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Configurazioni socio-storiche: l’Età industriale

La conoscenza scientifica dai Lumi alla crisi dei fondamenti: le “due culture”

VII.1 Configurazioni socio-storiche: l’Età industriale

La crescita sociale e istituzionale della scienza nel XVIII secolo risulta ancora problematica. Nel secolo dei Lumi le scienze naturali non assicuravano retribuzioni economiche; discipline come la fisica, la chimica e la biologia, non rientravano nei curricula universitari e quindi non erano finanziate dallo Stato. Soltanto la medicina e, in misura ridotta, l’astronomia e la matematica, riuscivano a garantire agli studiosi carriere lavorative riconosciute istituzionalmente, anche se, il più delle volte, mal pagate. Le altre attività scientifiche rimanevano nell’ambito del dilettantismo e, praticarle, significava non poter assicurarsi da vivere tant’è, che spesso, questi studiosi svolgevano contemporaneamente altri lavori. In questo periodo, la pratica della committenza era ancora molto in voga. Così, dopo la pubblicazione dell’Encyclopédie e delle opere di Voltaire, sulla scia del successo degli ideali illuministi, molti scienziati e naturalisti furono ospitati a corte dai sovrani di tutta Europa. Questo fece sì che gli scienziati poterono, grazie a cospicue elargizioni, lavorare alle proprie ricerche senza il problema di dover reperire ogni volta fondi. Questo non significò che principi e re, ad eccezione di qualcuno, compresero davvero la rilevanza economica e strategica della scienza nello sviluppo delle nazioni.

È vero però che, seppur gradualmente, da un punto di vista istituzionale il Settecento segna sotto diversi aspetti una svolta decisiva nella storia del sapere europeo. In primo luogo il monopolio virtuale dell’educazione superiore di cui godevano le università venne contestato. In secondo luogo questo secolo vide la nascita dell’istituto di ricerca, del ricercatore di professione e anzi dell’idea vera e propria di “ricerca”. In terzo luogo l’élite, specialmente in Francia, ebbe un ruolo attivo senza precedenti nei progetti di riforma economica, politica e sociale: in altre parole nell’Illuminismo.

Le accademie, nel Settecento, adottavano un curriculum meno tradizionale di quello delle università, pensato per futuri uomini d’affari più che per gentiluomini, dando quindi spazio alla filosofia moderna, alla filosofia naturale e alla storia moderna; l’insegnamento avveniva talvolta in inglese anziché in latino. È probabile che le università continuassero a svolgere in modo efficiente la loro tradizionale funzione di insegnamento, ma non furono, in termini generali, le sedi deputate allo sviluppo di nuove idee, poiché soffrirono di quella che è stata chiamata “inerzia istituzionale”, mantenendo le loro tradizioni corporative al prezzo dell’isolamento dalle nuove tendenze426.

È per questi motivi che, a beneficiare delle novità introdotte in questo secolo dalle riforme degli statuti delle università volte, in diversi Stati europei, alla promozione concreta dello sviluppo delle scienze naturali non furono le grandi università come La Sorbona o l’università di Oxford, ma piccoli atenei, spesso periferici, come le università di Gottingen, di Uppsala, di Leida e di Edimburgo. Proprio la mancanza di una tradizione prestigiosa ma ingombrante, faceva di questi piccoli centri le sedi ideali per l’introduzione di importanti innovazioni, per lo più in senso utilitaristico, improntate ai principî pedagogici dell’Illuminismo. L’utilitarismo illuministico e la nascita, intorno all’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert, di una rinnovata e diffusa attenzione nei confronti delle scienze e delle tecniche, erano infatti destinate ad avere ripercussioni importanti anche sull’ovattato mondo accademico. L’insegnamento della medicina fu il

