni, infatti, la chimica settecentesca aveva creato uno spazio d’incontro per le competenze professionali degli uni e degli altri.

Anche se i confini tra alchimia e chimica rimasero spesso confusi, a partire dal Settecento la chimica divenne una scienza accademica istituzionalizzata, ben rappresentata sia nelle principali università, sia nelle accademie scientifiche. Fu il laboratorio che, per la prima volta, permise di realizzare le condizioni materiali per la replica artificiale e controllata dei fenomeni naturali. Durante la seconda metà del Settecento furono introdotte infatti, nel laboratorio, alcune significative innovazioni che, progressivamente, differenziarono la prassi sperimentale chimica da quella che fu propria degli alchimisti nel secolo precedente. Le attrezzature, inoltre, si fecero via via più complesse, con l’introduzione dei nuovi strumenti scientifici per la combustione e la calcinazione dei metalli460. Alla fine del Settecento, la rivoluzione teorica di Lavoisier darà straordinario impulso alla ricerca

457 Beretta, Marco (2002), op. cit., pp. 205-206.

458 Nella voce Art dell’Enciclopedia, Diderot rilevava i cattivi effetti conseguenti alla tradizionale distinzione

delle arti in liberali e meccaniche: questa distinzione ha rafforzato il pregiudizio che “il volgersi agli oggetti sensibili e materiali” costituisca “una deroga alla dignità dello spirito umano”. Rossi, Paolo (2007), op. cit., pp. 142-143.

459 Si noti, a titolo di esempio, il caso di Lavoisier. Questi fu uno degli animatori e, nel 1793 il presidente, del

Bureau de consultation des art set métiers, un’istituzione creata nel 1791 al fine di valorizzare al meglio i contributi che potevano venire da un’organizzazione delle arti e dei mestieri.

sperimentale e all’affermarsi istituzionale della chimica in quasi tutta Europa. Questo fondamentale cambiamento concettuale che poneva una particolare attenzione alla pratica sperimentale quindi alla strumentazione e al laboratorio, comporterà anche un rinnovamento della pratica svolta al suo interno. La prassi di registrare con la massima attenzione e meticolosità l’andamento degli esperimenti e gli esiti parziali dei risultati ottenuti costituisce una delle principali acquisizioni della vita di laboratorio. Questo si è trasformato nello spazio ideale per ospitare e ottimizzare gli strumenti. Il loro uso sistematico ha rafforzato negli scienziati la convinzione che la natura sia dominata da leggi meccaniche e perciò riconducibile a modelli riproducibili, attraverso la sperimentazione, appunto nello spazio laboratoriale. Un esperimento, che altro non vuole essere se non una riproduzione controllata dei fenomeni naturali, riesce quando lo scienziato è convinto di poter ricondurre il risultato ad una certezza inequivocabile e, a pari condizioni di partenza, riproducibile ovunque. Questa certezza è acquisita nel momento in cui i dati ottenuti vengono tradotti in un linguaggio formale, la matematica, a cui viene affidato un valore dimostrativo universale. Solo la combinazione tra l’uso di strumenti di alta precisione e la mediazione del linguaggio matematico offre sufficienti garanzie di riuscita della ricerca. L’importanza della terminologia tecnica e specializzata attraverso la quale si sintetizzano le scoperte fanno del laboratorio un luogo ove la comunicazione è centrale; non solo quella informale tra i membri del laboratorio, ma anche e soprattutto quella con il mondo esterno. Nel laboratorio, nella fase che precede la pubblicazione di una scoperta, si studia a fondo il modo migliore di ordinare la sequenza dei dati raccolti e registrati nei protocolli per trarre da un ammasso informe il materiale per un articolo. Il passaggio dal protocollo all’articolo e all’enunciazione della scoperta rappresenta un aspetto cruciale della comunicazione scientifica. La fiducia nell’oggettività e coerenza della pratica sperimentale e quella riposta negli strumenti di laboratorio, fanno sì che i criteri di ordinamento formale e scelta dei dati grezzi, che eventualmente presentino contraddizioni, siano talvolta celati dagli scienziati. Il protocollo, una volta ultimato, costituiva dunque per lo scienziato un canovaccio del quale elaborava una sintesi che, risolte tutte le contraddizioni e gli errori apparenti, poteva essere presentata al pubblico come una scoperta coerente. I membri di un laboratorio rendevano irriconoscibile il caotico magma d’informazioni contenuto nei protocolli e, dopo faticosissime e laboriose sedute di lettura delle fasi principali dell’esperimento, il risultato, cioè la sintesi da presentare al pubblico, veniva finalmente raggiunto. L’eventuale scoperta, dunque, si nascondeva più nelle pieghe e contraddizioni dei protocolli che nell’osservazione diretta e immediata dell’andamento dell’esperimento461. La produzione dell’articolo, nel quale si annuncia una scoperta o un’invenzione, infatti, è il frutto di un complesso processo di mediazioni che sottolinea la natura collegiale della ricerca scientifica462. In sostanza, il laboratorio costituisce la sintesi di tutte le condizioni materiali dell’attività scientifica ed è divenuto il santuario dove lo scienziato ha il potere di riprodurre artificialmente le condizioni ottimali per studiare i fenomeni naturali463.

È per questo che, nell’Ottocento, il laboratorio - così com’era stato realizzato da Lavoisier - diventò per molte scienze, su tutte la fisica e la chimica, lo spazio privilegiato della ricerca. La pratica di laboratorio non possedeva più quell’aura di mistero che caratterizzava gli esperimenti dell’alchimista rinascimentale ma, cionondimeno, la comunicazione scientifica ne riportava un’immagine idealizzata molto lontana dalla realtà delle cose. Nel Novecento la propensione nel rendere il laboratorio il luogo centrale della

461 Per approfondimenti, Latour, Bruno (2009), op. cit. 462 Beretta, Marco (2002), op. cit., pp. 286-311.

463 Nell’importante istituzione del laboratorio si instaurava una nuova atmosfera che univa i caratteri della

ricerca sperimentale aumentò ulteriormente. Tra il 1920 e il 1930, le ricerche sulla