primo a rinnovarsi. Agli inizi del diciottesimo secolo Hermann Boerhave, probabilmente il medico più celebre d’Europa, contribuì con i suoi corsi presso l’Università di Leida a formare una nuova generazione di medici. Combinando, durante le lezioni, il tradizionale riferimento alle principali teorie e auctoritates mediche con un moderno senso della pratica e della sperimentazione pubblica, Boerhave iniziava i suoi allievi a una nuova visione della medicina. La verifica sperimentale della diagnosi e l’analisi chimica del rimedio divennero parte integrante della formazione medica, fino al punto da rendere subalterna l’analisi e il commento della teoria medica. L’insegnamento di Boerhave, imperniato sulla pratica sperimentale, contribuì in modo decisivo allo sviluppo di una disciplina scientifica, la chimica, che fino ad allora aveva goduto di una pessima reputazione tra gli scienziati. Si affermò a livello accademico anche la filosofia sperimentale i cui manuali facevano costante riferimento alla pratica di laboratorio. La pratica di laboratorio, a sua volta, metteva in discussione la didattica tradizionale e la validità propedeutica della sola lettura e commento delle auctoritates e rivendicava al tirocinio pratico un ruolo educativo altrettanto importante. Accanto all’enfasi della pratica, il ruolo del manuale subiva un significativo cambiamento. Nel curriculum universitario tradizionale, infatti, il manuale era per lo più rappresentato da sintesi, commenti e spiegazioni di testi classici. La connessione tra pratica sperimentale e didattica introdotta nell’insegnamento universitario delle scienze naturali imponeva un radicale ripensamento del manuale tradizionale427. La rapida evoluzione delle tecniche sperimentali e degli strumenti, infatti, ne rendevano indispensabile un aggiornamento. Fu così che la pratica sperimentale si diffuse in quasi tutti i campi d’indagine.

Molti degli scienziati settecenteschi che ricordiamo oggi, quasi unicamente per le loro sintesi teoriche, avevano invece raggiunto la fama in virtù di corsi di carattere pratico ed economico. Le università erano divenute centri di formazione di inedite professioni strettamente connesse agli ultimi sviluppi della scienza e delle sue applicazioni. Ebbero inizio così corsi di metallurgia pratica, di chimica agricola, di tecnologia applicata all’economie delle manifatture e di altre arti e mestieri. Il professore divenne così un apprezzato consigliere della politica economica governativa e, al contempo, un convinto sostenitore della rilevanza strategica dell’insegnamento delle scienze naturali nelle carriere universitarie.

Negli Stati Tedeschi, in Olanda, nell’Impero asburgico e in Svezia il curriculum scientifico guadagnò il centro dell’attenzione grazie al miglioramento e al potenziamento dalle riforme universitarie. Così, nel mondo accademico, il ruolo degli scienziati andò consolidandosi. Soprattutto in Francia, in seguito alla Rivoluzione francese, una radicale riforma della pubblica istruzione diede alla luce istituzioni votate alla formazione della nuova classe dirigente (le Écoles normales e l’École Polytechnique) nelle quali l’insegnamento delle scienze naturali aveva assunto un ruolo preminente. Durante la Rivoluzione, grazie al ruolo politico assunto dagli scienziati, s’erano create possibilità prima insperate che resero la carriera scientifica un curriculum professionale molto più tutelato e prestigioso rispetto al passato. Nella metà del XIX secolo, per chi avesse desiderato avviare una carriera nello studio delle scienze naturali, s’aggiunsero a queste

chances istituzionali opportunità di ricerca presso i laboratori industriali. Le facoltà

scientifiche, ancora per molto tempo inferiori per numero di iscritti alle facoltà umanistiche, videro accrescere il loro prestigio e, soprattutto, la loro capacità di intercettare fondi.

La Rivoluzione francese diede vita ad una nuova generazione di scienziati e militari. Il popolo francese aveva ritenuto di fondamentale importanza il ruolo avuto dalla scienza e

dalla tecnica nella vittoria della Repubblica sui Paesi che l’assediavano. Il Comitato di Salute Pubblica volle che gli scienziati ricoprissero incarichi politici e strategici centrali tanto che questi ebbero un’influenza determinante sul comando delle armate repubblicane. I clamorosi successi conquistati da quest’ultime sul campo di battaglia in virtù delle applicazioni di alcune scoperte scientifiche ebbero indubbiamente un ruolo importante nella promozione della riforma scientifica e tecnica dell’istruzione secondaria. Lo scoppio della rivoluzione e il nuovo quadro politico e militare crearono, una volta che la scienza ufficiale si rese indispensabile per il potere politico, i presupposti per un’alleanza duratura. Il dispotismo rivoluzionario aveva certamente contribuito alla creazione di nuove istituzioni scientifiche e ad una positiva considerazione della scienza, ma, di fondamentale importanza per il mutamento della funzione sociale della produzione sociale di conoscenza scientifica, fu il conseguimento di risultati pratici fino ad allora impensabili. È di questo periodo infatti la riforma del calendario, quella dei pesi e delle misure, la fondazione di cinquanta nuove riviste dedicate ad argomenti scientifici e tecnici e l’applicazione, alle arti e alle manifatture, delle innovazioni conseguite nel campo del chimica. Con questa evoluzione del ruolo della scienza, la separazione in ambito accademico tra scienza e tecnologia non aveva più motivo di perdurare.

In Francia s’innescò quindi un processo di grande rinnovamento del sistema educativo, che coinvolse soprattutto l’insegnamento delle scienze naturali428. Durante il dominio di Napoleone lo strapotere culturale della teologia, della giurisprudenza e della filosofia che vigeva nelle istituzioni culturali prima della Rivoluzione, si ridimensionò notevolmente. Bisognava però al contempo neutralizzare le ambizioni politiche dei philosophes e far sì che le riforme laicizzanti della cultura nazionale dell’era repubblicana non producessero effetti destabilizzanti per il potere costituito. Per questi motivi, Napoleone decise di abolire i corsi di Sciences morale et politiques dall’Institut National dando il via libera agli scienziati i quali avevano manifestato più d’una volta lealtà verso lo Stato e garantito una attività di ricerca utile per la collettività. Questo nuovo assetto della cultura ebbe profonde ripercussioni sulla tradizionale configurazione dell’insegnamento universitario. Napoleone comprese a pieno il valore strategico delle scienze e delle loro applicazioni, e dunque capì che le scuole militari, compresa la rinomata Ècole Polytecnique, non sarebbero bastate a soddisfare le accresciute pretese dell’Impero. L’università doveva offrire un curriculum più adeguato alla scienza vista la posizione che oramai la società e la politica repubblicana gli avevano assegnato. A causa delle guerre napoleoniche, alcuni Stati tedeschi ed italiani adottarono il modello francese, seppur con variazioni importanti. In ogni caso risultò evidente che per l’insegnamento delle scienze naturali diveniva fondamentale istituire l’uso sistematico dei laboratori. Questi andavano quindi creati e dotati degli strumenti e del personale competente per assistere nella sperimentazione e nella ricerca le équipe di scienziati.

In questo periodo gli scienziati più noti conquistarono i posti chiave del nuovo potere divenendo i rappresentanti di una nuova classe dirigente: il sodalizio tra potere politico e

428 Durante il diciottesimo secolo le cattedre di storia naturale si moltiplicarono nelle università europee e con

esse l’istituzione di nuovi e sempre più vasti musei naturalistici. Proprio per la funzione centrale che l’insegnamento della storia naturale ebbe in ambito universitario, il museo divenne una parte fondamentale della didattica scientifica. Il museo naturalistico aprì le sue porte al pubblico dei cittadini, assumendo connotati che lo avvicinano al museo moderno; non più luogo esclusivo ed appartato di ricerca o di didattica, ma edificio pubblico destinato alla conservazione e divulgazione della cultura scientifica. I pezzi esposti certamente costituivano ancora oggetto di studio scientifico, ma a tale funzione se ne aggiungeva una nuova, quella di avvicinare il grande pubblico alla scienza: il museo svolgeva così un ruolo di educazione pubblica. In seguito la ricerca, anche quella dei naturalisti, si stava spostando nei laboratori, nelle università e nelle accademie, e ai musei fu delegata quasi esclusivamente una funzione didattica. Ivi, p. 121

scienziati429 prese il posto del tradizionale e fecondo connubio tra scienza e filosofia. Lo scienziato veniva visto da Napoleone come un tecnocrate che, senza sindacare il contenuto delle decisioni, avrebbe, grazie al metodo scientifico applicato all’amministrazione della politica, assicurato maggiore efficienza e ricchezza allo Stato. Fu così che l’autorità politica sostenne, in Francia come in altri Paesi europei, il metodo scientifico ritenendo l’utilizzo delle scienze esatte e della matematica neutrale ideologicamente. Di conseguenza il potere politico supportò l’espansione progressiva del ruolo delle scienze assicurando alle istituzioni scientifiche un ruolo sociale proporzionalmente più importante. La scienza andava imponendosi gradualmente come messaggera di verità obiettive e come mezzo per il perseguimento della pubblica utilità. La felice convergenza tra le superiori qualità epistemologiche della scienza con le sue inesauribili potenzialità applicative rinsaldava la posizione d’autonomia professionale e istituzionale ben definita che gli scienziati avevano gradualmente conquistato430.

Non dobbiamo dimenticare che in un contesto più ampio il Settecento si configura come il secolo della “rivoluzione dei consumi”, una trasformazione particolarmente visibile in Inghilterra, ma che si estese ad altre parti d’Europa e perfino oltre i suoi confini. Le sottoscrizioni, per esempio, furono uno strumento usato a vari fini in questo periodo: per aderire a club, a spettacoli teatrali, a conferenze e così via. La “commercializzazione del tempo libero” e il “consumo di cultura” furono una parte importante di questa rivoluzione, che vide l’ascesa dei teatri, di prosa e dell’opera, e delle esposizioni d’arte, il tutto aperto a chiunque fosse pronto a pagare il prezzo di un biglietto431. In questo nuovo clima culturale, organizzazioni meno formali come il salon e il caffè svolsero un ruolo nel commercio delle idee. I proprietari dei caffè spesso disponevano in bella vista giornali e riviste in modo da attirare i clienti, stimolando in tal modo la discussione sulle notizie correnti e la nascita di quella che è spesso chiamata la “pubblica opinione” o la “sfera pubblica”432; questi luoghi di ritrovo facilitarono così gli incontri fra le idee - soprattutto di carattere politico e scientifico - oltre che fra le persone.

In Inghilterra i rapporti tra scienza e tecnologia si erano consolidati soprattutto grazie all’iniziativa dell’imprenditoria privata e non, come in Francia, grazie al supporto dello Stato. Già a partire dalla seconda metà del XVIII secolo molti industriali e capitalisti avevano acquisito, in special modo nelle manifatture tessili, i brevetti di alcune significative innovazioni tecnologiche applicate in ambito meccanico. Se prima dell’introduzione di queste innovazioni le competenze dell’operaio rappresentavano il perno del sistema produttivo manifatturiero, con la diffusione delle macchine automatizzate il ruolo del lavoro salariato veniva confinato a quello della sola sorveglianza433. A causa di queste trasformazioni, l’operaio specializzato diveniva superfluo e poteva essere rimpiazzato con una manodopera più a buon mercato, costituita per lo più da donne e bambini. Questa prima rivoluzione del sistema produttivo e della divisione del lavoro tradizionale consentì non solo incredibili guadagni ma anche un deciso allargamento della sfera d’azione della scienza. Fu però con l’introduzione di

429 L’opera di Comte s’inscrive in questo periodo ed è impregnata di quest’ethos. Egli infatti accolse questo

cambiamento delle gerarchie del sapere tradizionale con grande favore, tanto da affidare al pensiero scientifico il compito di realizzare una radicale trasformazione della società. Per approfondimenti, Aron,

Raymond (1972), op. cit.

430 Beretta, Marco (2002), op. cit., p. 193. 431 Burke, Peter (2002), op. cit., p. 226.

432 Per approfondimenti, Habermas, Jürgen (2002), Storia e critica dell’opinione pubblica, Laterza, Roma-

Bari.

433 Per approfondimenti su questo vastissimo tema una sintetica antologia può considerarsi Parini, Giap

Ercole; Pellegrino, Giuseppina (2009) (a cura di), S come scienza T come tecnica e riflessione sociologica,

macchine motrici in grado di sostituire la forza naturale che si compì definitivamente la rivoluzione industriale. L’oggettivazione e la standardizzazione della produzione era stata resa possibile dall’applicazione sistematica delle invenzioni tecnologiche e delle scoperte scientifiche, in primis la macchina a vapore. Questa fu perfezionata infatti grazie alla stretta collaborazione tra uno scienziato, un tecnico e un imprenditore, diventando a questo punto il simbolo della rivoluzione industriale434. Potremmo dire che la causa principale dello sviluppo industriale era costituita dall’unione del capitale con la scienza. Se il primo serviva da sostegno finanziario della produzione, la seconda si erse alla direzione dell’industria435.

Queste trasformazioni prodottesi nella prima metà del diciannovesimo secolo devono ritenersi un fatto determinante per l’affermazione del capitalismo moderno. I mutamenti profondi avutisi nell’industria, nell’organizzazione del lavoro e nei modi di produzione, circolazione e consumo delle merci hanno modificato in modo irreversibile l’assetto della società negli Stati occidentali.

In questo scenario in cui diveniva evidente il ruolo centrale della scienza nella produzione industriale e nel generare enormi profitti divenne strategico il problema della tutela dei brevetti. A seguito dell’eccezionale sviluppo industriale della metà del XIX secolo si innescò una corsa furibonda verso il controllo e l’innovazione dei mezzi di produzione. Solo i brevetti potevano garantire questo controllo. In questo clima di competizione e di grandissima espansione economica lo scienziato non aveva molte alternative: poteva scegliere di proseguire le proprie ricerche in ambito universitario, oppure, attratto dalle straordinarie risorse che gli venivano fornite dall’industria, si vedeva limitato ad effettuare le proprie ricerche nell’interesse del capitalista di turno. In questi anni, grazie alle tutele legislative, alle risorse economiche messe a disposizione, alla crescita professionale degli inventori e all’interesse degli scienziati per la tecnica e le sue applicazioni all’industria, si diffusero sistemi tecnologici sempre più complessi. Il ferro divenne il protagonista indiscusso del progresso tecnico, facilitando la costruzione di grossi impianti industriali, reti di comunicazione, e d’infrastrutture436. Nella prima metà dell’Ottocento il movimento romantico s’oppose, per motivi ideologici, alla diffusione della macchine e all’industrializzazione, ma poi, in virtù dei successi della tecnica e delle sue applicazioni, l’entusiasmo positivista prese il sopravvento. Nella seconda metà del secolo nacquero così sistemi tecnologici che si diffusero in aree geografiche e produttive sempre più estese, favorendo in modo determinante lo sviluppo economico. Ciò che rese definitiva questa tendenza egemonica delle macchine fu l’applicazione industriale dell’elettricità. Il suo utilizzo si diffuse negli anni Ottanta dell’Ottocento mutando non solo le condizioni di vita della quotidianità ma anche il rapporto tra scienza e tecnologia. Infatti, la pratica

434 Con le sue scoperte, alcune delle quali di grande rilevanza scientifica, Watt fu uno dei primi a intuire il

potenziale della connessione tra scienza, tecnologia e capitale e sarebbe impossibile comprendere il panorama economico e sociale dell’Inghilterra di fine Settecento senza tenere presente tale felice combinazione.

435 Fu soltanto attraverso l’esistenza di ingenti capitali, lo sviluppo del commercio e delle manifatture che la

scienza e la tecnica trovarono un terreno socioeconomico favorevole alla loro crescita, ma è altrettanto vero che il modo stesso di pensare dello scienziato europeo del diciottesimo secolo, la meccanizzazione della realtà di cui si fece portavoce, la costituzione di una filosofia tendente all’astrazione e alla realizzazione dei fenomeni naturali entro leggi universali erano complementari all’habitus psichico dell’emergente classe mercantile e capitalista. La concezione baconiana della natura intesa come ricettacolo di risorse messe a disposizione dell’uomo al fine di migliorare le sue condizioni materiali di vita costituiva una giustificazione filosofica autorevole allo sfruttamento manifatturiero prima e industriale poi delle risorse naturali. Beretta,

Marco (2002), op. cit., pp. 210-219.

436 Durante la prima Esposizione universale del 1851 di Londra è infatti il ferro, insieme a tutti i più recenti

prodotti della tecnica, a dominare la scena e a caratterizzare un’era in cui la scienza e la tecnologia, alleate all’industria pesante, reclamano il primato culturale. Per approfondimenti, Mumford, Lewis (2005), op. cit.

scientifica, che fino ad allora era vista unicamente come ricerca della verità e delle cause dei fenomeni naturali, si sovrappose con l’attività dei tecnici e degli ingegneri. La crescente connessione della scienza ottocentesca con i sistemi tecnologici rese inverosimile, anche se prepotentemente sostenuta dagli stessi scienziati, l’immagine di un’attività puramente intellettuale. La tecnologia stava gradualmente assoggettando la scienza e, di riflesso, gli artisti e gli inventori conquistarono un ruolo di tutto rispetto nel mondo della produzione sociale di conoscenza scientifica. Questa commistione con il mondo dell’industria determinò una trasformazione della figura dello scienziato i cui prodromi s’erano intravisti già ai tempi di James Watt. L’importanza di una scoperta scientifica, infatti, si misurava dalla sua applicabilità su larga scala e dalla conseguente possibilità di trarne un sicuro guadagno. La dialettica che si innescò tra ricerca scientifica e tecnologica, da un lato, e investimenti economici e ritorno industriale, dall’altro, divennero ben presto la marca distintiva della nuova modalità di produzione sociale di conoscenza scientifica.

In seguito alla rivoluzione industriale inglese il mondo produttivo si avvalse costantemente del contributo della tecnica e della scienza, e, di converso, la scienza necessitava dei capitali per perfezionare strumenti e laboratori utili a migliorare le condizioni dell’attività di ricerca. Questo bisogno reciproco, segnato da diffidenze - da entrambe le parti - e latenti conflitti, confluì stabilmente in uno scambio di feconda